Sentenza n. 441 del 1993

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SENTENZA N. 441

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077 (Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1990 dalla Corte dei conti-Sezione terza giurisdizionale-sul ricorso proposto da Maloberti Achille, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera .li consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte dei conti, con ordinanza 14 novembre 1990 - nel corso di un giudizio promosso da un dipendente della Camera di commercio, industria e artigianato di Genova, per ottenere che, al fine del computo della pensione, fosse considerata anche la "gratificazione annuale" di cui all'art. 40 del regolamento approvato con decreto ministeriale 16 marzo 1970, relativo al personale camerale - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, nella parte in cui ha escluso la pensionabilità delle mensilità oltre la tredicesima per gli iscritti alla Cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali, istituita presso gli Istituti di previdenza del Ministero del tesoro, con trattamento economico di attività di servizio disciplinato da regolamento ministeriale.

Nell'ordinanza di rimessione si deduce il contrasto di tale disposizione, in parte qua, con l'art. 3 Cost., giacchè - prevedendo che le mensilità oltre la tredicesima, corrisposte a titolo di gratifiche annuali o altrimenti periodiche, fossero computabili ai fini della pensione soltanto per gli iscritti con trattamento economico di attività di servizio regolato da contratto collettivo di lavoro, e limitatamente alla parte di esse corrisposte ai sensi di tale contratto - avrebbe posto in essere un'ingiustificata disparità di trattamento.

Il giudice a quo deduce al riguardo che l'art. 15, primo comma, ha stabilito, in via generale, che la retribuzione annua contributiva "é la risultante degli emolumenti fissi e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro, come remunerazione per la normale attività lavorativa".

Tale norma é intesa ad assicurare che gli emolumenti computabili ai fini pensionistici abbiano carattere di generalità, escludendo la computabilità di quelli previsti dai regolamenti dei singoli enti. Peraltro, gli emolumenti previsti da regolamenti ministeriali - come quelli in questione - secondo il giudice a quo avevano tale carattere, e quindi sarebbero stati irrazionalmente e discriminatoriamente non compresi tra gli emolumenti computabili a fini pensionistici.

Nell'ordinanza di rimessione si deduce anche il contrasto della suddetta esclusione con l'art. 36 Cost., essendo gli emolumenti in questione elementi della normale retribuzione lavorativa, dei quali la norma costituzionale impone che si tenga conto ai fini della pensione, stante la natura di retribuzione differita di quest'ultima.

2.- Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Nell'atto di costituzione si deduce al riguardo che il legislatore, con l'art. 16 della legge n. 1077 del 1959, consentendo il computo, ai fini del calcolo della pensione, delle mensilità oltre la tredicesima, corrisposte a titolo di gratifiche annuali o altrimenti periodiche, soltanto per gli iscritti alla Cassa pensioni con trattamento economico di attività di servizio regolato da contratto collettivo di lavoro e, comunque, limitatamente alla parte di esse corrisposte obbligatoriamente ai sensi del rispettivo contratto di lavoro, ha debitamente valutato che la rilevante consistenza numerica delle predette categorie assicurava, da un lato, una base contributiva allargata, adeguata in relazione ai conseguenti oneri pensionistici e, dall'altro, la maggiore ponderatezza e la minore entità degli emolumenti concessi in sede di contrattazione nazionale.

La norma impugnata troverebbe la propria ratio nei suddetti elementi, che invece non sarebbe dato di riscontrare nei confronti del personale con retribuzione disciplinata da decreto ministeriale. In tal caso, infatti, trattandosi di un numero limitato di soggetti, il rischio di maggiore liberalità nella elargizione di consistenti emolumenti retributivi, unitamente alla ristretta base contributiva, metteva in pericolo la necessaria copertura degli oneri pensionistici.

Pertanto, sarebbe priva di fondamento la tesi secondo la quale irrazionalmente il legislatore avrebbe trattato diversamente (al fine di considerare quale retribuzione contributiva utile a pensione la gratificazione annuale), la posizione dei dipendenti disciplinati da contratto collettivo da quella dei dipendenti delle Camere di Commercio, la cui disciplina discendeva (sino al loro passaggio alle regioni) da regolamento ministeriale.

Quanto alla dedotta violazione dell'art. 36 Cost., nell'atto d'intervento si osserva che tale norma garantisce al lavoratore "una esistenza libera e dignitosa", che non é compromessa dal mancato calcolo, ai fini della pensione, della gratifica in questione.

Considerato in diritto

l. - L'articolo 15 della legge 5 dicembre 1959 n. 1077 (Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) stabilisce che la retribuzione annua contributiva (sulla base della quale si calcola la pensione) è rappresentata dagli <elementi fissi e continuativi o ricorrenti ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro, come remunerazione per la normale attività lavorativa richiesta per il posto ricoperto>.

Il successivo articolo 16 prevede alcune eccezioni a tale principio generale. In particolare, il secondo comma stabilisce che <le eventuali mensilità oltre la tredicesima corrisposte a titolo di gratifiche annuali o altrimenti periodiche ... sono da comprendersi nella retribuzione annua contributiva soltanto per gli iscritti con trattamento economico di attività di servizio regolato da contratto collettivo di lavoro e comunque limitatamente alla parte di esse corrisposte obbligatoriamente ai sensi del rispettivo contratto di lavoro>.

La Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale -con riferimento agli articoli 3 e 36 Cost. di quest'ultima disposizione, nella parte in cui esclude la pensionabilità delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima per gli iscritti alla C.P.D.E.L. con trattamento economico di attività di servizio disciplinato (non da contratto collettivo ma) da regolamento ministeriale. La questione è riferita in particolare al personale delle camere di commercio, con rapporto di impiego disciplinato dal regolamento di cui al decreto ministeriale 16 marzo 1970 (che, all'articolo 40l prevede una gratificazione annuale - oltre alla tredicesima - pari a due mensilità di retribuzione).

La norma impugnata secondo il giudice a quo è intesa ad assicurare che gli emolumenti pensionabili abbiano carattere di generalità, escludendo la computabilità di quelli previsti dai regolamenti dei singoli enti.

Peraltro, gli emolumenti previsti da regolamenti ministeriali presentano anch'essi tale carattere di generalità alla pari di quelli previsti dai contratti collettivi - e pertanto la limitazione disposta dal secondo comma del citato articolo 16 sarebbe, per questo verso, irrazionale e discriminatoria.

2. - La questione non è fondata.

Vi è da osservare che la limitazione alla computabilità ai fini contributivi e pensionistici delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima è riferita in via preliminare dalla norma impugnata non già alla fonte normativa che prevede e regola tali erogazioni retributive, ma al tipo di rapporto cui esse accedono. La computabilità è infatti comunque esclusa per tutti i rapporti non regolati direttamente ed esclusivamente da contratti collettivi di diritto comune e cioé per tutti i rapporti di tipo non privatistico. É solo con riguardo ai rapporti di impiego a regime privatistico e quindi regolati direttamente da contratto collettivo che viene in rilievo la seconda limitazione disposta dalla norma in esame, quella secondo cui, perchè siano computabili agli effetti in questione, le mensilità aggiuntive debbono essere considerate dal medesimo contratto collettivo che regola il rapporto ed essere ivi previste come obbligatorie.

Ed è quindi solo questa seconda limitazione che risponde effettivamente alla specifica ratio di escludere la pensionabilità di emolumenti previsti non dalla disciplina generale, ma solo da quella particolare dei singoli enti o dei singoli rapporti.

Tale interpretazione, oltre che essere imposta dal tenore letterale della disposizione, trova conferma nella considerazione delle finalità di omogeneizzazione certamente apprezzabili che il legislatore ha inteso perseguire in questa materia (quali sono state ben evidenziate-- con significativi richiami al dibattito parlamentare dalle sentenze della stessa Corte dei conti, Sez.III, pensioni civili, in data 17 aprile 1989 nn. 62748 e 62739).

L'esclusione assoluta della pensionabilità delle mensilità aggiuntive ulteriori alla tredicesima per i rapporti di tipo pubblicistico trovava, infatti, la sua giustificazione nella circostanza che simili emolumenti costituivano una vera e propria anomalia, non essendo previsti nè nel trattamento economico dei dipendenti dello Stato - che era il modello al quale doveva tendenzialmente uniformarsi il rapporto di impiego dei dipendenti degli enti locali nè nella generalità degli ordinamenti relativi a questa categoria di dipendenti pubblici. Essendo falliti i ricorrenti tentativi di riportare ad uniformità il trattamento di attività del pubblico impiego - specie a causa della tendenza degli enti locali a istituire emolumenti aggiuntivi-il legislatore del 1959 aveva inteso evitare che tali difformità avessero rilevanti riflessi anche sul trattamento di quiescenza. Una simile esigenza non s; poneva, invece, per il personale regolato dai comuni contratti collettivi di diritto privato, sia perchè il loro trattamento era ex se del tutto eterogeneo rispetto a quello del pubblico impiego, sia perchè la disciplina generale di tale trattamento, essendo la risultante dei normali meccanismi di mercato, era meno suscettibile di essere condizionata dai suddetti fattori distorsivi. Per i dipendenti a regime privatistico, l'esigenza di omogeneizzazione, che non si poneva con riferimento alla disciplina generale del loro rapporto, tornava a sussistere con riferimento ai trattamenti aggiuntivi che potevano essere pattuiti a livello del singolo ente, ovvero per particolari categorie o ad personam. Di qui l'esclusione della pensionabilità per tutti quegli emolumenti estranei alla previsione del contratto collettivo.

3. - Agli effetti della pensionabilità o meno delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima, il discrimine non è quindi quello prospettato dal giudice a quo.

Riferita invece - come deve essere o alla distinzione tra rapporti di diritto pubblico e rapporti regolati dai comuni contratti collettivi privati, la denunziata diversità di disciplina non determina violazione dell'articolo 3 della Costituzione, perchè, a parte la diversità tra le situazioni regolate, essa è ragionevolmente giustificata dalle considerazioni che si sono sopra esposte.

4. - Nè sussiste la denunziata lesione dell'articolo 36 della Costituzione.

É vero, infatti, che dagli articoli 36 e 38 discende il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore e alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita.

Tuttavia, i ricordati principi di proporzionalità e di adeguatezza non comportano che sia garantita in ogni caso una integrale corrispondenza tra retribuzione e pensione ma lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che-senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico-siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione.

Nel caso in esame, il principio di proporzionalità tra il reddito pensionistico ed il normale reddito di lavoro è sostanzialmente assicurato dagli articoli 15 e 16 della legge n. 1077 del 1959, mentre il correttivo in esame è giustificato dall'esigenza di omogeneizzazione di cui si è fatto cenno.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959 n.1077 (Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) sollevata dalla Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale, con ordinanza del 14 novembre 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/12/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/12/93.