SENTENZA N. 20
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 14 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, promossi con ordinanze emesse il 31 marzo 1993 (n. 1 ordinanza) dal Pretore di Lecce, il 1°, il 2 aprile ed il 24 marzo 1993 (n. 5 ordinanze) dal Pretore di Brescia, il 20 gennaio 1993 dal Pretore di Bologna (n. 1 ordinanza) iscritte ai nn.266, 273, 274, 275, 281, 445 e 570 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 25, 36 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di costituzione di Conversano Cosimo e Salodini Maria, di Villani Velia ed altre, di Fabbri Marco e dell'INPS nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
uditi gli avvocati Franco Agostini per Villani Velia ed altre e per Fabbri Marco, Vito Lipari per l'INPS e Salvatore Cabibbo per Conversano Cosimo e Salodini Maria e l'Avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. Nel corso di un giudizio promosso da Marco Fabbri contro l'INPS per ottenere l'indennità di malattia per il periodo 31 luglio-9 agosto 1990, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 20 gennaio 1993 (R.O. n.281/93), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 3, e 14 del d.l.19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n.438.
Il comma 1 reca un nuovo testo dell'art. 47, secondo e terzo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n.639, che prevede, rispettivamente, per le controversie in materia di trattamenti pensionistici un termine di decadenza triennale dall'azione giudiziaria (in luogo del precedente termine decennale, già qualificato di decadenza, anziche' di prescrizione, dall'art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1° giugno 1991, n.166), e per le controversie in materia di prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, tra cui i trattamenti economici di malattia, un termine di decadenza di un anno: termini decorrenti dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
Il comma 3 dispone che la nuova disciplina non si applica "ai procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data".
Poiche' nella specie il ricorrente ha esercitato l'azione giudiziaria trascorso un anno dalla data di formazione del silenzio-rifiuto da parte dell'I.N.P.S., l'Istituto - interpretando restrittivamente il comma 3 in relazione ai soli procedimenti giudiziari - ha eccepito l'intervenuta decadenza dall'azione. Il Pretore condivide tale interpretazione, ma ritiene la legge così interpretata contraria all'art.3 Cost. sia sotto il profilo del principio di razionalità, coordinato col diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., in quanto priva inopinatamente l'assicurato di un di ritto di prestazione per il cui esercizio la disciplina dal giudice ritenuta applicabile prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 384 del 1992 gli accordava ancora un ampio spazio di tempo, sia sotto il profilo del principio di eguaglianza perche' esclude l'applicabilità del ius superveniens solo a vantaggio di coloro che già avevano proposto domanda giudiziale.
1.2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si e' costituito il ricorrente osservando preliminarmente che prima del 19 settembre 1992 le prestazioni economiche di malattia non erano soggette alla prescrizione decennale di cui all'art.47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970, bensì alla prescrizione di un anno prevista dall'art. 6, ultimo comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, e chiedendo in principalità che la questione sia risolta, con una sentenza interpretativa di rigetto, nel senso che il comma 3 - con tenente la disposizione transitoria a torto ritenuta mancante dal Pretore - deve essere interpretato includendo tra i "procedimenti" sottratti alla nuova disciplina, in quanto già instaurati prima della, e ancora in corso alla, data di entrata in vigore del decreto, anche i procedimenti amministrativi, oltre a quelli giudiziari.
Questa interpretazione, ampiamente sviluppata in una memoria successiva, limita l'applicabilità della nuova normativa alle domande amministrative presentate dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 384.
In subordine, la parte privata chiede che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale denunciata.
1.3. Si e' pure costituito l'INPS chiedendo una sentenza interpretativa di rigetto. Re melius perpensa, l'Istituto riconosce che nell'art.4, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992 il vocabolo "procedimenti" comprende anche i procedimenti amministrativi, ma, diversamente dall'interpretazione prospettata dalla parte privata, ritiene applicabili i nuovi termini (ridotti) di decadenza anche nel caso di domanda amministrativa presentata anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, con decorrenza da tale data.
