Sentenza n. 149 del 1993

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SENTENZA N. 149

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre (recte: 19 dicembre) 1984, n.863, e 1 del D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303 ( Conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva), nonchè dell'art. 3, primo comma, dello stesso decreto-legge n. 726 del 1984 (convertito, con modificazioni, nella citata legge n.863 del 1984), promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1992 dal Pretore di Forlì nel procedimento civile vertente tra Treossi Daniele e "Brema s.r.l.", iscritta al n. 402 del registro ordinanze del 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto in fatto

l. -- Il Pretore di Forlì, con ordinanza del 18 giugno 1992, emessa nel procedimento civile vertente tra Treossi Daniele e "Brema s.r.l.", ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 52, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, in legge 18 dicembre (recte: 19 dicembre) 1984, n.863, e 1 del D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303, nella parte in cui non prevedono la proroga automatica del termine apposto ad un contratto di formazione e lavoro in caso di sopravvenuta sospensione del rapporto per chiamata al servizio di leva del lavoratore, e per il periodo corrispondente alla sospensione, nonchè dell'art. 3, primo comma, del citato decreto-legge n.726 del 1984, convertito, con modificazioni, nella citata legge n. 863 del 1984, nella parte in cui non prevede, nella ipotesi sopra descritta, la proroga automatica del termine inizialmente apposto, per il periodo corrispondente alla sospensione, oltre quello massimo di 24 mesi, salva diversa e congiunta volontà delle parti.

Osserva il giudice a quo che il contratto di formazione e lavoro, come contratto di lavoro speciale, ha una causa mista, connotata non solo dallo scambio di prestazione e retribuzione, ma anche da una finalità formativa, che da un lato postulerebbe, nell'interesse delle parti, la previsione di una durata non eccedente un certo limite, dall'altro non potrebbe essere pregiudicata senza ragione -- avuto riguardo al termine in concreto pattuito dalle parti -- da fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà di quelli, che in radice ne precludano il raggiungimento. In sostanza, nel contratto in questione, il sinallagma contrattuale non si esaurirebbe in mero scambio di prestazione e retribuzione, ma -- assumendo una connotazione dinamico-finalistica proiettata nel futuro -- darebbe luogo ad una speciale posizione di lavoro, intesa sia come prospettiva di realizzazione del programma concordato sia come diritto alla conservazione del posto, funzionale a quell'obiettivo.

Pertanto la mera sospensione del rapporto ex art. 1 del D.L.C.P.S. n.303 del 1946 (applicabile -- per il richiamo operato dall'art. 3, quinto comma, del decreto-legge n. 726 del 1984 -- in luogo della proroga automatica del termine per il periodo corrispondente alla sospensione) e il limite inderogabile di 24 mesi di cui all'art. 3, primo comma, del decreto-legge n. 726 del 1984 (nella fattispecie pattuito per intero) determinerebbero, secondo il giudice rimettente, un'ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori che, assunti del pari con contratto di formazione e lavoro, potrebbero utilmente perseguire la programmata finalità formativa, ed altri che, come il ricorrente, si vedrebbero precluso il risultato della sopravvenienza di cogenti cause sospensive, tali da rendere in radice impossibile il raggiungimento dello scopo.

2. -- Intervenuta in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato insiste per l'infondatezza, rilevando che la lettura fornita dal giudice a quo dell'art. 3, primo comma, del decreto-legge n. 726 del 1984 -- per cui il termine massimo di durata del contratto di formazione e lavoro sarebbe in ogni caso non superabile -- non può condividersi, anche perchè, secondo la giurisprudenza prevalente, la prestazione del servizio militare di leva comporta sospensione del contratto di formazione e lavoro e quindi differimento del termine di scadenza.

Sarebbe quest'ultima interpretazione, oltre che pienamente giustificata dal testo della norma impugnata, anche da preferire riuscendo a far escludere il contrasto con i parametri indicati dal giudice rimettente.

Considerato in diritto

l. -- La presente questione, prospettata alla Corte dal Pretore di Forlì, investe -- in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 52, secondo comma, della Costituzione -- da un lato, il combinato disposto degli artt. 3, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, e 1, del D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303 (Conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva); dall'altro, l'art. 3, primo comma, del citato decreto-legge n.726 del 1984 (convertito, con modificazioni, nella citata legge n. 863 del 1984). Costituiscono, precisamente, oggetto di censura le norme suddette laddove: a) non è prevista la proroga automatica del termine apposto ad un contratto di formazione e lavoro, in caso di sopravvenuta sospensione del rapporto per chiamata al servizio di leva del lavoratore, e per il periodo corrispondente alla sospensione (art. 3, quinto comma, del decreto-legge n. 726 del 1984 e art. 1 del D.L.C.P.S. n. 303 del 1946); b) non è prevista detta proroga oltre il termine massimo di 24 mesi, salva la diversa e congiunta volontà delle parti (art. 3, primo comma, del citato decreto-legge n. 726 del 1984).

L'illegittimità costituzionale delle anzidette disposizioni di legge è sostanzialmente dedotta, in riferimento all'art. 3, per l'ingiustificata disparità di trattamento che, nel contratto di formazione e lavoro, si determinerebbe a danno di alcuni lavoratori che, per assolvere l'obbligo di leva, non possono conseguire la finalità formativa del contratto; in riferimento all'art. 52, secondo comma, della Costituzione, per il pregiudizio che la decorrenza del termine e la sua improrogabilità arrecherebbero alla posizione del lavoratore chiamato al servizio di leva.

2. -- La questione non è fondata.

Nel contratto di formazione e lavoro, previsto dalla norma impugnata, lo schema causale, rispetto al tipico contratto di lavoro subordinato, risultando arricchito dall'elemento della formazione che si intreccia col momento lavorativo, assume una connotazione del tutto peculiare.

In tale logica l'apposizione del termine appare funzionale alle finalità negoziali proprio in quanto la mera prestazione lavorativa non esaurisce i contenuti sinallagmatici del contratto. Questi ultimi, infatti, si completano attraverso l'acquisizione di un bagaglio tecnico che postula un necessario periodo di apprendimento. Pertanto, qualora fatti estranei alla volontà delle parti impediscano di conseguire nel termine previsto la suddetta finalità, non deve considerarsi esaurita la funzione del contratto.

Non appare quindi condivisibile la tesi del giudice rimettente, secondo cui mai sarebbe superabile il termine massimo di durata del contratto di formazione e lavoro, dovendosi al contrario ammettere che il termine in parola possa essere sospeso e differito in tutti i casi in cui si verifichino fatti -- oggettivamente impeditivi della formazione professionale -- che, mentre non producono un automatico effetto estintivo del rapporto, ne devono consentire la proroga, per un periodo pari a quello della sospensione, ai fini del completamento della formazione.

Peraltro i suddetti fatti non si qualificano soltanto come oggettivamente impeditivi, ma anche in quanto rilevanti ai fini di specifiche garanzie accordate nell'ambito del rapporto di lavoro da normative di ampia e mirata tutela, onde non v'è ragione per non ricomprendervi a fortiori -- accanto ad ipotesi come la malattia, la gravidanza e il puerperio, per le quali la giurisprudenza ha già ammesso l'effetto in parola -- anche il caso del servizio militare di leva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, e 1, del D.L.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 303 (Conservazione del posto ai lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva), nonchè dell'art. 3, primo comma, del citato decreto-legge n.726 del 1984 (convertito, con modificazioni, nella citata legge n.863 del 1984), sollevata dal Pretore di Forlì con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/04/93.