Sentenza n. 281 del 1992

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SENTENZA N. 281

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma primo, lett. d); 10; 18, comma quarto; 21, commi primo, secondo e quinto;25, comma primo, della legge 2 dicembre 1991, n. 390, "Norme sul diritto agli studi universitari" promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Emilia- Romagna e Puglia, notificati l'11 gennaio 1992, depositati in cancelleria rispettivamente il 16, 17 e 18 gennaio 1992 ed iscritti rispettivamente ai nn. 5, 8 e 9 del registro ricorsi 1992.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi gli avvocati Alberto Predieri, Giandomenico Falcon e Giorgio Recchia, rispettivamente per le Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato in data 11 gennaio 1992 (Ric. n. 5/92) la Regione Toscana ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 10, 18, quarto comma, 21, primo, secondo e quinto comma, 25, primo comma, della legge 2 dicembre 1991, n. 390, recante "Norme sul diritto agli studi universitari", per violazione degli artt. 3 , 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

2. - La prima disposizione nei cui confronti la Regione indirizza le proprie censure è l'art. 25, primo comma, della legge, dove si prevede che le Regioni costituiscono in ogni Università un "organismo di gestione, dotato di autonomia amministrativa e gestionale, il cui consiglio di amministrazione è composto da un ugual numero di rappresentanti della Regione e dell'Università" ed il cui presidente "è nominato dalla Regione d'intesa con l'Università".

A giudizio della ricorrente le norme espresse da tale disposizione, istituendo un meccanismo di cogestione necessaria tra Regione ed Università, violerebbero l'art. 118, primo comma, della Costituzione: e ciò in quanto l'attribuzione alle Regioni della titolarità delle funzioni amministrative nelle materie nelle quali esse hanno potestà legislativa non può dirsi rispettata ove la legge imponga alle Regioni una gestione in comune con altre amministrazioni o enti delle funzioni trasferite.

La disposizione denunciata sarebbe inoltre irragionevole - e perciò in contrasto con l'art. 3 della Costituzione - nonchè lesiva del principio di buona amministrazione , sancito dall'art. 97 della Costituzione. Essa, infatti, disconoscendo la titolarità regionale delle funzioni amministrative in materia di assistenza scolastica universitaria, si porrebbe in contraddizione non soltanto con il trasferimento delle relative funzioni operato dagli artt. 42 - 44 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.616, ma con lo stesso impianto complessivo della legge n. 390 che tale trasferimento ha confermato.

Un ulteriore profilo di illegittimità della disposizione in questione sarebbe, poi, da ravvisare nel fatto che essa ha dettato norme di estremo dettaglio, in termini incompatibili con i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo individuato, con numerose pronuncie, nei confronti dell'attività di indirizzo e coordinamento.

Infine, la norma impugnata - sancendo tassativamente la presenza di rappresentanti della Regione nell'organismo gestionale delle Università - avrebbe inciso indebitamente sull'avvenuto esercizio di competenze regionali in materia trasferita quale quella dell'assistenza universitaria.

La Regione Toscana, infatti, con la legge n. 37 del 14 giugno 1989, ha disposto che le funzioni amministrative relative agli interventi per il diritto allo studio universitario siano delegate ai Comuni di Firenze, Pisa, Siena, Arezzo e Carrara, prevedendo inoltre che i primi tre comuni debbono avvalersi, per la gestione degli interventi, di una propria azienda dotata di autonomia funzionale, organizzativa e finanziaria, mentre i comuni di Arezzo e Carrara sono tenuti ad effettuare gli interventi in forma diretta.

Pertanto, ad avviso della ricorrente, la disposizione in esame - se interpretata come norma che non consente la partecipazione agli organismi regionali di gestione di rappresentanti designati dagli enti locali delegati dalla Regione - risulterebbe in contrasto con l'art. 118, terzo comma, della Costituzione, che individua nella "delega" il modo normale di esercizio delle funzioni amministrative regionali.

3. - Anche l'art. 10 della legge n. 390 forma oggetto di impugnativa da parte della Regione Toscana.

Tale norma prevede un coordinamento in ambito regionale tra gli interventi della Regione e gli interventi dell'Università, da attuarsi mediante una "conferenza" alla quale la Regione partecipa tramite suoi rappresentanti. Al riguardo la Regione rileva che - ove la norma dovesse essere intesa come preclusiva dell'esercizio delle funzioni regionali in materia tramite soggetti designati dagli enti delegati dalla Regione - essa verrebbe a porsi in contrasto con gli artt. 3, 97 e 118, terzo comma, della Costituzione per le stesse ragioni già evidenziate con riguardo all'art. 25.

