SENTENZA N. 80
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Lombardia n. 83 riapprovata il 6 agosto 1992, dal titolo: "Disposizioni per l'attuazione dell'art. 3 della legge regionale 8 maggio 1990, n. 38 'Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/1990 riguardante il personale dipendente delle regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale e successive integrazioni e dell'art. 37 dell'allegato alla legge stessa", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 2 settembre 1992, depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 1992.
Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
uditi l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno, per il ricorrente, e l'avv. Valerio Onida per la Regione.
Ritenuto in fatto
l.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la delibera legislativa della Regione Lombardia n. 83, riapprovata dal Consiglio regionale il 6 agosto 1992, recante "Disposizioni per l'attuazione dell'art. 3 della legge regionale 8 maggio 1990 n. 38 - Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/1990 riguardante il personale dipendente delle regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale - e successive integrazioni e dell'art. 37 dell'allegato alla legge stessa", per violazione degli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione.
Nel ricorso si precisa che la delibera in esame riconosce ai dirigenti, come elemento fisso e continuativo da corrispondere in via ordinaria, la indennità di funzione nella percentuale dello 0,8 del trattamento stipendiale iniziale (art. 2), con ciò comportando l'assoggettabilità dei relativi emolumenti alla contribuzione previdenziale e alla conseguente quiescibilità, mentre l'accordo collettivo prevede come quiescibile solo la percentuale dello 0,1, con carattere di generalità e fissità per tutti i dirigenti della medesima qualifica, indipendentemente dalla posizione funzionale, escludendo dalla pensionabilità quella parte dell'indennità di funzione che non presenti tali caratteri e sia invece "variabile, aleatoria, revocabile", in considerazione del fatto che le varie funzioni dirigenziali vengono attribuite con incarico "ad personam".
Secondo il ricorrente la natura e la disciplina dell'istituto retributivo in questione sono stabilite, con carattere di generalità ed uniformità, esclusivamente dalla normativa contrattuale, che non può essere disattesa da norme regionali che fittiziamente creino una correlazione permanente tra struttura organizzativa e funzione dirigenziale, sì da far ritenere gli incarichi dirigenziali non aleatori e non revocabili ed attribuire così a tutti i dirigenti, indipendentemente dalle funzioni, un aumento retributivo pensionabile difforme dalla normativa contrattuale stessa.
La delibera legislativa regionale si porrebbe perciò in contrasto con l'art. 3 della legge-quadro n. 93 del 1983, che demanda agli accordi la disciplina retributiva del pubblico impiego, e quindi con l'art. 117 della Costituzione, nonchè con gli artt. 3 e 97 della Costituzione sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione, ed ancora in contrasto con l'art.117 della Costituzione per la ragione che le norme impugnate sarebbero suscettibili di incidere ed innovare nella materia previdenziale, sottratta alla competenza regionale.
Le stesse censure sono rivolte contro l'art. 3 della delibera regionale, che, disponendo l'abrogazione del comma 3 dell'art. 38 dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990 - il quale prevede la rimozione dei dirigenti dalle funzioni esercitate e la conseguente perdita dell'indennità di funzione - sarebbe anch'esso surrettiziamente volto a stabilire il suddetto emolumento come elemento retributivo fisso e continuativo, oltre il limite percentuale stabilito in sede contrattuale.
