Sentenza n. 427 del 1993

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SENTENZA N. 427

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l.23 dicembre 1976, n. 857 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 1977, n. 39, promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1992 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Guareschi Giuditta e Parducci Mario ed altri, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.12, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di costituzione della s.p.a. R.A.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Valerio Onida per la s.p.a. R.A.S. e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. Nel corso del procedimento civile instaurato da Giuditta Guareschi contro Mario Parducci e la s.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS) per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un incidente automobilistico, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 29 ottobre 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l. 23 dicembre 1976, n.857, convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità alle imprese assicuratrici della sanzione comminata dal nono comma del medesimo art. 3 nel caso di sinistro che abbia causato lesioni personali guarite oltre i quaranta giorni e/o produttive di postumi permanenti".

Premesso che la compagnia assicuratrice non ha comunicato alcuna offerta di indennizzo all'attrice e che per le circostanze del caso tale comportamento deve ritenersi doloso o, quanto meno, gravemente colposo, il giudice remittente si duole di non poter irrogare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 3, nono comma, del d.l. n. 857 del 1976, il quale "configura un'ipotesi di illecito del tutto autonoma rispetto alla violazione degli obblighi imposti all'assicuratore dai precedenti commi e dagli artt. 8 e 13 del d.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45". Sarebbe perciò erroneo ritenere necessario anche in questa ipotesi l'espletamento da parte del danneggiato delle formalità di cui al primo comma, e in particolare l'invio all'assicuratore della richiesta di risarcimento.

Tuttavia, nel caso di specie, pur ricorrendo i presupposti indicati nel nono comma dell'art. 3 (tenuto conto della sent. n. 4468 del 1991 della Corte di cassazione, che ha affermato l'applicabilità della norma anche nell'ipotesi di mancata offerta da parte dell'assicuratore), la sanzione non è applicabile, l'ambito normativo dell'art. 3, e quindi anche del nono comma, essendo limitato ai sinistri che abbiano cagionato solo danni alle cose o lesioni personali, non aventi carattere permanente, guarite entro quaranta giorni.

Il limite di applicabilità della sanzione è dal Tribunale ritenuto lesivo del principio di eguaglianza, non sembrandogli giustificata la disparità di trattamento di ipotesi analoghe e, a maggior ragione, di ipotesi di sinistro che abbia causato lesioni personali con postumi permanenti o comunque gravi, "che richiederebbero una più pronta attivazione delle compagnie assicuratrici nella liquidazione del danno".

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la RAS s.p.a. chiedendo una dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione.

L'inammissibilità è eccepita per quattro motivi: a) difetto di motivazione sulla rilevanza; b) carenza di rilevanza attuale perchè la sentenza "non definitiva" pronunziata dal tribunale in realtà ha già definito il giudizio, avendo deciso sull'an e sul quantum del richiesto risarcimento e non potendo la sanzione di cui alla norma impugnata essere applicata separatamente con un provvedimento autonomo; c) irrilevanza ed errata individuazione della norma sospettata di incostituzionalità, sia perchè, contrariamente all'opinione del giudice a quo, essa forma con i commi precedenti dell'art. 3 un sistema unitario incentrato sul presupposto, nella specie mancante, degli adempimenti formali previsti nel primo comma da parte del danneggiato, sia perchè la prospettata dichiarazione di incostituzionalità non potrebbe mai qualificare retroattivamente come illecito, e tanto meno consentirne una valutazione di imputabilità a dolo o colpa grave, un comportamento omissivo (mancata offerta al danneggiato di una somma a titolo di risarcimento) che all'epoca in cui fu tenuto era conforme a legge; d) per essere la questione formulata in termini di richiesta di una pronunzia additiva in materia sanzionatoria, contro la regola che vieta le pronunce additive in malam partem per qualunque forma di responsabilità per fatto illecito.

Nel merito la parte costituita ritiene la questione infondata perchè la scelta di prevedere il meccanismo dell'obbligo di offerta del risarcimento e delle relative sanzioni solo per le ipotesi di sinistri con danni alle cose e/o lesioni personali lievi e di carattere non permanente, è espressione di ragionevole discrezionalità legislativa.

