Sentenza n. 38 del 1994

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SENTENZA N. 38

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (Disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917), promossi con tre ordinanze emesse il 3 novembre 1992 dalla Commissione tributaria di primo grado di Modena, iscritte ai nn. 372, 373 e 374 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1993;

Visto l'atto di costituzione del Banco di S. Geminiano e S. Prospero, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

l.- La Commissione tributaria di primo grado di Modena, con tre ordinanze del 3 novembre 1992 -emesse in giudizi promossi, nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, dal Banco di S. Geminiano e S. Prospero, dalla Cassa di Risparmio di Modena e dalla Banca Popolare dell'Emilia- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (Disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), nella parte in cui rende applicabili le disposizioni del testo unico anche per i periodi di imposta antecedenti a quelli nello stesso considerati, se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi.

Come risulta dalle ordinanze, nei casi all'esame del giudice a quo, trattavasi di aziende bancarie che, dopo aver ricompreso nel conto dei profitti e delle perdite gli interessi maturati su crediti di imposta, relativamente ad esercizi anteriori all'entrata in vigore del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dopo aver presentato la relativa dichiarazione con liquidazione delle imposte IRPEG ed ILOR, ne avevano chiesto successivamente il rimborso.

Il giudice remittente rileva che, per effetto della disposizione impugnata (secondo l'interpretazione ad essa data dalla Cassazione nella sentenza n. 7091 del 1990), la sottoposizione ad imposizione degli interessi corrisposti per ritardato rimborso di crediti di imposta, relativamente a periodi anteriori all'entrata in vigore del d.P.R. n. 917 del 1986, verrebbe fatta dipendere non dalla norma legislativa vigente al momento della dichiarazione dei redditi, bensì dal comportamento tenuto all'epoca dal singolo contribuente, con violazione del principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione e con ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni oggettivamente identiche, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Inoltre appare dubitabile che il menzionato art. 36, quale norma avente carattere retroattivo in malam partem, corrisponda all'effettiva volontà del legislatore delegante, con violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

2.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Secondo le memorie depositate, non sussiste violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, in quanto la disposizione denunciata tende a conferire certezza ai comportamenti che il contribuente ha autonomamente formalizzato nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta precedenti a quelli presi in considerazione dal d.P.R. n. 917 del 1986, evidentemente sulla base di un'interpretazione delle norme allora vigenti che lo stesso contribuente ha ritenuto corretta. Non sussiste nemmeno lesione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza previsti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto, nel caso in esame, il medesimo regime impositivo viene applicato a tutti i contribuenti, che hanno adottato lo stesso comportamento.

Rilevato, poi, che gli interessi dovuti per il ritardo nel rimborso dei crediti di imposta entravano a far parte della base imponibile del reddito d'impresa, anche ai sensi del d.P.R. n. 597 del 1973, si osserva che l'art. 56 del d.P.R. n.917 del 1986 ne statuisce ora la tassabilità in forma esplicita.

3.- In prossimità dell'udienza, il Banco di S. Geminiano e S. Prospero, senza costituirsi nei termini di rito, ha depositato, in data 6 novembre 1993, una memoria che non può essere presa in considerazione.

Considerato in diritto

l.- I giudizi in epigrafe vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.- Le tre ordinanze emesse dalla Commissione tributaria di primo grado di Modena pongono alla Corte questioni concernenti la legittimità -in riferimento agli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione- dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, recante disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Il giudice a quo, chiamato a decidere dell'assoggettabilità ad imposizione IRPEG ed ILOR degli interessi percepiti da aziende di credito per ritardato rimborso di imposte pagate, in fattispecie anteriori all'emanazione di tale testo unico, muove dalla premessa secondo cui detti interessi, già da ritenere non tassabili ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, lo sarebbero, viceversa, divenuti a seguito dell'art. 56, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, la cui applicazione alle fattispecie pregresse deriverebbe dal principio di retroattività contenuto nell'art. 36 del d.P.R. n. 42 del 1988. Secondo detto art. 36, le disposizioni del testo unico in parola -con le esclusioni indicate nella norma stessa (e cioé le disposizioni del capo III del d.P.R. n. 42 del 1988 del quale fa parte il medesimo art. 36)- hanno effetto anche per i periodi di imposta antecedenti a quello dal quale prende vigore la normativa del medesimo testo unico -vale a dire il primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987- se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi.

La questione di legittimità viene sollevata in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra soggetti in eguale situazione, in funzione unicamente della inclusione o meno, all'epoca, degli interessi nella dichiarazione dei redditi, con concomitante violazione del principio della capacità contributiva; nonchè in riferimento agli artt. 76 e 77, a causa della retroattività, anche in malam partem, conferita dalla disposizione impugnata alle norme del medesimo testo unico.

