Sentenza n. 465 del 1993

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SENTENZA N. 465

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1992 dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento di prevenzione proposto nei confronti di Trimboli Antonio, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso del procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni nei confronti di persona già sottoposta all'applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575; questa norma - che stabilisce che il provvedimento di confisca può essere adottato, su proposta del Procuratore della Repubblica o del Questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione (personale), ma prima della sua cessazione - risulta infatti applicabile nel caso di specie, nel quale, successivamente alla proposta per l'applicazione della misura reale, e al disposto sequestro di una serie di beni, la misura preventiva personale precedentemente irrogata è venuta a scadere (a seguito di riduzione del periodo in concreto determinato per essa, da due anni ad un anno, in sede di appello) in epoca anteriore alla data della camera di consiglio fissata per la deliberazione sulla confisca.

 

Pertanto, osserva il Tribunale rimettente, il tenore inequivoco della disposizione comporterebbe una declaratoria di improcedibilità sopravvenuta della proposta di applicazione della confisca, per effetto dell'ormai cessata sottoposizione del proposto alla misura della sorveglianza speciale.

 

2. - Detta previsione legislativa - che, si osserva nell'ordinanza, ha creato "uno sbarramento normativo insuperabile volto a garantire un singolare sincronismo tra attualità della misura personale e confiscabilità dei beni rientranti nel patrimonio del prevenuto" - è sottoposta a scrutinio di costituzionalità in quanto le esigenze di certezza e celerità cui essa sembrerebbe presiedere non paiono in realtà idonee a fondare una ragione effettiva della norma in argomento: la ragionevolezza della stessa è, ad avviso del giudice a quo, solo apparente, giacchè in definitiva attraverso l'accennato sbarramento vengono a prodursi effetti distorsivi rispetto alle finalità della disciplina complessiva, ed in particolare una ingiustificata "impunità patrimoniale" nei confronti di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose. Siffatti inconvenienti - prosegue il rimettente - appaiono particolarmente evidenti nel caso concreto, in cui non solo la proposta per l'applicazione della confisca è anteriore alla cessazione della sorveglianza speciale, ma anche il decreto di sequestro precede ampiamente lo scadere della misura personale, e in cui pertanto si è in presenza di un cespite sulla cui "illiceità" vi è stata una prima, sia pur sommaria, delibazione da parte di un organo della giurisdizione.

 

Proprio il rilievo dell'anteriorità dell'avvio della procedura di prevenzione patrimoniale rispetto allo scadere della misura personale costituisce, in questa prospettazione, circostanza idonea ad elidere la giustificazione della previsione normativa in termini di certezza o garanzia: non si vede perchè debba essere vanificato il procedimento allorchè il (già) prevenuto sia pienamente consapevole della pendenza della procedura patrimoniale e ne abbia già subìto gli effetti sul piano della misura del sequestro, prodromica alla confisca.

 

3. - A rafforzare il sospetto di incostituzionalità della norma denunziata, aggiunge ancora il giudice a quo, stanno altresì le coordinate normative che regolano il procedimento applicativo della confisca, ed in particolare la congerie di accertamenti che l'art. 2 bis della legge n. 575 del 1965 prescrive per verificare l'effettiva consistenza del patrimonio, posseduto anche indirettamente (tramite prestanomi, parenti e così via), nonchè l'ulteriore necessario momento accertativo-valutativo teso a delineare la correlazione tra l'attività illegale addebitata al soggetto e l'arricchimento che ne è conseguito; appare così irrazionale, sotto il profilo della incongruenza tra il mezzo (strumento della confisca) ed il fine di tutela della collettività, la cesura temporale imposta dalla norma denunziata, che oltretutto può essere determinata da ragioni non riferibili all'attività dell'organo proponente o all'autorità preposta all'indagine, bensì alle esigenze difensive e alla oggettiva complessità di accertamenti ed acquisizioni. In siffatti casi, prosegue il rimettente, risulta superflua l'ulteriore comminatoria di termini più ampi (fino a due anni, a norma dell'art. 2 ter citato, terzo comma) di efficacia del sequestro, giacchè in via generale la cessazione della misura personale avverrà in corso di procedimento, prima della consumazione di quel termine.

