SENTENZA N. 1
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo riapprovata il 18 giugno 1992 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: "Ricostituzione dei comuni di Arischia e Paganica", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l'8 luglio 1992, depositato in cancelleria il 16 successivo ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 1992.
Visto l'atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell'udienza pubblica del 1° dicembre 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e l'Avv. Gustavo Romanelli per la Regione.
Ritenuto in fatto
l. - Con ricorso notificato in data 8 luglio 1992 il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge della Regione Abruzzo riapprovata dal Consiglio regionale il 18 giugno 1992, recante "Ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica", per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 1, primo comma, e 11, primo comma secondo periodo, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali). Con questa legge la Regione Abruzzo ha disposto - ai sensi della legge 15 febbraio 1953, n. 71 (Ricostituzione di Comuni soppressi in regime fascista) ed a seguito dell'esito di referendum consultivi svoltisi tra le popolazioni interessate il 10 giugno 1990 - la ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica, attualmente frazioni del Comune de L'Aquila in conseguenza del declassamento operato durante il regime fascista.
Secondo il ricorrente la legge impugnata, per il fatto di prevedere la istituzione di due Comuni aventi ciascuno una popolazione inferiore a 10.000 abitanti, avrebbe violato l'art. 117 della Costituzione (dove risulta prevista la competenza legislativa concorrente delle Regioni ordinarie in tema di circoscrizione comunali) in relazione ai limiti di cui agli artt. 1, primo comma, e 11, primo comma secondo periodo, della legge n. 142 del 1990, dove si fa divieto di istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti come conseguenza che altri Comuni scendano sotto tale limite.
Queste norme - a giudizio della Presidenza del Consiglio - stabilirebbero, infatti, con il limite indicato, un nuovo principio fondamentale in materia di ordinamento delle autonomie locali, non superabile da disposizioni derogatorie né statali nè regionali. In particolare le stesse norme - integrate dall'art. 64, secondo comma, della legge n.142 del 1990 - avrebbero determinato un implicito effetto abrogativo della legge 15 febbraio 1953, n. 71, che, in correlazione ad un determinato periodo storico da ritenersi ormai concluso, aveva previsto la possibilità di ricostituire i Comuni che erano stati forzosamente soppressi nel periodo fascista .
Illegittimamente, pertanto, la Regione avrebbe fatto riferimento ad una normativa statale ormai abrogata o comunque superata, al fine di aggirare il limite posto dalla nuova legge che ha definito i principi fondamentali della materia.
2.- Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo deducendo che le disposizioni della legge n. 142 del 1990, invocate dall'Avvocatura dello Stato, non troverebbero applicazione nel caso di specie, essendo esse riferite esclusivamente all'ipotesi della costituzione ex novo di Comuni e non alla diversa fattispecie della ricostituzione di Comuni già esistenti prima del 28 ottobre 1922 e successivamente declassati in frazioni dal regime fascista.
Quest'ultima ipotesi continuerebbe, pertanto, ad essere regolata dalla normativa speciale di cui alla legge n. 71 del 1953 e dalla procedura in essa stabilita, che prevede la richiesta da parte di almeno tre quinti degli elettori.
Pertanto, ai sensi di tale normativa, la Regione Abruzzo ha fatto precedere l'approvazione della legge ora impugnata da referendum popolari consultivi, svoltisi in data 10 giugno 1990, nei quali le popolazioni interessate si sono pronunciate a grandissima maggioranza per la ricostituzione dei due Comuni.
Nè sarebbe sostenibile - secondo la Regione - la tesi avanzata nel ricorso di una avvenuta abrogazione implicita della legge n.71 del 1953 da parte della legge n. 142 del 1990 che, per il suo carattere di norma generale ancorchè posteriore, non potrebbe abrogare, se non espressamente, una preesistente norma speciale riferita ad una fattispecie determinata. Così come non avrebbe alcun rilievo il richiamo, operato dal ricorrente, al decorso del tempo, stante la mancanza di un termine finale per la vigenza della legge n. 71 del 1953.