3.- Le questioni non sono fondate.

Nell'esaminarle, la Corte ritiene opportuno muovere dalla denunciata violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione che, dal punto di vista logico-concettuale, precede l'altra, ricordando che l'art. 36 del d.P.R. n. 42 del 1988 si inserisce in un filone di produzione normativa che risale alla delega per la riforma tributaria, conferita al Governo dalla legge 9 ottobre 1971, n. 825. Da questa matrice, in un arco di tempo che abbraccia ormai oltre venti anni, è derivato, in ragione anche delle proroghe e dei rinnovi della delega stessa, un ampio quadro di disciplina che, partendo dai principi e criteri direttivi di cui alla stessa legge n. 825 del 1971, si è venuto man mano componendo, attraverso ripetuti interventi del legislatore delegato volti a puntualizzare e ad esplicitare meglio i postulati del nuovo ordinamento tributario, secondo indirizzi in cui emerge il persistente riferimento alle esigenze di coordinamento, di correzione ed integrazione delle disposizioni via via emanate.

Di ciò è traccia anche nelle leggi aventi ad oggetto la proroga, il rinnovo e, talora, l'ampliamento della delega, senza trascurare, di fronte alle difficoltà interpretative cui sovente hanno dato luogo, nel tempo, le varie norme introdotte, anche l'obiettivo di pervenire ad assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici tributari. Sulla base di tali premesse hanno, così, visto la luce i diversi decreti del Presidente della Repubblica in data 29 settembre 1973, tra i quali quello recante il n. 597, in riferimento al quale si è discusso in passato proprio a proposito della tassabilità degli interessi qui considerati; il testo unico delle imposte sui redditi emanato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; nonchè varie altre disposizioni. Del quadro di riferimento normativo testè ricordato è parte integrante anche il provvedimento in cui è compresa la norma denunciata e cioé il d.P.R. n. 42 del 1988, fondato sulla delega conferita con la legge 29 dicembre 1987, n. 550, che -una volta intervenuto il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e in concomitanza con la sua entrata in vigore, stabilita per il 1° gennaio 1988- autorizzò (art. 1, sesto comma) l'emanazione delle disposizioni di attuazione e transitorie necessarie all'entrata in vigore del testo unico, nonchè delle disposizioni occorrenti per il miglior coordinamento sistematico-formale delle norme in esso contenute, in vista, altresì, della correzione di eventuali errori materiali. A tanto provvide il testo del quale fa parte la norma impugnata, composto, oltre che di disposizioni transitorie (capo III) e di disposizioni di attuazione (capo II), anche di disposizioni correttive (capo I).

Dal canto suo l'art. 36 nel derogare a quanto già stabilito dall'art. 136 del testo unico, secondo il quale le disposizioni in esso contenute entravano in vigore il 1° gennaio 1988, con effetto per i periodi di imposta aventi inizio dopo il 31 dicembre 1987- ha esteso temporalmente gli effetti del medesimo testo unico anche a situazioni pregresse, nell'intento di realizzare un suo migliore adeguamento agli obiettivi che gli erano propri, alla stregua della delega dalla quale derivava. Quest'ultima riposava originariamente, come già accennato, sulla legge n. 825 del 1971, che - all'art. 17, terzo comma- affidava al testo unico il compito di raccogliere le norme già emanate sulla base della stessa legge di delega con quelle rimaste in vigore per le medesime materie, apportando le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni e per eliminare ogni eventuale contrasto con i principi e i criteri direttivi stabiliti dalla medesima legge n. 825 del 197l. Va ricordato, peraltro, che, in occasione delle successive proroghe dei termini per l'esercizio del potere affidato al Governo, l'ambito dello stesso fu ampliato fino a ricomprendervi non solo le leggi pubblicate successivamente a quelle considerate dalla legge n.825 del 1971, ma autorizzando anche integrazioni e correzioni, nel rispetto dei principi e criteri direttivi discendenti dalla suddetta legge, come è dato evincere dal combinato disposto dell'art. 1, terzo comma, della legge 12 aprile 1984, n. 68 e dell'articolo unico, primo comma, della legge 24 dicembre 1985, n. 777.

4.- Sulla base di tali premesse, la Corte ritiene di dover escludere la sussistenza del denunciato eccesso di delega ex artt. 76 e 77 della Costituzione.

