Sentenza n. 9 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 9

 

ANNO 1993

 

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1992 dalla Commissione Tributario di primo grado di Piacenza sul ricorso proposto da Colla Carlo contro l'U.T.E. di Piacenza, iscritta al n. 301 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti l'atto di costituzione di Colla Carlo, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 18 novembre 1992 il giudice relatore Renato Granata;

 

Ritenuto in fatto

 

Uditi l'avv. Corrado Sforza Fogliani per Colla Carlo e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri In un giudizio promosso da un contribuente per contestare la maggior rendita derivante, ad immobili di sua proprietà, dalla applicazione delle nuove tariffe di estimo approvate con decreto ministeriale del 27 settembre 1991, l'adita Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, pronunziando sulla eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal resistente, ha sollevato, con ordinanza del 16 marzo 1992, questione incidentale di legittimità dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n.636 nella parte in cui non prevede che i possessori di immobili urbani possano ricorrere alle Commissioni tributarie anche in caso di mutamento della rendita (di ogni singola unità) per effetto di revisione delle tariffe di estimo, per contrasto con gli artt. 113 e 3 Cost.

 

Premesso, in via di interpretazione del citato art. 1 d.P.R.636/72, che questo, nel fissare la competenza delle Commissioni tributarie in materia di controversie catastali, fa riferimento, con riguardo agli immobili urbani a destinazione ordinaria (categ. A.B.C.), alle sole vertenze concernenti la "consistenza" ed il "classamento" e, per gli immobili a destinazione speciale (categ. D) o particolare (categ. E), alle vertenze sulla "attribuzione di rendita" (quale per essi prevista mediante stima diretta) - con la conseguenza, in punto di rilevanza, che esulerebbero dalla cognizione delle predette Commissioni le controversie (come quella di specie) riguardanti viceversa la revisione delle tariffe (non riconducibile a nessuna delle tre descritte operazioni) - ne ha inferito appunto il giudice remittente la duplice ipotesi di contrasto del denunciato contesto normativo con gli artt. 113 e 3 Cost.

 

Sotto il primo profilo, si evidenzierebbe infatti una violazione del diritto alla difesa in danno dei possessori di immobili di categorie A, B, C, i quali "non avrebbero alcuna tutela giurisdizionale di merito contro un provvedimento che modifica indirettamente il classamento, mediante revisione di una delle operazioni previste dalle norme catastali, ma contro cui non è dato ricorrere alle Commissioni Tributarie, pur costituendo esso di fatto una attribuzione di rendita".

 

E, sotto il secondo profilo, si prospetterebbe inoltre "una discriminazione tra i proprietari degli immobili censiti nei gruppi A, B, C, e quelli degli immobili censiti nei gruppi D, E, i quali possono invece adire le Commissioni, in quanto l'attribuzione della rendita, effettuata dagli U.T.E., è sicuramente impugnabile avanti alle Commissioni Tributarie".

 

2. Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito il contribuente aderendo solo in linea subordinata alle conclusioni del giudice a quo e prospettando, in via principale, l'infondatezza della questione per essere in realtà le Commissioni tributarie, già sulla base della normativa vigente, competenti (anche) in ordine alle controversie in materia di revisione della tariffa d'estimo.

 

E ciò per l'assorbente considerazione che la previsione di competenza, ex art. 1 d.P.R. 634 cit., in ordine alle controversie relative al classamento comprende ex se la possibilità di "impugnare anche le variazioni dei metodi inerenti una delle tre operazioni [qualificazione, classificazione e determinazione della tariffa, appunto] sulla base delle quali si determina poi in concreto ogni singolo classamento".

3. L'Avvocatura dello Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha a sua volta direttamente concluso per una decisione di infondatezza basata sul presupposto esegetico di inclusione della controversia in esame nell'area di cognizione delle Commissioni tributarie.

 

4. Entrambe le parti hanno anche depositato memoria per illustrare i rispettivi assunti.

 

Considerato in diritto

 

1. A seguito della revisione delle tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane, disposta con D.M. 20 gennaio 1990 ed attuata con successivo decreto del 27 settembre 1991, in un giudizio promosso da un contribuente per far dichiarare, previa disapplicazione dei riferiti atti generali, nulla o comunque inefficace la maggior rendita per l'effetto così attribuita ad immobili di sua proprietà, la Commissione tributaria di Piacenza adita ha negato di avere potestà decisoria in materia.

 

E ciò - come in narrativa detto - con riguardo al quadro delle competenze del giudice tributario in tema di controversie catastali, come definito nell'ultimo comma dell'art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (sulla revisione del contenzioso tributario), con limitato riferimento, secondo la lettura del giudice a quo, per gli immobili urbani a destinazione (abitativa-commerciale) ordinaria (categ. A.B.C.) alle sole vertenze concernenti la "consistenza" ed il "classamento" (l'attribuzione, cioé, ad ogni unità, accertata nel suo possessore e nella sua consistenza, della rispettiva categoria e classe) e, per gli immobili a destinazione speciale (categ. D) o particolare (categ. E), alle vertenze sulla "attribuzione di rendita" (quale per essi prevista mediante stima diretta).

