SENTENZA N. 22
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1993 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e la s.p.a.
Industrie Grafiche Vallardi, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. e della s.p.a.
Industria Grafiche Vallardi nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi l'avvocato Michele Fiscella per la s.p.a. Industrie Grafiche Vallardi, l'avvocato Adriana Pignataro per l'I.N.A.I.L e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l. - Nel corso di un giudizio ordinario, il Pretore di Milano, in qualità di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt.3, 38 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 ed 11 del d.P.R.30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui, nell'ipotesi di più infortuni occorsi al medesimo lavoratore e verificatisi nella pendenza di rapporti di lavoro succedutisi nel tempo, impongono all'I.N.A.I.L. di esercitare l'azione di regresso nei confronti dell'ultimo datore di lavoro per la quota-parte di invalidità ad esso imputabile penalmente, anche quando la quota-parte stessa, che di per se' sola non sarebbe sufficiente a raggiungere la soglia di indennizzabilità del 10 per cento, lo diviene in forza dei precedenti infortuni.
Rileva il giudice a quo che nel procedimento da cui ha presso le mosse la presente questione, il ricorrente I.N.A.I.L.aveva esperito l'azione di regresso, prevista dalle predette disposizioni, nei confronti della Società Industrie Grafiche Vallardi, in relazione alla rendita erogata a tale Ferrari Bruno, dipendente della stessa società, in conseguenza dell'infortunio da questi subito.
Per l'evento dannoso di cui sopra, il Ferrari aveva riportato un'invalidità quantificata nella misura dell'8 per cento e, quindi, inferiore alla soglia di indennizzabilità stabilità dalla legge nella misura del 10 per cento. Tuttavia, precedentemente a tale infortunio, il medesimo lavoratore ne aveva riportato un altro, per il quale gli era stata riconosciuta un'invalidità pari al 6 per cento.
Su tali premesse, l'I.N.A.I.L. perveniva ad una determinazione, in favore del Ferrari, del 14 per cento di invalidità, rendendolo beneficiario della corrispondente rendita. Esperiva, quindi, l'azione di regresso per il valore capitale della rendita corrisposta al lavoratore, facendola valere contro il responsabile del secondo infortunio. Nel relativo giudizio, il Pretore di Milano ha sollevato d'ufficio incidente di costituzionalità.
In punto di rilevanza, il giudice rimettente osserva che il processo non può concludersi se non con l'applicazione delle norme della cui legittimità costituzionale si dubita; ne' può essere accolta l'eccezione di prescrizione, avanzata dalla resi stente Società Vallardi, essendo intervenuti tempestivi atti interruttivi.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene non giustificato un accollo al datore di lavoro di un onere che non troverebbe fondamento ne' in una responsabilità per colpa, ne' nella tutela dell'invalido, ne' nell'utilità sociale. Nella specie, infatti, l'azione di regresso viene esercitata limitatamente all'8 per cento dell'invalidità, addebitando l'evento al datore di lavoro presso la cui impresa si e' verificato il secondo infortunio, anche nel caso in cui la responsabilità per l'infortunio precedente non fosse addebitabile al medesimo datore di lavoro.
Sostiene inoltre il giudice a quo che, se e' vero che l'I.N.A.I.L.ha esperito l'azione soltanto limitatamente alla quota di invalidità pari all'8 per cento, e cioe' per la quota- parte imputabile alla resistente, e' pur vero che solo aggiungendo l'altra quota-parte relativa al primo infortunio si supera la soglia di indennizzabilità, stabilita dalla legge nella misura del 10 per cento, ed al di sotto della quale l'azione di regresso non avrebbe potuto essere esperita.
Il che, ad avviso del giudice rimettente, comporta che il secondo datore di lavoro finisce con il rispondere senza titolo, e, nel caso che il primo infortunio fosse addebitabile ad altro datore di lavoro, il secondo risponderebbe per un fatto altrui.
Conclude il giudice ritenendo che l'unica soluzione possibile e costituzionalmente legittima e' quella che escluda l'azione di regresso da parte dell'I.N.A.I.L. nelle ipotesi in cui il datore di lavoro sia responsabile di un infortunio cui e' conseguita un'invalidità specifica inferiore al 10 per cento.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si e' costituito l'I.N.A.I.L., concludendo per la manifesta infondatezza della questione.