4. - Una ulteriore censura viene mossa dalla Regione Toscana nei confronti dell'art. 21, primo comma, della stessa legge, dove si prevede la concessione in "uso perpetuo e gratuito" dei beni immobili dello Stato e del materiale mobile di qualsiasi natura in essi esistente, destinati esclusivamente a servizi per la realizzazione del diritto agli studi universitari.

In proposito la ricorrente rileva come un trasferimento pieno e definitivo in ordine alle funzioni non abbia trovato corrispondenza nel trasferimento in proprietà dei beni connessi a tali funzioni in modo esclusivo: di qui la violazione dei principi posti dagli artt. 3, 97, 118 e 119 della Costituzione.

D'altra parte - aggiunge la ricorrente - quand'anche si volesse ritenere legittima la forma della concessione in uso perpetuo e gratuito, sarebbero comunque da ritenere costituzionalmente illegittime, per violazione del principio di autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost., le disposizioni dell'art. 21 che, da un lato, pongono a carico delle Regioni gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria (nonchè gli eventuali tributi) relativi a tali beni e, dall'altro, prevedono la riconsegna dei beni stessi allo Stato qualora, per qualsiasi ragione, venga meno la loro destinazione all'assistenza universitaria.

5. - Ultima norma impugnata è quella contenuta nell'art. 18, quarto comma, ritenuta dalla ricorrente costituzionalmente illegittima nella parte in cui pone a carico delle Regioni gli oneri di manutenzione degli immobili realizzati con la partecipazione delle Università e destinati ad alloggi per studenti, senza che sia prevista la proprietà degli immobili stessi da parte della Regione ed in assenza di qualsiasi garanzia circa la permanenza della destinazione e la gratuità dell'uso.

6. - Con ricorso notificato in data 11 gennaio 1992 (Ric. n. 6/92) anche la Regione Emilia-Romagna ha impugnato talune disposizioni della legge n. 390 del 1991, e in particolare: a) l'art. 25, primo comma, in quanto prescrive una necessaria cogestione paritetica delle funzioni amministrative tra Regione e Università ed opera un forzoso accentramento della gestione in capo alla Regione, in violazione dell'art. 118, primo e terzo comma, della Costituzione; c) l'art. 21, primo comma, in quanto assegna in "uso perpetuo e gratuito", anzichè in proprietà, i beni destinati esclusivamente alle funzioni amministrative regionali, in violazione dell'art. 119, quarto comma, della Costituzione; d) l'art. 21, secondo e quinto comma, in quanto con essi si dispone, da un lato, che gli "oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria relativi ai beni di cui al comma primo, nonchè ogni eventuale tributo, sono posti a carico delle Regioni" e, dall'altro, che qualora "per qualsiasi ragione", venga meno la destinazione all'assistenza universitaria, i beni stessi dovranno essere riconsegnati allo Stato, con violazione dell'autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 della Costituzione; e) l'art. 18, quarto comma, in quanto pone a carico delle Regioni, senza limitazione alcuna, gli oneri di manutenzione degli immobili realizzati con la partecipazione delle Università.

7. - La Regione ricorrente - dopo aver ricordato le vicende del trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di assistenza universitaria - sottolinea che essa ha disciplinato tale materia dapprima con la legge regionale 31 gennaio 1983, n. 8 e, in seguito, con la legge 19 ottobre 1990, n. 46. Con quest'ultima normativa, in particolare, è stata disposta un'ampia delega di funzioni ai Comuni sede di Università i quali si avvalgono all'uopo di appositi enti pubblici, amministrati da consigli composti per metà da rappresentanti del consiglio comunale, per un quarto da rappresentanti degli studenti e per un quarto da docenti designati dal consiglio d'amministrazione dell'Università (art. 25, secondo comma).

L'esigenza di un ampio coinvolgimento dell'Università nella gestione dell'assistenza universitaria è stata perciò già realizzata dalla legislazione regionale: ma - si osserva nel ricorso - altro è assumere una libera scelta di politica istituzionale, con facoltà di mutarla ove essa si riveli inadeguata, altro è essere costretti a tale scelta da una disposizione della legislazione statale. Di qui la censura mossa all'art.25, primo comma, che - prescrivendo una cogestione paritetica delle funzioni amministrative in materia di assistenza agli studenti universitari - violerebbe l'art. 118, primo comma, della Costituzione, dove si assegna alle Regioni la titolarità delle funzioni amministrative nelle materie nelle quali esse hanno potestà legislativa.