 

In tale prospettiva però - sempre secondo l'autorità rimettente - ne deriverebbe, nei confronti dei proprietari di immobili del primo tipo, un vuoto di tutela avverso i provvedimenti di revisione delle tariffe di estimo, non rientranti nel novero di quelli impugnabili ancorchè "di fatto indirettamente modificativi del classamento".

 

Da ciò appunto la sollevata questione di costituzionalità del citato art.1 d.P.R. 636/1972, in parte qua, in riferimento oltrechè all'art. 113 anche all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del trattamento ingiustificatamente deteriore che si assume riservato ai titolari degli immobili in questione rispetto ai proprietari degli immobili di categ. D, E che possono viceversa adire le Commissioni tributarie avverso l'attribuzione diretta di rendita, come per essi prevista.

 

2. Osserva la Corte che la premessa esegetica da cui muove il giudice a quo - e che sia l'Avvocatura dello Stato sia la difesa della parte costituita viceversa contestano (eccependo sotto tale profilo l'infondatezza della impugnativa) - è effettivamente controversa in dottrina e nella giurisprudenza fino ad oggi nota del giudice tributario.

 

Ciò perchè - mentre, nella sequenza ordinaria della operazione di formazione del catasto urbano, la "determinazione della tariffa" (per le "categorie" e "classi" di immobili previamente individuate attraverso la "qualificazione" e la "classificazione" delle unità tipo per ogni zona censuaria) conclude la fase delle operazioni generali, destinate ad avere una ricaduta sulla posizione dei singoli proprietari in esito alle susseguenti operazioni individuali ed ai connessi provvedimenti di "consistenza" e "classamento", dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 1 d.P.R. 636/72 - nell'ipotesi invece di revisione degli estimi, in mancanza di una esplicita indicazione normativa al riguardo, si è posto il dubbio se i correlativi atti generali, contenenti i prospetti delle nuove tariffe, siano o non censurabili innanzi al giudice tributario.

 

Per la soluzione affermativa si è pronunziata gran parte della giurisprudenza delle Commissioni in considerazione della attribuzione di rendita in concreto derivante dalla adozione delle nuove tariffe, sia pur con diverse motivazioni. Talune decisioni, infatti, argomentano dalla locuzione normativa "attribuzione della rendita" di cui all'ultima parte dell'art. 2 comma 1° dello stesso d.P.R. 636, (peraltro concernente, secondo una opinione recepita dallo stesso giudice a quo, la diversa ipotesi della stima diretta e singolare prevista per gli immobili D ed E); talaltre, invece, si basano sulla considerazione che l'emanazione delle nuove tariffe si risolve "di fatto" in una modifica del "classamento" (donde, appunto, la impugnabilità davanti alla Commissione tributaria): tutte, comunque, pervenendo per l'una o per l'altra ragione - ad affermare la sindacabilità incidenter tantum dei decreti ministeriali davanti al giudice tributario ai sensi dell'art. 16, comma quarto, del d.P.R. 636/72 (nel testo sostituito dall'art. 7 d.P.R. 739/1981).

 

Peraltro, anche le decisioni giurisprudenziali che, discostandosi dal ricordato indirizzo, concludono per la inammissibilità dei ricorsi del contribuente, a tale soluzione pervengono in considerazione della non ravvisabilità allo stato di un provvedimento riconducibile ad uno di quelli tipicamente richiesti dalla legge come "veicolo di accesso" al giudizio tributario, oltre che per carenza attuale dell'interesse a ricorrere, con ciò evidentemente non escludendo, ma anzi implicitamente ammettendo, la possibilità della tutela nel momento della successiva concretizzazione del rapporto tributario ancorato alla rendita catastale derivante dalla applicazione dei nuovi estimi.

 

Ma tali essendo sul punto le opzioni interpretative alternativamente formulate, è chiaro allora che ciò che, con riguardo ai provvedimenti di revisione degli estimi, viene in discussione è non già l'an ma solo il quomodo dell'accesso alla tutela giurisdizionale avanti le Commissioni tributarie.

 

E tanto basta per escludere la violazione dei parametri costituzionali invocati dalla Commissione di Piacenza; non dovendosi sciogliere anticipatamente in questa sede un nodo interpretativo che non è funzionale alla decisione della questione di costituzionalità.

 

3. Per di più la stessa Commissione rimettente sembra non avere considerato che secondo pressocchè pacifica dottrina e giurisprudenza il proprietario degli immobili di categoria A, B, C è legittimato ad impugnare i provvedimenti generali di revisione degli estimi per vizi di legittimità, davanti al giudice amministrativo.

 

Il che dà ulteriore conferma della infondatezza della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sollevata, in riferimento agli artt.113 e 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza con ordinanza emessa il 16 marzo 1992.

 

 Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/01/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/01/93.