1.4. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione l'interveniente ha motivato l'inammissibilità sul riflesso che il giudice a quo ha erroneamente computato il termine di decadenza anziche' dalla data di comunicazione della decisione tardiva dell'INPS, dalla data entro cui la decisione doveva essere pronunziata. La conclusione subordinata di infondatezza e' argomentata mediante un'interpretazione del comma 3 analoga a quella prospettata dall'INPS.
2.1. Nel corso di un giudizio promosso da Cosimo Conversano contro l'INPS per ottenere l'assegno di invalidità, l'art. 4, commi 1 e 3, del d.l. n. 384 del 1992 e' stato impugnato dal Pretore di Lecce, con ordinanza del 31 marzo 1993 (R.O. n.266/93), in riferimento agli artt. 3, 38 e 113 Cost., "nella parte in cui non prevede che l'azione giudiziaria possa essere proposta nel termine di tre anni dall'entrata in vigore dello stesso decreto legge", qualora essa fosse ancora proponibile ai sensi della disciplina precedente per non essere decorso il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso o dalla data di scadenza del termine prescritto per la pronunzia.
Anche le censure formulate in questa ordinanza di rimessione si fondano interamente sull'interpretazione dell'art. 4, comma 3, nel senso di escludere l'applicazione del nuovo regime decadenziale di cui al comma 1 nei soli casi di proposizione dell'azione giudiziale prima dell'entrata in vigore del decreto.
2.2. Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituito il ricorrente contestando la detta interpretazione e chiedendo una sentenza interpretativa di rigetto fondata sull'opposta interpretazione che riferisce il comma 3 anche ai procedimenti amministrativi.
2.3. Si e' costituito pure l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Secondo l'Istituto il termine "procedimento", di cui al comma 3, va inteso "come procedimento amministrativo se riferito al primo comma (che attiene alla fase amministrativa) e come pro cedimento giudiziario se riferito al secondo comma (che attiene alla fase giudiziaria)". Nel primo riferimento la qualifica "ancora in corso" va interpretata nel senso (sostenuto anche dalla parte privata) che alla data di entrata in vigore del decreto n. 384 "non e' (ancora) scaduto il prece dente termine decennale per l'inizio dell'azione giudiziaria", salva la decadenza dall'azione tra scorso un triennio o un anno (a seconda delle due specie di controversie distinte nel comma 1) dalla data di entrata in vigore del decreto.
2.4. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata. Inammissibile perche' carente di motivazione in punto di rilevanza; infondata perche' il legislatore non e' intervenuto con una norma retroattiva, ma ha configurato un nuovo rapporto tra fase amministrativa e fase giudiziaria, destinato per sua stessa natura ad operare solo nel futuro.
3.1. Nel corso di cinque giudizi separati, promossi da Maria Cominelli e altri contro l'INPS per ottenere l'integrazione al trattamento minimo della pensione di riversibilità, il Pretore di Brescia, con ordinanze di analogo tenore in data 24 marzo, 1° e 2 aprile 1993 (R.O. nn. 273, 274, 275, 445, 570/93), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.l. n. 384 del 1992, per violazione dell'art. 3 Cost., sotto un duplice profilo:
a) perche' il comma 1, riproducendo il testo dell'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970, con la sola riduzione a tre anni del termine decennale per l'esercizio dell'azione giudiziaria, avrebbe "completamente travolto la disposizione di interpretazione autentica" di cui all'art. 6 del citato d.l. n. 103 del 1991, ripristinando una normativa contraria al principio costituzionale di imprescrittibilità del diritto alla pensione;
b) perche' il comma 3, facendo salva la norma dell'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991 in favore dei soli assicurati che hanno presentato la domanda di prestazione prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 384 del 1992 e per i quali il procedimento amministrativo sia ancora in corso, discrimina ingiustificatamente coloro per i quali il procedimento amministrativo si sia esaurito anteriormente alla detta data o per decisione di rigetto dell'INPS o per decorso dei termini prescritti.
