ORDINANZA N. 11
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 79, terzo comma, 555, terzo comma, e 558, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 marzo 1993 dal Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Gardone Val Trompia nel procedimento penale a carico di Torri Alberto, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che, con ordinanza del 23 gennaio 1992, il Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Gardone Val Trompia, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità degli artt.555, terzo comma, e 558, secondo comma, del codice di procedura penale, questione che veniva dichiarata inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 491 del 1992 perche' le norme denunciate avevano già realizzato la loro funzione nel processo a quo e perche', inoltre, una delle questioni non risultava incentrata sulla norma effettivamente da evocare, e cioe' sull'art. 79, terzo comma, del codice di procedura penale;
che, con ordinanza del 19 marzo 1993, lo stesso Pretore - dopo aver espresso riserve circa la pronuncia di inammissibilità - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 555, terzo comma, 558, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui le prime due norme non prevedono rispettivamente che alla persona offesa dal reato non venga notificato il decreto di citazione a giudizio e che anche per la persona offesa decorrano, come per l'imputato, i termini minimi di comparizione di giorni quarantacinque, e l'art. 79, terzo comma, dello stesso codice non rinvia anche ai termini di cui all'art. 567, secondo comma, ma soltanto a quelli di cui all'art. 468 del codice di procedura penale;
che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate;
considerato che l'esame della seconda questione e' logicamente prioritario rispetto alle altre due, in quanto la necessità della notifica alla persona offesa dal reato del decreto di citazione ed il regime connesso alla presentazione delle liste nel giudizio pretorile risultano chiaramente condizionate dalla brevità dei termini tra la notifica della citazione e la data fissata per il dibattimento, con la conseguenza che anche l'esercizio del diritto alla prova su cui si incentrano le altre due questioni resterebbe comunque salvaguardato in presenza di un diverso termine per la citazione in giudizio della persona offesa, tanto da far desumere che le censure concernenti gli artt. 79, terzo comma, e 555, terzo comma, del codice di procedura penale siano state proposte subordinatamente al mancato accoglimento di quella avente ad oggetto l'art.558, secondo comma, dello stesso codice;
che questa Corte, con sentenza n. 453 del 1992, ha già dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, proprio nella parte in cui, nel procedimento davanti al pretore, "limita a soli cinque giorni precedenti l'udienza dibattimentale la citazione della persona offesa";
che in tale situazione, pur dandosi atto "che, nell'ambito del processo pretorile, il termine minimo di cinque giorni dalla data fissata per il dibattimento per la citazione della persona offesa può in taluni casi vanificare, di fatto, il diritto di costituirsi parte civile soprattutto quando sia in gioco la citazione del responsabile civile", si ritenne preclusa dall'"assenza di un tertium comparationis ricavabile dal sistema" qualsiasi decisione manipolativa in grado di pervenire ad "una soluzione costituzionalmente obbligata", così da fronteggiare le ipotizzate incongruenze derivanti dall'applicazione della norma sottoposta a censura;
che, più in particolare, si ravvisò l'assoluta impossibilità di un intervento della Corte tale da incidere sul vigente assetto normativo in modo da equiparare la posizione della persona offesa a quella dell'imputato, non soltanto per la diretta interferenza del temine minimo di quarantacinque giorni di cui all'art.555, terzo comma, del codice di procedura penale con la scelta, riservata solo a quest'ultimo, di utilizzare i riti di deflazione del dibattimento, ma anche per la diversità delle situazioni poste a raffronto, in quanto "non rivestendo ancora la persona offesa" nel procedimento pretorile - ove e' assente l'udienza preliminare - la qualità di parte, "l'applicazione ad essa dello stesso termine assegnato all'imputato comporterebbe l'operatività, questa volta davvero irragionevole, "di un identico regime rispetto a situazioni non omogenee";
che nella medesima pronuncia fu pure preso in considerazione "il ricorso al termine previsto per la persona offesa dal reato nel procedimento davanti al tribunale ed alla corte di assise (esteso, in via interpretativa, al responsabile civile dalla sentenza n. 430 del 1992)", ma la soluzione fu anch'essa ritenuta non perseguibile "perche' tale termine finirebbe con l'interferire, travolgendola, con la duplicità dei termini previsti dall'art. 555, con conseguenti riverberi sull'intero assetto normativo collegato alla citazione delle parti nel processo pretorile";
che, quindi, "poiche' le soluzioni possibili al fine di porre rimedio al regime predisposto dall'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, si profilano come discrezionali, va ribadito che "la scelta del termine congruo per la citazione della persona offesa nel giudizio pretorile non appartiene alla competenza di questa Corte, dovendo essere affidata al legislatore" (v., ancora, sentenza n. 453 del 1992);
che, oltre tutto - anche allo scopo di assicurare un esito normativo a talune decisioni di inammissibilità pronunciate da questa Corte nelle quali veniva segnalato come solo il legislatore potesse intervenire rispetto a situazioni di dubbia legittimità costituzionale - un'iniziativa legislativa risulta essere stata già avanzata, avendo il Ministro di Grazia e Giustizia presentato il disegno di legge recante "Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimento pretorile" (Senato della Repubblica, XI legislatura, disegno di legge n.1087, comunicato alla presidenza il 18 marzo 1993), con il quale e' stato in gran parte ridisegnato il procedimento davanti al pretore contemplato dal vigente codice di rito, sulla base di "una profonda riflessione sul complesso di tale procedimento" riguardo al quale e' risultata "insufficiente una revisione che si limiti ad aggiustamenti e correttivi" (v. Relazione al detto disegno di legge n. 1087);
che, più in particolare, nell'ambito di una simile rivisitazione del procedimento in esame ha trovato posto una complessiva riformulazione del regime dei termini per comparire - attraverso la parificazione dei termini stessi, adesso diversa mente articolati in relazione alle varie parti private - prevedendosi (art. 3, sostitutivo degli artt. 555 e 558 ed abrogativo degli artt. 556, 557 e 559 del codice di procedura penale) che "Il decreto e' notificato all'imputato, al suo difensore e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio";
che l'intrinseca connessione della questione avente ad oggetto l'art. 558, terzo comma, con le altre, aventi ad oggetto gli artt. 555, terzo comma, e 79, terzo comma, del codice di procedura penale esime questa Corte da ogni pronuncia in merito alla denunciata mancata previsione della notifica del decreto di citazione alla persona offesa, il tutto a prescindere da ogni problema relativo alla rilevanza polemicamente affermata dal rimettente nonostante le statuizioni contenute nell'ordinanza n. 491 del 1992;
che, dunque, tutte le questioni ora proposte devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 79, terzo comma, 555, terzo comma, e 558, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Gardone Val Trompia con ordinanza del 19 marzo 1993.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/01/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 26/01/94.