Nel motivare tale richiesta, la difesa dell'I.N.A.I.L.sostiene, in primo luogo, che il datore di lavoro risponde in via di regresso ex artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 soltanto in quanto risulti penalmente responsabile.
Detta responsabilità e' poi limitata alla entità del danno da lui medesimo causato, e non anche dell'infortunio causato da fatto (illecito) di chi era datore di lavoro nell'ipotesi di un infortunio precedente.
Occorre inoltre tener presente, ad avviso della difesa dell'I.N.A.I.L., che l'azione di regresso di cui si discute può essere esercitata soltanto quando l'infortunio sia indennizzato;non potrebbe invece interessare il datore di lavoro qualora l'infortunato abbia avuto precedenti eventi lesivi di natura lavorativa non indennizzati in quanto inferiori al minimo.
Allo stesso modo, risulterebbe indifferente che sia stata o meno esperita azione di regresso nei confronti del precedente datore di lavoro, in quanto tutti i datori di lavoro rispondono unicamente del fatto proprio e nei limiti di questo, sempre che l'infortunio sia stato indennizzato dall'I.N.A.I.L.; e ciò nel pieno rispetto del principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Neppure sarebbero violati gli artt. 38 e 41 della Costituzione, in quanto l'infortunato riceverebbe piena tutela assicurativa indipendentemente dall'azione di regresso dell'I.N.A.I.L.
3. - Si e' costituita anche la Società Industrie Grafiche Vallardi, concludendo per l'accoglimento della questione sulla base di argomentazioni già contenute nell'ordinanza di rimessione.
In particolare, la difesa della Società sostiene che gli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 violano gli artt. 3, 38 e 41 della Costituzione, in quanto, per un medesimo infortunio, si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra imprenditori e tra questi e gli organi preposti alla tutela del cittadino lavoratore che subisca un infortunio, con il rischio di realizzare per tale via una discriminazione anche tra lavoratori.
4. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità ovvero la non fondatezza della questione.
5. - In prossimità dell'udienza, gli intervenienti I.N.A.I.L. e Presidente del Consiglio hanno presentato ulteriori memorie.
Considerato in diritto
l. - Il Pretore di Milano, in qualità di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui, nell'ipotesi di più infortuni occorsi al medesimo lavoratore e verificatisi nella pendenza di rapporti di lavoro succedutisi nel tempo, impongono all'I.N.A.I.L. di esercitare l'azione di regresso nei confronti dell'ultimo datore di lavoro per la quota-parte di invalidità ad esso imputabile penalmente, anche quando la quota-parte stessa, che di per se' sola non sarebbe sufficiente a raggiungere la soglia di indennizzabilità del 10 per cento, lo diviene in forza dei precedenti infortuni.
La questione sollevata d'ufficio dal Pretore di Milano e' rilevante poiche' detto giudice, chiamato a decidere sulla domanda di regresso esercitata dall'I.N.A.I.L., deve in ogni caso fare applicazione delle norme di cui sospetta l'incostituzionalità.
Ma la questione non e' fondata.
In sintesi, il giudice a quo ritiene che, essendo presupposto dell'azione di regresso il superamento della soglia di indennizzabilità del 10 per cento di invalidità del lavoratore, ove tale soglia sia superata in base alla sommatoria di più infortuni, la rivalsa nei confronti dei singoli datori di lavoro in proporzione delle rispettive colpe per i diversi infortuni non troverebbe legittimo fondamento costituzionale ne' in una responsabilità per colpa (determinando peraltro un trattamento deteriore per i datori di lavoro i quali assumono lavoratori che hanno già subìto precedenti infortuni per colpa di altri), ne' nella tutela dell'invalido (art. 38 Cost.), ne' nell'utilità sociale (art. 41 Cost.).
Nel caso, quindi, in cui ciascuno dei più infortuni subìti dal lavoratore non superi la predetta soglia di indennizzabilità, secondo il Pretore rimettente, "l'unica ipotesi possibile e' che l'I.N.A.I.L. eroghi le prestazioni in favore del lavoratore, ma poi non possa recuperare in sede di rivalsa la somma sborsata".