3.2. Nei giudizi promossi dalle ordinanze iscritte in R.O. nn. 275 e 570/93 si sono costituiti i ricorrenti chiedendo in principalità una sentenza interpretativa di rigetto, in subordine una dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Quanto al primo dei due profili della denunciata illegittimità costituzionale, le parti private contestano l'interpretazione del giudice a quo, che, senza conforto nella lettera della legge, attribuisce alla disposizione impugnata efficacia abrogatrice della norma di interpretazione autentica dettata dall'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991, a stregua della quale i termini previsti dall'art. 47, secondo e terzo comma, del d.P.R. n.639 del 1970, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto ai ratei della prestazione pensionistica, ferma l'imprescrittibilità del di ritto in se' alla pensione. Si obietta che l'art. 4 del d.l. n. 384 del 1992 si e' limitato ad abbreviare i termini decadenziali, senza modificarne l'oggetto, che pure nel nuovo testo dell'art. 47 va individuato in conformità dell'interpretazione autentica stabilita dal decreto del 1991.
Quanto al secondo profilo, entrambe le difese concordano sostanzialmente, pur con formulazioni diverse, nel ritenere compresa nel riferimento del comma 3 ai procedimenti "ancora in corso" alla data di entrata in vigore del decreto anche l'ipotesi che il procedimento amministrativo sia già esaurito a tale data ma perduri la possibilità di esercizio dell'azione giudiziaria per non essere ancora scaduto il termine decennale previsto dalla disciplina previgente.
3.3. Si e' costituito l'INPS concludendo per l'infondatezza della questione con le medesime argomentazioni svolte nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore di Lecce (R.O. n. 266/93).
3.4. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata con argomenti, relativamente all'uno e all'altro dei due profili sopra distinti, analoghi a quelli svolti dalle parti costituite.
Considerato in diritto
1. I Pretori di Bologna, Lecce e Brescia hanno sollevato, con varie prospettazioni, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 3, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438. Il comma 1 reca un nuovo testo dell'art. 47, secondo e terzo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, che riduce a tre anni il termine decadenziale del diritto ai ratei delle prestazioni pensionistiche e assoggetta al termine di decadenza di un anno tutte le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti di cui all'art. 24 della legge n. 88 del 1989. Il comma 3 dispone che il nuovo regime decadenziale non si applica "ai procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data". Il primo giudice denuncia anche l'art.14 del decreto legge citato, che ne dispone l'entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione (19 settembre 1992).
Dal Pretore di Bologna le dette disposizioni sono impugnate per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto prevedono che il nuovo regime decadenziale - con i termini di decorrenza alternativamente individuati nella data di comunicazione della decisione del ricorso all'INPS o nella data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione ovvero nella data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedi mento amministrativo, computati dal giorno della domanda di prestazione - si applichi anche agli assicurati che hanno presentato la domanda all'INPS prima dell'entrata in vigore del decreto, ma che in questo momento non abbiano ancora proposto la do manda giudiziale.
Dal Pretore di Lecce l'art. 4 del d.l. n. 384 del 1992 e' censurato, in riferimento agli artt. 3, 38 e 113 Cost., nella parte in cui non prevede che l'azione giudiziaria possa essere proposta nel termine di tre anni dall'entrata in vigore del decreto, qualora fosse ancora proponibile secondo la disciplina precedente.
Fondata su un'intepretazione diversa e' la questione sollevata dal Pretore di Brescia in riferimento all'art. 3 Cost. Queste ordinanze impugnano in primo luogo l'art. 4, comma 1, del d.l. n.384 del 1992 perche' avrebbe "completamente travolto la disposizione di interpretazione autentica di cui all'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991", che ha limitato la sanzione decadenziale ai soli ratei pregressi delle prestazioni previdenziali, salva guardando il principio costituzionale di imprescrittibilità del diritto alla pensione per se' considerato. Secondariamente e' censurato il comma 3 perche' fa salva l'applicabilità dell'art. 6 ora citato soltanto in favore degli aventi diritto per i quali il procedimento amministrativo, instaurato prima della data di entrata in vigore del decreto n. 384, sia ancora in corso a tale data, così discriminando irragionevolmente coloro per i quali il procedimento amministrativo fosse già esaurito alla data del 19 settembre 1992, ma non avessero ancora esercitato l'azione giudiziaria.