3.- In prossimità dell'udienza il Presidente del Consiglio ha presentato una memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso. In essa si afferma che la volontà di abrogare la legge n, 71 del 1953 risulterebbe con chiarezza dall'art. 1, primo comma, della legge n. 142 del 1990, che qualifica la stessa legge come diretta a porre i principi per l'intero ordinamento delle autonomie locali: una legge siffatta, per la sua organicità, non tollererebbe la sopravvivenza di norme contrastanti, sia pure "speciali", che vanificherebbero la portata della riforma voluta dal legislatore. Pertanto, la legge n. 71 del 1953 dovrebbe necessariamente ritenersi compresa nella generale formula di abrogazione di cui all'art. 64, secondo comma, della legge n, 142.
4.- Anche la Regione Abruzzo ha presentato una memoria nella quale, dopo aver richiamato le ragioni di opportunità che sorreggerebbero la decisione di ricostituire i due Comuni nonchè la volontà plebiscitaria in tal senso espressa dalle popolazioni interessate, riafferma le motivazioni di diritto a sostegno della richiesta di reiezione del ricorso, già espresse nell'atto di costituzione in giudizio.
La Regione sottolinea anche che il procedimento di consultazione popolare per la ricostituzione dei due Comuni è stato espletato in data antecedente a quella della entrata in vigore della legge n. 142 del 1990.
Considerato in diritto
1.- Forma oggetto di impugnativa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri la legge della Regione Abruzzo approvata, in seconda lettura, il 18 giugno 1992 e recante "Ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica".
Con tale legge la Regione ha disposto la ricostituzione dei Comuni di Arischia e di Paganica, che furono soppressi durante il regime fascista (R.D. 29 luglio 1927 n.1564)e che costituiscono attualmente due frazioni del Comune de L'Aquila.
Tale statuizione - secondo quanto precisato nell'art. 1 della stessa legge - viene fondata, oltre che sull'esito dei referendum consultivi svoltisi presso le popolazioni interessate il 10 giugno 1990, sull'articolo unico della legge 15 febbraio 1953 n. 71, dove risulta sanzionata la possibilità di ricostituire i Comuni soppressi dopo il 28 ottobre 1922 "ancorchè la loro popolazione sia inferiore ai 3.000 abitanti, quando la ricostituzione sia chiesta da almeno tre quinti degli elettori".
Ad avviso del Presidente del Consiglio la legge in questione - dal momento che le due frazioni elevate a Comuni non dispongono di una popolazione superiore ai 10.000 abitanti - si porrebbe in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, per aver disposto una disciplina in tema di circoscrizioni comunali contrastante con un principio fondamentale in tema di ordinamento dei Comuni quale quello in dicato nell'art. 11, secondo comma, della legge 8 giugno 1990 n. 142, dove si stabilisce che "salvo i casi di fusione tra più Comuni, non possono essere istituiti nuovi Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri Comuni scendano sotto tale limite".
Nè contro tale norma potrebbe essere fatto valere - sempre ad avviso del ricorrente - il richiamo, operato dalla Regione, al carattere speciale della disciplina posta dalla legge n. 71 del 1953, dal momento che tale disciplina - dettata in relazione ad una particolare congiuntura storica ormai superata - si presenterebbe pur sempre incompatibile con i principi enunciati dalla legge n.142 del 1990 e, di conseguenza, sarebbe stata da quest' ultima tacitamente abrogata.
2.- La questione è fondata.
La legge 8 giugno 1990 n. 142 ha formulato la nuova disciplina delle autonomie locali statuendo, ai sensi dell'art. 128 Cost., i principi relativi all'ordinamento dei Comuni e delle Province, con la conseguente determinazione delle funzioni agli stessi enti assegnate (art. 1, primo comma). Al quadro dei nuovi principi organizzativi delle autonomie locali va ricondotta anche la previsione di cui all'art. 11, primo comma, della legge n. 142, dove - proprio al fine di evitare la eccessiva "polverizzazione" delle circoscrizioni comunali e delle relative rappresentanze - viene sanzionato il divieto di istituire "nuovi Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri Comuni scendano sotto tale limite".