L'eccezione di incostituzionalità non e' condivisibile sotto diversi profili, ma soprattutto per il motivo che il sistema disciplinato dal testo unico dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (d.P.R.n. 1124 del 1965), per un verso, nel prevedere (art. 74) l'obbligo dell'I.N.A.I.L. di indennizzare le conseguenze degli infortuni quando il lavoratore abbia subito una inabilità superiore al 10 per cento, giustamente non distingue se tale percentuale sia stata superata a seguito di uno o più infortuni; per altro verso, prevede (art. 11) che l'istituto ha "diritto di regresso per le somme pagate a titolo di indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili", ma non limita l'esercizio di tale diritto alla sola ipotesi che, nel caso di più infortuni, ciascuno di questi abbia determinato un'invalidità superiore al 10 per cento.
Inoltre, l'art. 10 del citato testo unico stabilisce che, nonostante l'assicurazione, permane la responsabilità civile a carico di coloro cui sia imputabile l'infortunio, senza condizionare tale responsabilità nei confronti dell'I.N.A.I.L. al superamento -per ogni singolo infortunio- di un certo grado di invalidità del lavoratore, e senza escludere la responsabilità stessa quando l'infortunio non sia quello verificatosi per primo.
Anzi, lo stesso testo unico (art. 80, terzo comma) contempla espressamente l'ipotesi della indennizzabilità dell'inabilità permanente quando, a seguito di più infortuni, essa superi "complessivamente" la percentuale del 10 per cento.
Il sistema assicurativo previsto, quindi, se limita l'obbligo dell'istituto di indennizzare alla sola ipotesi in cui il lavoratore si trovi in uno stato di inabilità, oggettivamente e complessivamente, accertato nella misura superiore al 10 per cento, riconosce il diritto-dovere dell'istituto stesso di rivalersi delle somme pagate nei confronti delle persone civilmente responsabili, e -ove vi siano pluralità di colpevoli- in proporzione delle rispettive responsabilità.
E ciò a prescindere dalla considerazione che, nella specie, pur essendosi verificati entrambi gli infortuni durante il rapporto di lavoro con lo stesso imprenditore, l'istituto abbia chiesto in rivalsa solo le somme relative al secondo infortunio.
Da quanto finora esposto risulta inesatto quanto assume il giudice a quo, che "il secondo datore di lavoro finirebbe col rispondere senza titolo, e nel caso che il primo infortunio fosse addebitabile ad un altro datore di lavoro finirebbe col rispondere per fatto altrui".
Ne' appare decisivo per la soluzione della presente questione rilevare, come fa l'ordinanza di rimessione, le differenze fra l'azione di regresso prevista dal testo unico sugli infortuni sul lavoro e l'azione di surroga ex art. 1916 del codice civile; e ciò considerando anche che il limite previsto dall'art. 74 del citato testo unico -come si e' notato- non riguarda le responsabilità di cui agli artt. 10 e 11 dello stesso d.P.R., e che ogni datore di lavoro, chiamato in regresso proporzionalmente alla sua responsabilità, può comunque evitare di corrispondere la stessa somma, una volta direttamente al lavoratore ed una seconda volta in via di regresso all'Istituto. Tanto meno merita specifica confutazione l'affermazione dell'ordinanza di rimessione, secondo cui "sul piano sostanziale importa che se il lavoratore bene o male non esperisce l'azione sua propria, il datore di lavoro vede alleggerita la sua posizione".
Considerato pertanto che ciascun datore di lavoro deve rispondere una sola volta delle conseguenze dell'infortunio a lui imputabile, ed in proporzione dell'inabilità da esso derivante, può affermarsi conclusivamente che non e' ravvisabile disparità di trattamento normativo tra il datore di lavoro che risponde del primo infortunio da cui derivi una inabilità superiore al 10 per cento ed i datori di lavoro che rispondono proporzionalmente di diversi infortuni, le cui conseguenze dannose siano complessivamente superiori a detta percentuale, se tra loro sommate.
Parimenti devono ritenersi non fondate le censure di violazione degli artt. 38 e 41 della Costituzione, dal momento che, al contrario, solo l'interpretazione di detto sistema assicurativo qui accolta soddisfa sia l'esigenza costituzionale della tutela dei lavoratori sia quella della utilità sociale nello svolgimento dell'iniziativa economica. Ed invero, recuperando le somme anticipate, l'I.N.A.I.L. e' in condizione di continuare ad indennizzare i lavoratori infortunati quando il datore di lavoro non provvede subito o non e' coperto da assicurazione, così salvaguardandosi anche i limiti entro i quali può esercitarsi l'iniziativa economica privata, individuati dalla Costituzione nell'utilità sociale e nella sicurezza umana.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n.1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 03/02/94.