L'argomento a fortiori addotto nell'ordinanza di rimessione non è pertinente, in quanto la sanzione di cui si discute non è correlata alla gravità delle conseguenze del sinistro, ma esclusivamente alla violazione dell'obbligo dell'assicuratore di comunicare una congrua offerta di risarcimento al danneggiato. Tale obbligo, diretto ad accelerare i tempi del risarcimento, si giustifica nelle ipotesi previste dalla legge, nelle quali si tratta di danni di facile accertamento, mentre nei casi di sinistro mortale o di lesioni personali gravi, la quantificazione del danno richiede accertamenti peritali lunghi e complessi e sovente, soprattutto in relazione al c.d. danno biologico, valutazioni equitative del giudice, che l'assicuratore non è in grado di anticipare.

Del resto, aggiunge la compagnia assicuratrice in una memoria integrativa, per la categoria di sinistri esclusa dalla previsione dell'art. 3 del d.l. n. 857 del 1976, l'interesse del danneggiato alla prontezza del risarcimento può essere agevolmente soddisfatto, su domanda dell'avente diritto, mediante l'assegnazione di una provvisionale ai sensi dell'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata con un argomento analogo a quello dedotto nel merito dalla parte privata.

Considerato in diritto

l. Il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento all'art.3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito in legge 26 febbraio 1977, n.39, "nella parte in cui non prevede l'applicabilità alle imprese assicuratrici della sanzione comminata dal nono comma del medesimo art. 3 nel caso di sinistro che abbia causato lesioni personali guarite oltre i quaranta giorni e/o produttive di postumi permanenti".

2. La questione è inammissibile.

L'interpretazione della norma impugnata, da cui prende le mosse il giudice remittente, non può essere condivisa. Premesso che "il nono comma dell'art.3 cit. configura una ipotesi di illecito amministrativo del tutto autonoma rispetto a quella riconducibile alla violazione degli obblighi imposti all'assicurazione dai commi precedenti dello stesso art.3 e dagli artt. 8 e 13 del d.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45", egli ritiene che la sanzione pecuniaria ivi prevista sia svincolata dal presupposto della richiesta di risarcimento da parte del danneggiato, di cui al primo comma, pur trattandosi di un "caso" che si specifica nell'ambito dell'ipotesi di sinistro con soli danni alle cose o che abbia causato lesioni personali, non aventi carattere permanente, guarite entro quaranta giorni.

Ma se il campo di applicazione della sanzione viene individuato nei termini dell'ipotesi prevista nei primi due commi, non si può non riconoscere che il nono comma forma un sistema unitario con i commi precedenti. Esso è destinato a garantire l'effettività dell'obbligo di offerta congrua derivante dalla richiesta del danneggiato, sanzionandone l'inadempimento quando, per dolo o colpa dell'assicuratore, attinga un grado di notevole sproporzione tra la somma offerta e quella liquidata dal giudice.

L'ordinanza di rimessione non spiega quale sarebbe il diverso fatto costitutivo dell'obbligo sanzionato dalla norma impugnata.

Esso non può certo essere ravvisato nella "possibilità, per l'assicuratore, di prendere contezza del sinistro e dell'entità delle conseguenze dannose in tempi ragionevoli relativamente alle circostanze": tale possibilità è un criterio di valutazione della diligenza dell'obbligato, in relazione al requisito del dolo o della colpa grave, non la fonte dell'obbligo.

Che l'obbligo di offerta non possa collegarsi se non alla richiesta di risarcimento, oltre che dalle connessioni sistematiche interne all'art.3 del d.l. n. 857 del 1976, si argomenta anche dai principi generali.

Poichè l'assicuratore è debitore del risarcimento direttamente verso il danneggiato (art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990), la richiesta di risarcimento è una figura particolare della richiesta del creditore ai sensi dell'art. 1219 cod. civ., alla quale la disciplina speciale in esame ricollega l'effetto di costituire in mora l'assicuratore che non provveda a liquidare il danno in una somma congrua alla sua entità, offrendola al danneggiato entro un certo termine.

Pertanto la questione è inammissibile perchè irrilevante ai fini della decisione del giudizio a quo, non avendo la danneggiata posto in essere, mediante la richiesta di risarcimento, il presupposto indefettibile dell'ipotizzato obbligo della società assicuratrice di offrire una somma risarcitoria congrua anche nel caso di sinistro che abbia causato lesioni personali con postumi permanenti o comunque guarite in un periodo superiore a quaranta giorni.

3. Restano assorbite le altre eccezioni di inammissibilità opposte dalla s.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.3, nono comma, del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/11/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/12/93.