Sentenza n. 310 del 1993

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 310

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, del d.l.13 settembre 1991, n. 299 (Disposizioni concernenti l'applicazione nell'anno 1991 dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, i versamenti dovuti a seguito delle dichiarazioni sostitutive in aumento del reddito dei fabbricati e l'accertamento di tali redditi, nonchè altre disposizioni tributarie urgenti), convertito in legge 18 novembre 1991, n. 363, promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1992 dal Pretore di Piacenza nel procedimento civile vertente tra Faimali Pierino e Ceccarelli Guido, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti l'atto di costituzione di Faimali Pierino nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Valerio Onida per Faimali Pierino e l'Avvocato dello Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. Nel corso di un procedimento civile promosso da Pierino Faimali contro Guido Ceccarelli per ottenere la rivalutazione del canone di locazione di un immobile adibito ad uso abitativo sulla base delle nuove rendite catastali in vigore dal 1° gennaio 1992, il Pretore di Piacenza, con ordinanza del 17 novembre 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, del d.l. 13 settembre 1991, n. 299, convertito in legge 18 novembre 1991, n. 363, che ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 della legge 27 luglio 1978, n. 392. La norma abrogata stabiliva che le modalità di determinazione dell'equo canone degli immobili locati ad uso di abitazione "si applicano fino all'attuazione della riforma del catasto edilizio urbano".

Quanto al requisito di rilevanza della questione, il giudice remittente ritiene che una sentenza di accoglimento comporterebbe che "tutte le norme di determinazione del canone legale dovrebbero considerarsi decadute, in particolare quelle che stabiliscono il c.d. valore locativo", con conseguente "accoglimento della domanda del ricorrente".

Nel merito osserva, in primo luogo, che la norma impugnata ha prodotto, in connessione con i nuovi estimi catastali introdotti dai decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, "un doppio regime di valorizzazione degli immobili, secondo il quale ai fini fiscali la stima di base risulta assai più elevata di quanto non sia ai fini locativi, e quindi della effettiva rendita che il proprietario ricava dall'immobile". La rottura della correlazione - fissata dalla norma abrogata - tra i criteri di determinazione del canone locatizio e gli estimi catastali vigenti nel 1978 ha tolto al regime dell'equo canone il carattere di temporaneità che solo poteva giustificare il limite inflitto al diritto di proprietà, garantito dall'art. 42 Cost., sacrificando "il diritto del locatore a una rendita adeguata".

Sarebbe violato anche l'art. 3 Cost. in ragione della disparità di trattamento insorta tra proprietari e locatari, considerato che il maggiore carico tributario imposto ai primi per l'acquisto dell'immobile non trova corrispondenza per i secondi nell'applicazione dei medesimi estimi catastali maggiorati ai fini della determinazione del canone di locazione.

Non varrebbe in contrario rilevare la recente previsione dei "patti in deroga", l'art. 11 del d.l. n. 333 del 1992 essendo una disciplina eccezionale ed eventuale, condizionata al raggiungimento di un accordo delle parti.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito il locatore, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

In relazione all'art. 3 Cost., la parte privata precisa che lo squilibrio arbitrariamente creato nel sistema dall'abrogazione dell'art. 12, ultimo comma, della legge sull'equo canone offende non tanto il principio di eguaglianza, quanto il principio di ragionevolezza. In relazione all'art. 42 Cost., ricorda che nella giurisprudenza di questa Corte è ricorrente la considerazione del carattere di temporaneità, collegato alla disciplina degli estimi catastali, come criterio di giustificazione della legge sull'equo canone. La norma impugnata, sopprimendo il termine previsto dall'art. 12, ultimo comma, della legge sull'equo canone, da un lato, sotto il profilo sostanziale, ha spezzato l'equilibrio tra vantaggi e oneri in capo al proprietario, dall'altro, sotto il profilo temporale, ha fatto venir meno il carattere di temporaneità dell'artificiosa compressione della redditività degli immobili, conseguente all'applicazione dei criteri dell'equo canone.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

L'interveniente obietta che per dimostrare la violazione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà non basta affermare che la legge impugnata impone un sacrificio ai proprietari, ma occorre che tale sacrificio non sia giustificato da una funzione sociale o sia sproporzionato. Nella specie il legislatore si è proposto, da un lato, di aggiornare le rendite catastali, rimaste ferme da decenni, e dall'altro di evitare che gli effetti si ripercuotessero solo ed esclusivamente sulla massa degli inquilini, meritevoli di tutela sociale.