 

4. - Il Tribunale rimettente conclude prospettando alla Corte costituzionale un possibile intervento idoneo ad evitare i profili di illegittimità costituzionale lamentati, e cioè la riformulazione della norma con la sostituzione della parola "proposti" alla parola "adottati"; col che, il momento conclusivo di applicazione in concreto della misura personale verrebbe a segnare lo sbarramento non più dell'adozione della confisca bensì dell'azionabilità del relativo procedimento, recuperando alla norma i connotati di più idoneo contemperamento tra i diritti e le garanzie del prevenuto e le ragioni di tutela collettiva sottese alla legislazione del settore.

 

5.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

 

L'Avvocatura osserva, da un lato, che, se il termine entro il quale le misure patrimoniali possono essere adottate - comunque non inferiore ad un anno - può risultare inadeguato, ciò deriva da evenienze di fatto e da modalità pratiche del procedimento di prevenzione, che non si traducono in vizi di illegittimità della norma. D'altra parte, la scelta legislativa di porre quel termine in correlazione con la misura personale appare giustificata: la confisca è pur sempre ricollegata alla misura di prevenzione, e già l'averla resa adottabile in tempo successivo appare uno "strappo" sul piano della legalità. Se non vi fosse quel termine, e se dunque venisse meno il collegamento tra misura personale e misura reale, quest'ultima risulterebbe un "mero provvedimento amministrativo adottato senza alcuna garanzia giurisdizionale", svuotandosi di significato l'intervento del giudice.

 

Considerato in diritto

 

l.- É stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, il quale stabilisce che i provvedimenti - previsti dall'articolo medesimo - di sequestro e di confisca dei beni di soggetti sottoposti a misure di prevenzione personale, possano essere adottati, su richiesta del procuratore della Repubblica o del questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione.

 

Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di tale norma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza di detto sbarramento temporale legato alla cessazione della misura di prevenzione personale, in rapporto alle esigenze pur tenute presenti dal legislatore che, nel terzo comma dello stesso art. 2 ter, ha previsto che la confisca possa essere disposta entro un anno (prorogabile di un altro anno) dal sequestro.

 

2.l.- Da quanto precede risulta che la questione come prospettata muove da una interpretazione strettamente legata alla lettera del sesto comma del citato art. 2 ter ("I provvedimenti previsti dal presente articolo possono essere adottati... anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione) e quindi da una lamentata interferenza tra la norma denunciata (sesto comma) e quella (terzo comma) che prevede il termine annuale (prorogabile di un altro anno nel caso di indagini complesse), nel senso che la prima impedirebbe alla seconda di esplicarsi autonomamente: cessando l'esecuzione in concreto della misura personale, il sequestro disposto rimarrebbe senza seguito, anche ove non sia trascorso l'anno (e la sua eventuale proroga) previsto dal terzo comma, a causa dello "sbarramento" insuperabile indicato dalla disposizione impugnata nella cessazione della misura personale.

 

2.2. - La prospettazione del rimettente determina l'esigenza di precisare la relazione che intercorre tra il terzo ed il sesto comma dell'art. 2 ter specie in rapporto a quelle che sono le finalità del sesto comma.