2.- Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, rilevando:
a) che l'accordo per il triennio 1988/90 riguardante il personale regionale e degli enti locali, stipulato ai sensi della legge n. 93 del 1983, prevede la corresponsione ai dirigenti di una indennità connessa con l'effettivo esercizio delle funzioni, graduata in relazione ad alcuni elementi (coordinamento di attività; importanza della direzione di strutture o di programmi; rilevanza delle attività di studio, di proposta e di ricerca, di vigilanza; disponibilità in relazione all'incarico conferito) e commisurata allo stipendio iniziale, secondo coefficienti variabili dallo 0,1 all'1 per cento da stabilirsi dalle singole Amministrazioni;
b) che la legge regionale 8 maggio 1990 n. 38 ha recepito detto accordo, rinviando ad un successivo provvedimento la fissazione di criteri e modalità applicative di siffatta indennità (art. 3, comma 5);
c) che la delibera legislativa ora impugnata, che mira appunto a dare attuazione all'art. 3 della legge regionale da ultimo citata (legge n. 38 del 1990), "consegue alla fondamentale scelta organizzativa della Regione di collegare inscindibilmente la funzione dirigenziale alla direzione di una delle strutture organizzative" (art. 1) correlando il numero dei dirigenti al numero delle strutture direzionali, si che non è ipotizzabile che esista un dirigente cui siano affidate funzioni diverse dalla direzione di una struttura organizzativa; il che significa che "l'effettivo esercizio delle funzioni", cui l'art. 37 dell'accordo condiziona la corresponsione dell'indennità, è nella regione un presupposto indefettibile e l'indennità, come "elemento fisso e continuativo" (art. 2, comma 1), è appunto la remunerazione della funzione di direzione;
d) che anche l'art. 3 della delibera, disponendo l'abrogazione di una norma precedente che consentiva la rimozione del dirigente dalla funzione in caso di risultato negativo della gestione, consegue alla scelta di cui sopra, perchè se tutti i dirigenti devono essere preposti alla direzione di una struttura, non può più esservi rimozione dalla funzione al di fuori della cessazione del rapporto di servizio del dirigente medesimo.
Ciò posto, la Regione sostiene la propria competenza a stabilire, nell'ambito dei principi desumibili dall'accordo e con gli eventuali adattamenti connessi alle peculiarità del proprio ordinamento organizzativo e secondo le proprie disponibilità finanziarie (art. 10, comma 3, della legge n.93 del 1983), le funzioni cui corrisponde la indennità e la misura di questa entro i limiti percentuali stabiliti dall'accordo, senza alcuna alterazione della natura dell'indennità nè alcuna pretesa di incidere su profili previdenziali.
2.- In prossimità dell'udienza la Regione Lombardia ha presentato una memoria nella quale ribadisce le proprie difese, nel senso della irrilevanza della normativa regionale impugnata ai fini di determinare la quiescibilità o meno delle varie parti dell'indennità di funzione, essendosi il legislatore regionale limitato a fissare criteri per l'attribuzione dell'indennità predetta ai dirigenti regionali nell'ambito di competenze costituzionalmente garantite e in conformità dell'accordo.
Considerato in diritto
l.- É stata sollevata, dalla Presidenza del Consiglio, questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Lombardia n. 83 del 1992 che riconosce ai dirigenti dell'amministrazione regionale - in quanto tutti preposti alla direzione di una struttura organizzativa - come elemento fisso e continuativo della retribuzione, la indennità di funzione dirigenziale nella percentuale dello 0,8 del trattamento stipendiale iniziale. Detta previsione, secondo la ricorrente, mirerebbe alla assoggettabilità per intero dei relativi emolumenti alla contribuzione previdenziale e quindi al loro computo ai fini del trattamento di quiescenza, là dove sarebbe "quiescibile, alla luce della natura stessa di tale indennità rilevabile dalla disciplina contrattuale, solo quella parte di indennità (0,1) assicurata dalla fonte normativa (legge e decreto del Presidente della Repubblica di recepimento del contratto collettivo nazionale di lavoro) con carattere di generalità e fissità a tutti i dirigenti della medesima qualifica indipendentemente dalla posizione funzionale specifica".
In altri termini, secondo la ricorrente, rendendosi fissa e continuativa l'indennità in parola anche per la parte eccedente la percentuale dello 0,1 - che invece per il suddetto accordo di comparto dovrebbe essere "variabile, aleatoria, revocabile" - essa verrebbe ad incorporarsi nel trattamento economico e, come tale, dovrebbe essere computata nel trattamento di quiescenza. Da ciò un asserito contrasto dell'art. 2, comma 1, del testo legislativo della regione:
a) con l'art. 3 della legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983, perchè introdurrebbe una disciplina incompatibile con la natura della indennità di funzione desumibile dalla normativa contrattuale di comparto, nonchè con i generali principi di uguaglianza e di buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, disponendo in difformità da quanto previsto per analoghi emolumenti nell'ambito del restante pubblico impiego;
b) con l'art.117 della Costituzione, perchè inciderebbe nella materia previdenziale riservata allo Stato.