2. Le questioni sollevate dalle sette ordinanze sono analoghe o connesse, e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
3. Le questioni non sono fondate nei sensi appresso spiegati.
Le censure dei Pretori di Bologna e di Lecce dipendono interamente da un'interpretazione restrittiva che intende la parola "procedimenti" nell'art. 4, comma 3, nel senso di procedimenti giudiziari, e quindi attribuisce a tale disposizione il significato di norma che conferisce efficacia retroattiva al nuovo regime decadenziale previsto dal comma 1, salvo soltanto il caso di proposizione dell'azione giudiziaria prima della data di entrata in vigore del decreto.
A sostegno di questa interpretazione, che nega la riferibilità del comma 3 anche ai procedimenti amministrativi, sono addotti argomenti di scarsa consistenza. Che in relazione al comma 2 il termine "procedimenti" non possa concernere se non i procedimenti giudiziari - la norma di riferimento essendo afferente alla disciplina dell'onere delle spese, delle competenze e degli onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali - non e' evidentemente una ragione che imponga di intendere il termine nel medesimo significato pure in relazione al comma l.
Ne' in tal senso può soccorrere il confronto con l'art. 6, comma 2, del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito nella legge 1° giugno 1991, n. 166, che sottrae all'efficacia retroattiva delle disposizioni di cui al primo comma "i processi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto". Anzi, il confronto fornisce un argomento esegetico contrario mettendo in risalto l'uso, nella disposizione denunciata, di un termine diverso da quello di "processo", suscettibile di una accezione più ampia. Nel comma 2 del citato art. 6 il riferimento ai (soli) "processi" (giudiziari) in corso si spiega riflettendo che la norma del comma 1 intende ripristinare la configurazione della decadenza sancita dalla legge interpretata come decadenza sostanziale, contro la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione che ne aveva affermata la natura di termine di decadenza procedimentale.
Sul piano dell'interpretazione logica e' decisivo l'argomento svolto nelle memorie dell'INPS e della difesa di una delle parti private. In relazione al comma 1 la disposizione del comma 3 perde senso se la parola "procedimenti" viene intesa limitatamente ai procedimenti giudiziari: la proposizione della domanda giudiziale impedisce la decadenza, sicche' in questo caso non può sorgere la questione, regolata dal comma 3, circa il regime decadenziale applicabile.
4. Ciò posto, il significato più immediato della frase "procedimenti ancora in corso" (alla data di entrata in vigore del decreto n. 384) parrebbe quello di "procedimenti (amministrativi) non ancora esauriti a tale data". Così infatti la locuzione legale e' parafrasata nella circolare dell'INPS n. 165 del 15 luglio 1993. Nello stesso senso sono orientate le ordinanze del Pretore di Brescia, ad avviso del quale, peraltro, qualora alla data del 19 settembre 1992 il procedimento amministrativo già radicato "si fosse esaurito o per espresso rigetto dell'Istituto o per decorso del termine previsto", l'art. 4, comma 1, del d.l. n.384 del 1992 sarebbe applicabile col significato normativo attribuito all'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970 anteriormente all'interpretazione autentica disposta dall'art. 6 del d.l.n. 103 del 1991: tale disposizione sarebbe stata "completamente travolta" dal successivo decreto del 1992.
Questo profilo di incostituzionalità - del resto prospettato senza un parametro adeguato (nelle cinque ordinanze del Pretore di Brescia e' invocato il solo art. 3 Cost. e non anche l'art. 38, secondo comma, Cost.) - e' palesemente infondato.
Dall'identità del nuovo testo del 1992 col testo originario del 1970, "salvo che per la riduzione del termine di decadenza da decennale a triennale", non e' consentito arguire l'abrogazione implicita dell'interpretazione autentica. L'art. 6 del d.l. n.103 del 1991 si e' integrato in una complessa fattispecie normativa formata dalla legge interpretata e dalla legge interpretativa: l'art. 4, comma 1, del decreto del 1992 ha modificato la prima delle componenti della fattispecie senza toccare l'altra.