 

Quest'ultima disposizione, storicamente occasionata dalla possibilità ed opportunità di effettuare, già in sede di prima applicazione della legge n. 646 del 1982, che ha introdotto gli strumenti di prevenzione patrimoniale in argomento, la confisca dei beni dei soggetti indiziati di appartenenza a organizzazioni di stampo mafioso ai quali prima dell'entrata in vigore di quella legge fosse già stata applicata la misura di prevenzione personale, assolve la funzione: a) di rendere possibile l'inizio del procedimento di prevenzione patrimoniale anche dopo l'irrogazione (in primo grado) della misura personale, ciò che altrimenti non sarebbe possibile alla stregua dei commi che precedono e che suppongono un sequestro entro la definizione del primo grado; b) di "prorogare", conseguentemente, la competenza dell'organo giudicante ad adottare le misure patrimoniali (e a svolgere le indagini ad esse finalizzate) nell'ambito di un procedimento che ha come presupposto quello già definitosi con l'irrogazione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza.

 

3.- Ciò premesso, osserva la Corte come non si possa dubitare innanzitutto della ragionevolezza della norma denunciata là dove "aggancia" la possibilità di avvio del procedimento di prevenzione patrimoniale alla applicazione in corso della misura personale, misura che è allo stato il presupposto dell'adozione di quella patrimoniale, poichè un termine finale per l'avvio del procedimento per l'irrogazione di questa v'ha da essere, coerentemente con la scelta attuale del legislatore che esclude in via di principio la possibilità dell'irrogazione di misure patrimoniali indipendentemente dalle misure di prevenzione personali. Un principio, questo, le cui uniche eccezioni sono rappresentate dal disposto del settimo comma dell'articolo 2 ter, introdotto dall'art.2 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (eccezione significativamente delimitata quanto all'oggetto della misura), e dall'ipotesi del successivo ottavo comma, in cui peraltro non vi è tanto una deroga al principio detto quanto una disciplina che muove dal dato dell'applicazione di misure di sicurezza, di contenuto analogo a quello della misura preventiva personale, e dunque da una valutazione di sostanziale inutilità di una duplicazione del presupposto in argomento.

 

D'altra parte, alla medesima ratio di certezza e necessaria definizione di situazioni pendenti in modo precario (il sequestro di prevenzione, pur con tutte le sue peculiarità, è comunque una misura di ordine cautelare) si riconnette la funzione di chiusura anche in ordine alla confiscabilità; in questo senso, la prospettazione sostitutiva del giudice a quo, che propone la trasformazione della parola "adottati" con "richiesti" nella norma impugnata, non può essere presa in considerazione, comportando detta ipotesi l'eliminazione di ogni termine finale.

 

Lo stesso giudice a quo, pur prospettando questa formula sostitutiva, non contesta d'altronde espressamente l'aggancio del termine iniziale per l'avvio del procedimento di prevenzione patrimoniale al permanere attuale della misura personale, lamentando in senso proprio che il termine ultimo per adottare la confisca a norma del sesto comma possa essere, in concreto, troppo breve e comunque assai più breve dell'anno (prorogabile nei sensi anzidetti) stabilito quale termine finale di efficacia del sequestro nel terzo comma.

 

Secondo le argomentazioni dell'ordinanza di rinvio, l'irragionevolezza sussisterebbe in quanto una cosa è far funzionare la misura personale in atto come presupposto della misura patrimoniale, in armonia con l'attuale scelta legislativa di principio; altra cosa sarebbe subordinare la confisca alla durata della misura personale, perchè del tutto diversi sono i criteri di commisurazione della durata della sorveglianza speciale rispetto ai profili implicati dalle indagini patrimoniali. Gli accertamenti si muovono difatti su piani diversi, come diversi sono i presupposti sostanziali da appurare e verificare per poter addivenire alle misure: in un caso, verifica degli indizi di appartenenza a organizzazioni criminali e valutazione del coefficiente soggettivo di pericolosità; nell'altro, dopo la predetta verifica che ne è presupposto, accertamento della disponibilità di beni anche attraverso interposizioni o prestanome, e verifica a) della sproporzione tra il patrimonio reale e quello dichiarato o rispetto all'attività economica svolta, ovvero b) della esistenza di elementi idonei a far ritenere l'origine o il reimpiego illegali dei beni del prevenuto. Si può del resto essere persone di relativa pericolosità e quindi tali da essere sottoposte ad una misura personale di breve durata ed avere accumulato beni dei quali sia difficile accertare la provenienza se non dopo lunghe e complesse indagini.