Infine, si sostiene il contrasto dell'art. 3 della delibera legislativa regionale con i suddetti principi costituzionali, perchè, disponendosi l'abrogazione del comma 3, dell'art. 38 dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990 - il quale prevede la rimozione di dirigenti dalle funzioni esercitate e la conseguente perdita della relativa indennità di funzione - sarebbe confermato che il suddetto emolumento diverrebbe elemento fisso e continuativo del trattamento economico (anche oltre il limite percentuale dello 0,1).
2.- La questione non è fondata.
L'art. 2 della delibera legislativa impugnata prevede che l'indennità di funzione - di cui all'art. 3 della legge regionale 8 maggio 1990, n.38, che ha recepito nell'ordinamento della regione l'accordo per il triennio 1988-1990 - è corrisposta ai dirigenti, con decorrenza dal 1° ottobre 1990, come elemento fisso e continuativo dovuto in via ordinaria quale remunerazione della funzione dirigenziale nella misura corrispondente al coefficiente 0,8.
L'art. 3 della stessa delibera abroga il terzo comma dell'art. 38 dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990 cit., il quale prevedeva che "il risultato negativo della gestione dei dirigenti, valutato con i criteri indicati nella vigente normativa, comporta la rimozione della funzione esercitata con conseguente perdita della relativa indennità".
L'anzidetta delibera legislativa precisa dunque, in modo ulteriore, le modalità di recepimento dell'accordo nazionale per i dirigenti pubblici per il 1988-1990, il quale (art. 38 del d.P.R. 3 agosto 1990, n. 333) aveva istituito una indennità di funzione per i dirigenti, "connessa con l'effettivo esercizio delle funzioni e graduata in relazione: al coordinamento di attività, all'importanza della direzione delle strutture o dei singoli programmi; alla rilevanza delle attività di studio, di consulenza propositiva e di ricerca, di vigilanza e di ispezione, di assistenza agli organi; alla disponibilità richiesta in relazione all'incarico conferito" e "commisurata allo stipendio iniziale secondo appositi coefficienti varianti da 0,1 a 1". L'art. 38 cit. aveva altresì stabilito che al dirigente non "preposto a direzione di struttura o di staff è corrisposta un'indennità pari al coefficiente 0,1".
3.- La Regione Lombardia, nel disporre il recepimento dell'accordo per il triennio 1988-1990 riguardante il personale dipendente dalle regioni e dagli enti locali, ha previsto nell'art. 1 della delibera legislativa impugnata che "i dirigenti regionali ... esercitano la loro funzione dirigendo una delle strutture organizzative previste dall'ordinamento regionale alla quale siano preposti nelle forme stabilite dalla legge".
Vi è dunque alla base del recepimento una scelta organizzativa, non contrastante con la legge quadro nazionale, della identificazione della qualifica dirigenziale con la direzione di una delle strutture regionali e, quindi, della perfetta corrispondenza tra il numero dei dirigenti e quello delle strutture stesse. La conseguente impossibilità della esistenza di funzionari dirigenti, in esubero rispetto agli uffici cui essi debbano essere preposti, comporta quindi da un lato il rigoroso ridimensionamento funzionale degli organici per evitare ogni soprannumero e, dall'altro, che a tutti i funzionari con qualifica dirigenziale debba spettare la indennità di funzione. Nella Regione Lombardia diviene perciò non solo automaticamente inoperante il comma 3 dell'art. 38 del d.P.R. n. 333 del 1990, che prevede la corresponsione di una indennità pari al coefficiente 0,1 per i dirigenti non preposti alla direzione di strutture (perchè non possono esservene), ma anche incompatibile la previsione già contenuta nell'art. 38, comma 3, dell'allegato alla legge regionale n. 38 del 1990 di recepimento dell'accordo, che stabiliva la per dita dell'indennità di funzione come conseguenza del risultato negativo della gestione. Incompatibilità, quest'ultima, che l'art. 3 della delibera legislativa impugnata ha provveduto ad eliminare appunto con l'esplicita abrogazione della ricordata previsione della perdita dell'indennità di funzione, dato che l'ipotesi del risultato negativo della gestione produce, nella logica del recepimento delle norme in parola da parte della Regione Lombardia, conseguenze non limitate al permanere della funzione dirigenziale e della relativa indennità, bensì destinate ad incidere sull'esistenza stessa del rapporto di impiego.
