ORDINANZA N. 65
anno 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 13 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione delle frodi nel settore degli oli minerali), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474, promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1993 dal Pretore di Lucca nel procedimento penale a carico di Galligani Malfisa, iscritta al n. 428 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che nel corso di un giudizio penale nei confronti di persona imputata del reato di cui all'art.13 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, in legge 2 luglio 1957, n.474, per avere esercitato un deposito di oli minerali ad uso industriale, superiore a dieci metri cubi, senza averne fatto preventiva denuncia all'ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione, il Pretore di Lucca, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 13 nonchè dell'art. 1 dello stesso decreto-legge n. 271 del 1957 (che prevede l'obbligo di denuncia), in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione;
che, richiamata la commisurazione della multa proporzionale prevista dalla norma impugnata alla risultante di due fattori, costituiti dai prodotti "trovati nel deposito" e dall'imposta ad essi relativa, il giudice rimettente formula corrispondente mente due distinti profili della questione, rapportati, rispettivamente:
a) al meccanismo di commisurazione della pena, collegato, secondo costante giurisprudenza, al prodotto complessivamente circolato nel deposito; meccanismo che, se è razionale, ad avviso del rimettente, nella fattispecie dell'art. 11 del decreto-legge n.271 del 1957 presa a termine di raffronto, non troverebbe altrettanto razionale giustificazio ne nelle norme sottoposte a scrutinio, onde è che per questo profilo il giudice a quo deduce la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, per arbitraria equiparazione tra fattispecie non omogenee e per lamentata "assurdità" della comminatoria di multa proporzionale rispetto al carattere del reato;
b) al fattore dell'imposta relativa ai prodotti trovati (nel senso detto) nel deposito, deducendo sia la mancata chiarezza della norma circa il tipo di imposta - agevolata oppure ordinaria - cui fare riferimento, il che ne determinerebbe l'illegittimità costituzionale per violazione del principio di legalità della pena (art.25, secondo comma, della Costituzione), sia, in entrambe le ipotesi di soluzione dell'accennata alternativa, la violazione dell'art. 3 della Costituzione;
che, inoltre, svolgendo un diverso profilo della questione, il Pretore rimettente ritiene che la mancanza nelle norme in argomento di un limite superiore della pena si ponga in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, con riferimento sia alla finalità rieducativa della pena sia alla necessità di riconsiderazione, nel trattamento sanzionatorio, di indici e fattori ulteriori rispetto al solo dato obiettivo-quantitativo dell'illecito, cui viceversa le norme denunciate avrebbero esclusivo riguardo; nonchè, ulteriormente, si ponga in contrasto con il principio di legalità della pena "sancito dall'art.27 (recte, 25), secondo comma, della Costituzione", al quale ultimo principio sarebbe coessenziale la fissazione di un limite;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza e l'inammissibilità delle questioni così sollevate.
Considerato che, successivamente alla proposizione della questione, è intervenuto l'art. 5, comma 6-bis, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (norma introdotta in sede di conversione del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16), che ha modificato l'impugnato art. 13 del decreto-legge n. 271 del 1957, stabilendo per l'illecito in argomento una sanzione amministrativa pecuniaria (da due a dieci milioni di lire) in luogo della pena della multa;
che è poi ulteriormente intervenuto l'art.12, comma 3, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, il quale ha stabilito che la soprarichiamata disposizione depenalizzatrice si applica anche alle violazioni commesse antecedentemente alla data di entrata in vigore della citata legge n. 75 del 1993, con esplicita deroga al c.d. principio di ultrattività delle leggi penali finanziarie di cui all'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n.4, e altresì facendo espresso richiamo all'applicabilità delle ordinarie regole in tema di successione di norme nel tempo (art. 2, secondo e terzo comma, del codice penale);
che pertanto va disposta la restituzione degli atti al giudice a quo perchè riesamini se la questione sollevata sia tuttora rilevante alla luce del mutato quadro normativo di riferimento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Pretore di Lucca.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, , il 10 febbraio 1994.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 24/02/1994.