CONSULTA ONLINE
SENTENZA N. 407
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, terzo comma, e 11, primo comma, della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1992 dal Pretore di Varese nel procedimento penale a carico di Schiaffi Claudio, iscritta al n.63 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Renato Granata.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di un giudizio penale innanzi al Pretore di Varese nei confronti di Schiaffi Claudio, imputato del reato di cui agli artt. 81 c. p. e 116, comma 1, n. 2, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, per avere emesso quattro assegni bancari dell'importo complessivo di £ 33.788.000, senza che presso la relativa banca trattaria esistessero i relativi fondi, il difensore, dopo l'apertura del dibattimento, chiedeva l'ammissione della testimonianza delle persone indicate nella lista per provare l'avvenuto pagamento, tempestivo e completo, di quanto richiesto dalla legge n. 386 del 1990 al fine della improcedibilità del reato. Prima di provvedere in ordine a tale richiesta il Pretore, a seguito di eccezione del Pubblico Ministero, ha sollevato , con ordinanza del 16 ottobre 1992, questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 8, terzo comma, e 11, primo comma, della citata legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in cui prevedono che la prova dell'avvenuto pagamento debba essere fornita in sede penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto il pagamento ovvero attestazione dell'azienda di credito comprovante l'effettuazione del deposito vincolato.
Ritiene il giudice rimettente che le norme censurate - nel prescrivere in via esclusiva una determinata prova documentale della causa di improcedibilità del reato, così introducendo un vero e proprio limite probatorio (prevalente, per il criterio della specialità, sulla ordinaria disciplina, peraltro precedente, delle prove nel processo penale) - confliggano con gli artt. 3 e 24, comma 2, Cost.
Infatti l'esistenza di un limite non superabile alla dimostrabilità di un fatto storico, quale l'avvenuto pagamento degli assegni, che impedisce in concreto l'inizio o il proseguimento dell'azione penale, compromette il diritto di difesa dell'imputato. Né pare giustificato al giudice rimettente che venga impedito all'imputato di valersi di uno strumento probatorio, quale é quello della testimonianza, solo perchè addebitato un reato previsto dalla disciplina sanzionatoria degli assegni bancari, mentre in generale, per tutti gli altri reati, l'imputato può usufruire degli ordinari mezzi di prova.
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'infondatezza della questione di costituzionalità atteso che il limite probatorio, previsto dalle norme censurate, persegue la finalità di garantire il rigoroso accertamento della condizione cui é subordinata la procedibilità del reato; inoltre non viola il diritto di difesa, né appare irragionevole in quanto non é previsto in relazione all'accertamento del fatto costitutivo del reato (rispetto al quale il pagamento in questione é del tutto irrilevante), bensì in funzione della applicabilità di una specifica condizione di procedibilità. L'esclusione della prova testimoniale risponde poi all'esigenza di semplificazione, celerità e certezza dell'accertamento, da un lato evitando il ricorso a persone compiacenti e dall'altro assicurando la certezza della data, elemento essenziale ai fini della ricorrenza della condizione in questione.
Considerato in diritto
l. -É stata sollevata questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost. - degli artt. 8, terzo comma, e 11, primo comma, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in cui prevedono che la prova dell'avvenuto pagamento dell'importo dell'assegno bancario (e degli accessori) debba essere fornita in sede penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto il pagamento ovvero attestazione dell'azienda di credito comprovante l'effettuazione del deposito vincolato per sospetta violazione: -del diritto di difesa giacchè l'imputato non può dimostrare altrimenti (se non mediante la suddetta prova documentale) l'esistenza di un fatto storico (l'avvenuto pagamento) che impedisce in concreto l'inizio o il proseguimento dell'azione penale; del principio di eguaglianza in ragione della disciplina ingiustificatamente deteriore (sotto il profilo della limitazione del diritto alla prova) prevista solo per l'ipotesi di reato di emissione di assegno bancario senza provvista rispetto alla generalità degli altri reati.