 

3.l.- Prima di valutare se gli inconvenienti lamentati dal giudice a quo configurino una irragionevolezza rilevante sul piano della costituzionalità, sembra opportuno verificare se, oltre alla interpretazione della norma legata al dato lettera le e dalla quale muove il giudice nel sollevare l'incidente di costituzionalità, sia possibile una interpretazione alternativa.

 

A questa può addivenirsi orientandosi verso una diversa ricostruzione complessiva della disciplina dei termini in argomento. In questa ricerca non sembra in primo luogo potersi accedere ad una interpretazione che muova dall'idea di una completa e totale autonomia tra le norme del terzo e del se sto comma dell'art. 2 ter. Una interpretazione cioé secondo la quale le due previsioni temporali sarebbero applicabili, in via alternativa, in dipendenza del puro dato procedimentale dell'anteriorità o meno del sequestro rispetto all'irrogazione della misura preventiva (se il sequestro precede la irrogazione della misura personale si applica solo il terzo comma e si fruisce di un anno prorogabile per provvedere alla confisca; se il sequestro è successivo si ha riguardo solo al termine di cessazione della misura personale). Questa tesi, proposta in dottrina, non può essere seguita perchè si fonda su di un criterio di differenziazione - il momento di applicazione della cautela - del tutto estrinseco ed accidentale rispetto alle finalità della misura patrimoniale e quindi non elimina il problema, ma lo accentua.

 

Anzi l'affermazione della applicabilità del termine di cui al terzo comma anche in relazione ai sequestri effettuati dopo l'applicazione della misura personale, sembra trovare qualche conferma - in mancanza di univoci orientamenti giurisprudenziali sul punto - nell'origine della disciplina (artt. 2,3 e 4 del disegno di legge n. 2982/C/VIII legislatura) in cui il termine annuale sembrava collegabile anche all'ipotesi di sequestro posticipato.

 

4.2.- Ma per ovviare agli inconvenienti segnalati dal rimettente senza andare incontro ad altri, sembra possibile una interpretazione che contemperi la previsione del sesto comma con quella del terzo comma. A questo fine si deve muovere dall'individuare la chiave di volta della disciplina proprio nel terzo comma, nel senso che è all'escursione dell'anno (più uno) che occorre in via di principio fare riferimento per stabilire la cessazione di efficacia del sequestro, una volta adottato e quale che sia il momento di adozione. Ed in proposito non potrebbe non convenirsi che, qualora non si seguisse questa linea interpretativa, si dovrebbe pervenire alla conclusione che prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 55 del 1990, poichè il termine annuale coincideva con il minimo di durata della misura preventiva personale, lo "scarto" tra termine utile alla confisca nel sequestro anteriore alla irrogazione della misura personale e termine utile in caso di sequestro posteriore veniva a porsi in termini contenuti; mentre, dopo le accennate modifiche, lo squilibrio si sarebbe sensibilmente accentuato, potendosi in concreto fruire di oltre due anni nel primo caso (stanti le cause di sospensione ex ultima parte del terzo comma), e di pochi mesi nel secondo (come nella vicenda del giudizio principale).