La lamentata retroattività in malam partem, conferita dall'art. 36 alle disposizioni del testo unico del 1986 appare, infatti, come conseguenza degli intenti che sono propri della delega che ne è alla base, contribuendo a realizzare il disegno ordinatore del d.P.R. n. 917 del 1986. Questo, integrato dal decreto n. 42 del 1988 e attraverso il raccordo fra presente e passato operato proprio dall'art. 36, tende alla razionale sistemazione e al coordinamento delle disposizioni tributarie di cui ai decreti del 1973 con quelle recate dalle norme successivamente emanate, perseguendo ad un tempo l'obiettivo di dare assetto definitivo ad alcune specifiche materie, nelle quali si erano posti dubbi e incertezze interpretative. Con riguardo al le fattispecie all'esame del giudice a quo, va ricordato che, sotto l'impero della disciplina apprestata dal d.P.R. n. 597 del 1973, anch'esso emanato in virtù dei poteri conferiti al Governo dalla legge n. 825 del 1971, si discuteva, sulla base di controverse interpretazioni degli artt. 41, 44 e 52, della tassabilità degli interessi corrisposti alle imprese per ritardato rimborso di crediti di imposta, ritenuti generalmente compensativi del mancato godimento del danaro a causa del ritardo nella restituzione delle somme pagate in eccedenza a titolo di imposta.

Il nuovo testo unico n. 917 del 1986, nell'attuare le finalità della delega sulle quali ci si è già soffermati, supera ogni incertezza al riguardo giacchè, dopo avere, nell'art. 41, comma primo, lettere a) e b), specificato gli interessi che costituiscono redditi di capitale -e cioé gli interessi derivanti da mutui, depositi e conti correnti (lett.a), nonchè quelli derivanti da obbligazioni e titoli similari nonchè da altri titoli diversi (lett.b)- precisa a proposito dei redditi di impresa, intesi come redditi che derivano dall'esercizio delle imprese commerciali (art. 52), che gli interessi, anche se diversi da quelli indicati alle lettere a) e b) del primo comma dell'art. 41, concorrono a formare il reddito per l'ammontare maturato nell'esercizio (art. 56).

5.- Dal canto suo, l'art. 36 del d.P.R. n. 42 del 1988 rende applicabili i nuovi principi anche alle fattispecie pregresse, ma esige la condizione che la dichiarazione anteriormente presentata sia conforme anche alle norme sopravvenute. In tal modo pone, da una parte, l'esigenza di confrontabilità delle relative fattispecie normative, quella anteriore e quella posteriore, e limita, dall'altra, i suoi effetti a quelle situazioni nelle quali già prima era giustificabile l'interpretazione nel senso espresso poi dalle norme sopravvenute. Onde le nuove disposizioni si riflettono sul passato solo là dove sussistano comportamenti che, nell'interpretazione di norme anteriori, si erano conformati spontaneamente alle soluzioni che oggi risultano espressamente codificate dal legislatore. Si fornisce così base testuale ai comportamenti tenuti dai contribuenti ove essi siano conformi anche alla nuova normativa, definendo pertanto legislativamente i dubbi connessi all'interpretazione dell'anzidetta disciplina previgente, con effetti, tra l'altro, sul contenimento e l'eliminazione del contenzioso tributario.

6.- Le considerazioni sopra svolte conducono all'infondatezza della questione di legittimità anche sotto l'ulteriore profilo della pretesa violazione dagli artt. 3 e 53 della Costituzione. Deduce, al riguardo, l'ordinanza che la sottoposizione ad imposizione tributaria degli interessi sui crediti di imposta maturati prima dell'entrata in vigore del testo unico n. 917 del 1986, nello schema applicativo della disposizione denunciata, verrebbe fatta dipendere non dalla norma legislativa che vigeva al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, bensì dal comportamento del singolo contribuente, a seconda che abbia incluso o meno gli interessi nella dichiarazione. Ciò comporterebbe un risultato non consono al principio della corrispondenza alla capacità contributiva e tale da creare ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni oggettivamente identiche. Ma se si considera, come si è già avuto modo di osservare, che scopo dell'art. 36 è quello di estendere la portata del testo unico a situazioni che, sulla base di una delle possibili interpretazioni della normativa pregressa, apparivano, già prima, sussumibili sotto gli stessi principi, non è irragionevole, nè urta contro il principio della capacità contributiva, il criterio seguito dalla norma impugnata di una limitata retroattività volta a conferire certezza ai comportamenti che avevano trovato formalizzazione nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal contribuente sulla base di un'interpretazione delle norme all'epoca vigenti che lo stesso contribuente aveva reputato attendibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (Disposizioni correttive e di coordinamento sistematico-formale, di attuazione e transitorie relative al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), per contrasto con gli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione, sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Modena con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/02/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/02/94.