Quanto all'art. 3 Cost., l'Avvocatura rileva la scarsa perspicuità della pretesa discriminazione "tra coloro che occupano abitazioni di proprietà e inquilini", trattandosi in ogni caso di categorie affatto diverse.

Considerato in diritto

l. Il Pretore di Piacenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, del d.l. 13 settembre 1991, n. 299, convertito nella legge 18 novembre 1991, n.363.

La norma impugnata ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 della legge 27 luglio 1978, n. 392, che limitava l'applicabilità delle modalità di determinazione dell'equo canone degli immobili locati ad uso di abitazione, previste nei commi precedenti, "fino all'attuazione della riforma del catasto edilizio urbano".

2. La questione è inammissibile per difetto di rilevanza.

La rilevanza è affermata dal giudice remittente con la seguente motivazione: "è evidente che ove sussistesse ancora il comma abrogato dell'art. 12, in ragione della radicale revisione delle rendite catastali operata a far tempo dal 1° gennaio 1991, con evidente aggiornamento delle stesse mediante adeguamento, e a volte superamento, del valore di mercato, che non può considerarsi revisione a tutti gli effetti, tutte le norme di determinazione del canone legale dovrebbero considerarsi decadute, in particolare quelle che stabiliscono il c.d. valore locativo.- Ne conseguirebbe l'accoglimento della domanda del ricorrente".

Si potrebbe osservare anzitutto che, ove tutte le norme di determinazione del canone legale dovessero considerarsi decadute, e dunque anche il secondo comma dell'art. 12 della legge n. 392 del 1978, non si vede come la domanda del ricorrente potrebbe essere accolta nei termini del petitum formulato nel ricorso, il quale mira a ottenere il ricalcolo del canone di locazione "ai sensi degli artt. 12 e 13 della legge n. 392 del 1978, applicando la percentuale del 3,85, non già sul valore locativo, ottenuto dal prodotto della superficie convenzionale per il costo unitario di produzione, bensì sulla rendita catastale moltiplicata per 100".

A parte questo primo rilievo, la protasi della motivazione testè riferita implica due premesse lasciate dall'ordinanza del tutto carenti di fondamento argomentativo, e precisamente: a) la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata comporterebbe la reviviscenza della norma abrogata; b) la revisione "radicale" delle rendite catastali, operata dai decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, attua la riforma del catasto edilizio urbano e quindi, se rivivesse l'ultimo comma dell'art. 12 della legge sull'equo canone, determinerebbe la sopravvenienza del termine finale di efficacia di tale disciplina, ivi previsto.

Impregiudicata la premessa sub a), che non è pacifica nemmeno nel caso in cui la norma per ipotesi colpita da una sentenza di illegittimità costituzionale è esclusivamente ed espressamente abrogatrice, la seconda premessa era insostenibile già all'epoca dell'ordinanza di rimessione, considerato che il decreto del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990 non prevede un'operazione essenziale perchè si possa parlare di riforma del catasto edilizio urbano, cioé la revisione del classamento degli immobili (cfr. art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 604). Essa è ora chiaramente contraddetta dall'art. 2, comma 1, del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito nella legge 24 marzo 1993, n. 75, che attribuisce carattere provvisorio, fissando limiti temporali di applicabilità, alle tariffe e alle rendite determinate dai citati decreti ministeriali, in attesa della "revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei criteri di classamento".

L'infondatezza della premessa sub b) esclude la rilevanza della sollevata questione, che pertanto va dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, comma 10, del d.l. 13 settembre 1991, n. 299 (Disposizioni con cernenti l'applicazione nell'anno 1991 dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, i versa menti dovuti a seguito delle dichiarazioni sostitutive in aumento del reddito dei fabbricati e l'accertamento di tali redditi, nonchè altre disposizioni tributarie urgenti), convertito nella legge 18 novembre 1991, n. 363, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Pretore di Piacenza con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 09/07/93.