4.- D'altronde, le modalità di recepimento, nel senso della attribuzione a tutti i dirigenti regionali (necessariamente preposti ad una funzione corrispondente) di una indennità base fissa, commisurata allo 0,8 di percentuale dello stipendio, non possono ritenersi elusive dell'accordo nazionale, nella parte in cui prevede la variabilità dell'indennità in questione in relazione agli elementi di valutazione che sono stati in precedenza indicati. (supra punto 2).
In proposito va innanzitutto precisato che la possibilità dell'attribuzione di un coefficiente base uguale per tutti, indipendentemente dal tipo della funzione in concreto conferita e dal suo contenuto, è un principio che è desumibile dall'accordo stesso, perchè esso prevede appunto che l'indennità sia determinata secondo il coefficiente base fisso dello 0,1 per tutti i dirigenti, ancorchè non siano preposti alla direzione di un ufficio; in altri termini è la stessa norma statale che contiene il principio secondo cui, in taluni casi, quella che è definita indennità di funzione, sia pure nella misura minima, può avere i caratteri della fissità e della continuità.
In secondo luogo, una volta che, per il personale amministrativo della Regione, è questa a dover stabilire le modalità del recepimento dell'accordo, non può ad essa contestarsi, se non svuotando di contenuti il potere regionale, che, nel valutare l'importanza delle singole funzioni, possa determinare l'indennità muovendo come base minima da un coefficiente più elevato. Questa previsione, che per la Regione Lombardia costituisce la inevitabile conseguenza della scelta operata di far corrispondere la qualifica alla funzione di direzione, appare rispettosa del principio della variabilità, perchè la misura minima dello 0,8 è pur sempre al di sotto di quella massima prevista dall'accordo e, quindi, lascia un margine ulteriore che oscilla dal coefficiente dello 0,8 a quello di 1, tale cioè da assicurare la prevista variabilità, perchè consente l'attribuzione di coefficenti maggiori rispetto a quello di base - comune a tutti - in relazione all'espletamento di compiti che dovessero essere ritenuti più importanti secondo i criteri forniti dall'accordo nazionale (art. 38 d.P.R. n.333 del 1990 cit.).
5.- La Regione Lombardia ha perciò recepito l'accordo nazionale, nella parte relativa alla determinazione della indennità di funzione in parola, in modo coerente rispetto alla logica di fondo della propria disciplina, che è quella del collegamento inscindibile tra qualifica dirigenziale e funzione dirigente, sì da comportare necessariamente il carattere fisso (nella misura minima prevista dalla legge regionale) e continuativo della relativa indennità. Ma, una volta pervenuti a questa conclusione, le conseguenze che possano derivarne agli effetti del trattamento di quiescenza non limitano il potere della Regione di recepire l'accordo in modo da adeguare le previsioni di questo alle proprie scelte organizzative. Si tratta, difatti, di conseguenze ulteriori legate alla natura degli emolumenti, rispetto alle quali rimane comunque integro il potere dello Stato di incidere per modificare, nel rispetto dei principi costituzionali, il regime del trattamento di quiescenza onde determinarne, come è sua spettanza, l'ambito, i presupposti e l'estensione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Lombardia n. 83, riapprovata dal Consiglio regionale il 6 agosto 1992 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 3 della legge regionale 8 maggio 1990 n. 38: "Recepimento nell'ordinamento giuridico della Regione Lombardia dell'accordo per il triennio 1988/1990 riguardante il personale dipendente delle regioni a statuto ordinario, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti, da gli istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi, nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale" e successive integrazioni e dell'art. 37 dell'allegato alla legge stessa), sollevata con il ricorso in epigrafe dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117 Cost. ed in relazione all'art. 3 della legge 29 marzo 1983 n.93(Legge quadro sul pubblico impiego).
Così deciso in Roma nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/02/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 11/03/93.