Tale disposizione, per il fatto di risultare espressa in una legge che ha regolato in termini organici la materia delle autonomie locali, non può non aver determinato l'abrogazione implicita di tutte le norme anteriori incompatibili incluse nella stessa materia, ivi comprese quelle enunciate in leggi di carattere speciale non espressamente preservate dalla nuova normativa. Conseguenza, questa, che può essere desunta sia dall'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile, con riferimento al fatto che la nuova legge ha disciplinato l'intera materia nel cui ambito si veniva a collocare anche la legge n. 71; sia dall'art. 64, secondo comma, della legge n. 142, dove, con formula generale di chiusura, viene prevista l'abrogazione, insieme con le disposizioni espressamente elencate al primo comma, di "tutte le altre disposizioni incompatibili" con la stessa legge.
Con riferimento a tale quadro normativo l'incompatibilità - e la conseguente abrogazione - va, pertanto, affermata anche nei confronti della disciplina posta dalla legge 15 febbraio 1953 n.71 con riferimento ai Comuni soppressi in regime fascista, la cui ricostituzione veniva dalla stessa legge svincolata dal limite minimo dei 3.000 abitanti, già fissato, ai fini della costituzione di borgate o frazioni di Comuni in Comuni distinti, dall'art. 33 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383.
Detta incompatibilità, suscettibile di condurre all'abrogazione della norma anteriore, non può essere, d'altro canto, superata, per quanto concerne la fattispecie in esame, nè attraverso il richiamo alla specialità della normazione posta con la legge n. 71 del 1953, dal momento che tale specialità - anche per il fatto di risultare fondata su un intento riparatorio connesso ad una particolare congiuntura storica - non appare idonea a contrastare gli effetti abrogativi conseguenti da una nuova disciplina organica della materia; nè attraverso la valorizzazione della distinzione concettuale tra "ricostituzione" di Comuni soppressi durante il fascismo, di cui alla legge n. 71 del 1953, e "istituzione" di nuovi Comuni, di cui all'art. 11 della legge n.142 del 1990, dal momento che, rispetto allo stato delle cose assunto ad oggetto della nuova disciplina di principio, anche l'ipotesi di "ricostituzione" di Comuni soppressi fin dal lontano 1927 non può non ritenersi compresa nella dizione generale adottata dallo stesso art. 1l.
La conseguenza cui si perviene in ordine all'avvenuta abrogazione della legge n.71 del 1953 ad opera dell'art. 11 della legge n. 142 del 1990, risulta, d'altro canto, confermata dai lavori preparatori relativi a quest'ultima norma. Da tali lavori si desume, infatti, che un emendamento allo stesso art. 11 presentato dal sen. Franchi al fine di escludere dal limite minimo dei 10.000 abitanti i Comuni di cui alla legge 15 febbraio 1953 n.71 veniva respinto sia dalla prima Commissione del Senato, nella seduta del 1° aprile 1990, sia dalla stesso Senato in aula, nella seduta del 18 aprile 1990: con una chiara indicazione negativa in ordine alla sopravvivenza della disciplina speciale a suo tempo dettata per i Comuni soppressi durante il regime fascista.
La conclusione è, dunque, nel senso che la legge della Regione Abruzzo che forma oggetto d'impugnativa ha assunto a proprio presupposto una disciplina quale quella posta dalla legge n. 71 del 1953 oggi non più operante, mentre ha trascurato di considerare il limite sanzionato dall'art. 11, primo comma, della legge n. 142 del 1990 come uno dei principi regolatori del nuovo ordinamento comunale. Dal che la conseguente violazione dell'art. 117 Cost. denunciata nel ricorso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo riapprovata dal Consiglio regionale della stessa Regione il 18 giugno 1992 e recante "Ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/12/92.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 05/01/93.