2.-Va premesso che - come già questa Corte ha avuto modo di sottolineare (sent. n. 32 del 1992
)-la nuova normativa sanzionatoria degli assegni bancari, introdotta con la legge n.386/90, prevede una speciale causa di improcedibilità dell'azione penale (o di improseguibilità della stessa, ove già iniziata) sia nella disciplina transitoria, che in quella a regime. Infatti, rispettivamente, l'art. 11, comma 1, prevede che per i reati commessi prima della data di entrata in vigore della legge stessa non si proceda ove sia provato che l'imputato, nel termine di novanta giorni dalla data suddetta, abbia pagato l'importo dell'assegno bancario (e degli accessori). Analogamente, a regime, l'art. 8, comma 1, prevede che il medesimo pagamento effettuato entro sessanta giorni dalla data di scadenza di presentazione del titolo è causa di improcedibilità (o improseguibilità) dell'azione penale.
3. - Le censure del giudice rimettente investono sia la disciplina a regime (art. 8, comma 3, cit.), sia quella transitoria (art. 11, comma 1, cit.). Ma soltanto di quest'ultima egli deve fare applicazione trattando si di reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n.386/90, sicchè è inammissibile per difetto di rilevanza la questione di costituzionalità riferita all'art.8, comma 3, pur se il suo contenuto precettivo indirettamente rileva - per quanto si dirà oltre - sulla valutazione delle medesime censure riferite all'art. 11, comma l.
4. - La questione di costituzionalità riferita all'art. Il, comma 1, è fondata.
La norma censurata prevede che la prova dell'avvenuto pagamento (dell'assegno bancario e degli accessori) debba essere fornita in sede penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto il pagamento ovvero attestazione dell'azienda di credito comprovante L'effettuazione del deposito vincolato.
L'inequivocabile tenore letterale della disposizione evidenzia -come del resto ritiene il giudice rimettente nella sua premessa interpretativa una eccezionale ipotesi di prova legale, nel senso che il fatto storico che determina l'improcedibilità dell'azione penale non può essere provato altrimenti che con le tre tipiche modalità sopra descritte. In tal senso è anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. 2 settembre 1992 n.9316) che parla di <atto a forma vincolata> il cui contenuto non può essere provato con altri strumenti equipollenti, nè è suscettibile di valutazione con altri mezzi di prova da parte del giudice. Si tratta quindi di un'eccezione al principio generale del diritto alla prova, quale recepito dall'art. 190 c.p.p., eccezione che, come tale, non è del tutto estranea allo stesso codice di rito che riconosce efficacia preclusiva anche nel processo penale ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili per lo stato di famiglia e di cittadinanza (art. 193 c.p.p.).
Se però in generale non può ritenersi che la previsione di limiti alla prova (intesa in senso ampio e quindi comprensiva anche della prova dei presupposti di fatto che rilevano ai fini della procedibilità dell'azione penale) sia incompatibile con la necessaria tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), ove questa debba contemperarsi con l'esigenza di tutela di altri diritti costituzionalmente garantiti, occorre pur sempre verificare la ragionevolezza di eventuali adattamenti o restrizioni conseguenti al bilanciamento operato dal legislatore;
verifica questa che nella fattispecie dell'art. 11 in esame - sia valutata in sè, sia considerata in rapporto alla parallela disciplina a regime posta dall'art. 8-non conduce al riscontro di sufficienti ed adeguate giustificazioni della limitazione del diritto alla prova.