 

D'altronde la semplice trasposizione del termine del terzo comma nei casi di sequestro posticipato, se idonea ad eliminare gli inconvenienti connessi al caso di misura personale di durata inferiore ai due anni, darebbe luogo ad altri nel caso di misura personale più lunga, ovvero in quello di sottrazione all'applicazione della stessa, giacchè in queste ipotesi il termine del sesto comma risulterebbe più "vantaggioso" ai fini della adozione della confisca. Sembra invece che ad entrambe le categorie di inconvenienti potrebbe ovviarsi rovesciando l'impostazione del rimettente, con una interpretazione condotta secondo criteri sistematici e finalistici e che, coordinando la previsione del sesto comma con quella del terzo comma, muova dal considerare che in generale il termine ultimo di efficacia del sequestro - e la possibilità di adottare la confisca entro detto termine che è perentorio - è quello del terzo comma, rispondente ad una ragionevole e adeguata programmazione investigativa ai fini che interessano, a meno che non sia dato in concreto un termine maggiore, coincidente con la maggiore durata della misura personale. Questa residualità applicativa del sesto comma manterrebbe alla norma ed al termine finale in essa previsto la funzione loro assegnata quale momento non superabile a garanzia della chiusura delle vicende patrimoniali, e sarebbe altresì coerente col canone di conservazione del significato di entrambe le disposizioni e della finalità cui con ciascuna di esse si intende pervenire.

 

4.3.- In conclusione, la complessa ricostruzione del quadro normativo nei sensi anzidetti orienterebbe verso una interpretazione che, tenendo ferma l'esigenza certamente perseguita dalla legge, di ancorare l'avvio del procedimento di prevenzione patrimoniale al perdurare dell'applicazione della misura personale, e senza distinguere l'ipotesi del sequestro adottato prima della irrogazione di questa misura da quella del sequestro adottato successivamente, consente di utilizzare per la sua definizione il termine più lungo fra quello previsto dal terzo comma dell'art. 2 ter citato (un anno più un altro eventuale anno dal sequestro) e quello previsto dal sesto comma (cessazione della misura personale).

 

5.- Una volta individuata, in alternativa alla interpretazione letterale della norma denunciata, da cui muove l'ordinanza di rimessione, un'altra possibile interpretazione della norma stessa, ispirata a criteri sistematici e finalistici, che sembra in gran parte ovviare agli inconvenienti segnalati nell'ordinanza di rinvio secondo l'interpretazione su cui essa si basa, la Corte non ritiene tuttavia che questi inconvenienti siano tali da configurare una irragionevolezza rilevante sul pia no della costituzionalità, onde l'infondatezza della questione.

 

Anche a prescindere dal considerare la difficoltà che incontrerebbe l'ipotesi di una addizione deteriore nella materia in esame (ord. n. 721 del 1988

) qualora dovesse effettivamente profilarsi la fondatezza della questione, non sembra in ogni caso che si versi in questa evenienza.

 

L'interpretazione letterale della norma denunciata, quale offerta per il momento dal giudice a quo, fa assumere assoluta prevalenza al principio dell'ancoraggio pieno della prevenzione patrimoniale alla prevenzione personale. Un principio che, nel quadro delle scelte legislative, costituisce un'opzione non censurabile dal punto di vista della costituzionalità, dato che il legislatore ha fino ad oggi seguito una linea che tende a considerare la misura patrimoniale quasi la prosecuzione di quella personale.

 

L'interpretazione sistematico-finalistica, non esclusa espressamente dal dato letterale, illustrata in precedenza e non presa in considerazione dal giudice a quo, si mostra anch'essa coerente con questa linea - perchè assume la cessazione della durata della misura personale come termine insuperabile ai fini dell'avvio del procedimento di prevenzione patrimoniale, soggetto comunque, per la sua conclusione, al termine finale indicato dal terzo comma dell'art. 2 ter citato - e può ovviare agli inconvenienti cui si è esposti con l'altra interpretazione, risultando maggiormente in armonia con gli obiettivi perseguiti dalla legislazione in materia.

 

Il problema che viene sollevato non rileva dunque sul piano della costituzionalità, mentre è suscettibile di essere affrontato e risolto diversamente per ovviare agli inconvenienti lamentati, in base ad opzioni interpretative possibili; il che sottolinea anche l'esigenza di una adeguata opera di risistemazione e coordinamento dello stratificato plesso di norme che regolano questa materia.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/12/93.