5. L'interpretazione secondo cui l'art. 4, comma 3, esclude l'applicabilità del comma 1 solo quando il procedimento amministrativo (compresa la fase contenziosa) non sia ancora esaurito alla data dell'entrata in vigore del d.l. n. 384 del 1992, dà luogo a conseguenze pratiche incompatibili con i principi circa l'efficacia della legge nel tempo.
Nell'ipotesi ora indicata dovrebbero ritenersi applicabili, con decorrenza da una data posteriore al 19 settembre 1992, i termini decadenziali previsti da una legge anteriore ormai non più vigente. Non e' dubbio invece che, ove il ricorso amministrativo sia stato presentato prima di questa data, ma il dies a quo del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione giudiziaria - costituito da una delle date alternativamente specificate nell'art. 4, comma 1, del decreto del 1992 - si verifichi dopo, si devono applicare i nuovi termini.
Il termine di decadenza non può prendere regola se non dalla legge in vigore nel momento in cui comincia a decorrere.
Nel caso opposto, in cui il procedimento amministrativo e' già esaurito alla data di entrata in vigore del decreto, la pretesa retroattività del nuovo regime decadenziale si traduce in conseguenze assurde quando si tratti di un diritto previdenziale assoggettato per la prima volta nel 1992 al regime dell'art. 47 (riformato) del d.P.R. n. 639 del 1970.
Tale e' il diritto alle prestazioni economiche di malattia, precedentemente soggetto alla prescrizione di un anno di cui all'art. 6, ultimo comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, decorrente, dopo la legge 9 marzo 1989, n. 88, dalle stesse date stabilite per le prestazioni pensionistiche. Nella causa pendente davanti al Pretore di Bologna, dove si controverte appunto del diritto a un trattamento economico di malattia, l'interpretazione avversata ha portato il giudice a ritenere applicabile l'art.4, comma 1, del decreto del 1992, e quindi a lamentare, sollevando incidente di costituzionalità, che il termine decadenziale di un anno fosse già interamente decorso prima dell'entrata in vigore della legge che ex novo lo ha introdotto.
6. Queste riflessioni convincono che alla disposizione in esame non può essere ascritto il significato suggerito da un primo approccio pura mente letterale, non saggiato dal controllo delle conseguenze. La loro incongruenza o addirittura assurdità impone una lettura diversa, la quale ravvisa nel testo normativo un'ellissi esplicita bile, mediante l'interpretazione logico-sistematica, in un senso conforme in pari tempo all'intenzione del legislatore e ai principi costituzionali.
Coordinato col comma 1 dell'art. 4 del d.l. n.384 del 1992 e tenuto conto che l'originario art.47, secondo comma, della legge del 1970, ai fini del decorso del termine di decadenza, considerava soltanto il procedimento amministrativo contenzioso, il comma 3 deve essere inteso nel senso che il nuovo regime decadenziale non si applica quando, in relazione al ricorso amministrativo proposto anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, si siano già verificati i presupposti di decorrenza del termine previsto dalla legge precedente per la proposizione della domanda giudiziale (comunicazione della decisione definitiva del ricorso o scadenza del termine per la pronunzia della medesima) e il termine sia ancora pendente alla detta data.
Sotto questo aspetto, afferente al tempo antecedente il 19 settembre 1992, il comma 3 altro non e' se non un'applicazione del principio di irretroattività della legge. Sotto un altro aspetto, afferente al tempo successivo, la norma si qualificherebbe di diritto transitorio se alla frase "non si applicano" fosse attribuito anche il valore di deroga alla regola generale dell'art. 252 disp.att.cod.civ. Ma e' un punto di cui la Corte non ha ragione di occuparsi, sia perche' dalle ordinanze non risulta rilevante ai fini della decisione dei giudizi principali, sia comunque perche' la sua decisione compete al giudice del merito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 3, e 14 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito nella legge 14 novembre 1992, n.438, sollevate, in riferimento, rispettivamente, agli artt. 3 e 24 Cost., 3, 38 e 113 Cost., 3 Cost., dai Pretori di Bologna, Lecce e Brescia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 03/02/94.