Ed infatti la disciplina a regime (art. 8), nel prevedere analoghe modalità di prova (documentale) dell'avvenuto pagamento dell'assegno bancario (ed accessori), precisa che questa è la prova che deve essere fornita dall'emittente al pubblico ufficiale tenuto a levare il protesto (o effettuare la constatazione equivalente) al fine di esonerarlo - all'esito della rilevazione meramente formale di determinate risultanze documentali - dalla presentazione di denuncia (altrimenti obbligatoria appella decorso il termine di sessanta giorni per effettuare il pagamento suddetto)5 sicchè è giustificato che il legislatore (teso a conseguire un radicale effetto deflattivo dei processi penali per tal genere di reati, evitando inizio stesso del procedimento penale e la formazione del fascicolo processuale) abbia circondato tale eccezionale esonero di opportune cautele, rappresentate dalla tassativa elencazione delle modalità di prova dell'intervenuto pagamento, oltre che dalla previsione di un termine per l'inoltro della denuncia.
Invece nell'art. 11, comma 1, non si rinviene un'analoga giustificazione perchè la disposizione, nel suo tenore letterale diversamente formulato, si riferisce (anche e soprattutto) al giudizio essendo previsto che la prova vincolata in questione debba essere fornita in sede penale; nè la sede presa in considerazione poteva essere diversa essendo il procedimento penale, salvo ipotesi marginali, già in corso perchè la disciplina transitoria riguarda reati commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa. Nell'operare questo (necessariamente) diverso riferimento il legislatore, nella seconda parte del primo comma dell'art. 11, ha però riprodotto (per una sorta di trascinamento indotto dalla simmetria delle fattispecie) quella prescrizione di prova legale che aveva dettato nel terzo comma dell'art. 8 (e che in questo aveva una sua specifica ratio), con l'effetto peraltro di trasferire alla fase del giudizio (già pendente trattandosi appunto di fatti anteriori alla entrata in vigore della nuova legge) e quindi ad una situazione di per sè incompatibile con il radicale effetto deflattivo, che giustifica la disposizione dell'art. 8 citato, la speciale regola probatoria prevista nella disciplina a regime limitatamente alla fase della vicenda che si svolge davanti al pubblico ufficiale.
Questo ingiustificato parallelismo svela l'intrinseca irragionevolezza della disciplina transitoria, nella parte in cui riferisce al giudizio il limite della prova documentale previsto dal l'art. 8 cit. soltanto per la fase preprocessuale, perchè non ricorre la specifica ragione che assiste la disciplina a regime, nè è rinvenibile altra giustificazione, neppure potendo ipotizzarsi una maggiore affidabilità della prova documentale rispetto alla prova testimoniale. Deve anzi rilevarsi- a quest'ultimo riguardo - che mentre il portatore dell'assegno che riferisca, come teste, essere il pagamento dell'assegno avvenuto entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n.386/90 commette, in caso di dichiarazione non veridica, il reato di falsa testimonianza, invece la mera quietanza di pagamento (la cui prescritta autenticazione riguarda soltanto la sottoscrizione sicchè si tratta comunque di scrittura privata) non è assistita da alcuna fede privilegiata e - potendo essere rilasciata (nel regime transitorio) anche dopo il termine suddetto (secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione) -non offre particolare affidabilità in ordine soprattutto alla tempestività del pagamento.
L'irragionevolezza del limite alla prova nella disciplina transitoria in esame ridonda in vulnerazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) sicchè-rimanendo assorbita la censura di violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) - deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma 1, cit. nella parte in cui prevede che la prova dell'avvenuto pagamento dell'importo dell'assegno bancario (e degli accessori) debba essere fornita in sede penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto il pagamento ovvero attestazione dell'azienda di credito comprovante l'effettuazione del deposito vincolato; con la conseguenza che trova applicazione il normale regime probatorio quale previsto dal vigente codice di rito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma 1, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in cui prevede che <la prova dell'avvenuto pagamento deve essere fornita in sede penale mediante quietanza del portatore con firma autenticata o attestazione del pubblico ufficiale che ha ricevuto il pagamento ovvero attestazione dell'azienda di credito comprovante l'effettuazione del deposito vincolato>;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 3, legge 15 dicembre 1990 n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, della Costituzione, dal Pretore di Varese con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/11/93.