Un ulteriore profilo di illegittimità del primo comma, dell'art. 25 viene poi ravvisato nel fatto che tale norma - se interpretata rigidamente - darebbe vita ad un forzoso accentramento della gestione in capo alla Regione, in violazione dell'art.118, terzo comma, della Costituzione, che prevede come esercizio normale delle funzioni amministrative regionali la delega agli enti locali.

8. - Le argomentazioni che la Regione Emilia- Romagna svolge per sostenere l'illegittimità costituzionale delle altre norme impugnate - l'art.21, commi primo, secondo e quinto, e l'art. 18, quarto comma, della legge n. 390 - ricalcano sostanzialmente quelle già esposte, nel suo ricorso, dalla Regione Toscana.

9. - La Regione Puglia, con ricorso notificato in data 11 gennaio 1992 (Ric. n. 9/92), ha impugnato gli artt. 25, primo comma, e 7, primo comma, lett d) della legge n. 390 del 1991, per violazione degli artt 3, 33, 34, 117 e 118 della Costituzione.

Preliminarmente la Regione ricorrente richiama le fasi e le tappe del trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di assistenza scolastica a favore degli studenti universitari, nonchè i diversi orientamenti presenti nella legislazione regionale sulle modalità di esercizio di tali funzioni. Al riguardo si ricorda che tre sono state le vie scelte dalle Regioni per la realizzazione degli interventi diretti ad assicurare il diritto allo studio: la gestione diretta, la delega di funzioni agli enti locali e l'affidamento della gestione ad uno o più organismi costituiti come enti dipendenti dalla Regione.

Quest'ultima soluzione è stata adottata dalla Regione Puglia che - dopo una prima fase di intervento incentrato sulle opere universitarie - ha istituito, con le leggi nn. 12 e 20 del 1988, l'ente regionale per il diritto allo studio universitario ( E.DI.S.U.), come ente strumentale della Regione dotato di autonomia amministrativa e funzionale.

10. - Con riferimento all'art. 25, primo comma, della legge n.390, la ricorrente sostiene che la norma denunciata ha l'effetto di escludere sia l'intervento regionale diretto in materia di assistenza agli studenti universitari, sia la costituzione di appositi enti regionali, sia la delega delle funzioni agli enti locali e cioè tutte le tre diverse soluzioni organizzative messe in atto dalle Regioni in materia di assistenza.

Inoltre - sempre secondo la ricorrente - ogni forma di programmazione sull'intero territorio verrebbe preclusa dal fatto che gli organismi regionali di gestione sono ancorati alle sedi universitarie: una circostanza, questa, che oltre ad impedire una efficace attività programmatoria, comporterebbe prevedibilmente la costituzione in Puglia di una pluralità di organismi di gestione, in aperto contrasto con il modello di ente regionale già adottato, che prevede una struttura unica con uffici decentrati sul territorio.

Altri profili di incostituzionalità dell'art. 25 vengono poi individuati nelle statuizioni secondo cui il consiglio di amministrazione degli organismi di gestione deve essere composto da un egual numero di rappresentanti della Regione e dell'Università, la Regione non può designare personale universitario per la propria rappresentanza ed il presidente dell'organo di gestione deve essere nominato dalla Regione d'intesa con l'Università. Tali disposizioni, ad avviso della ricorrente, creano un rapporto totalmente sbilanciato a favore dell'Università.

Viene, infine, censurata la previsione -contenuta nell'art.25, primo comma, - di "convenzioni" per l'affidamento alle Università della gestione degli interventi in materia di diritto agli studi universitari, dal momento che tale previsione determinerebbe un processo di "riappropriazione" a livello gestionale da parte dello Stato di funzioni trasferite alle Regioni.

Da tutte queste ragioni vien fatta derivare l'illegittimità della norma impugnata per contrasto con gli artt.117 e 118 della Costituzione.

11. - La Regione Puglia contesta anche la disposizione contenuta nell'art.7, primo comma, lett. d), della legge n. 390 secondo cui le borse di studio regionali non possono essere cumulate con altre borse di studio a qualsiasi titolo attribuite, tranne che con quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere volte ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di formazione o di ricerca dei borsisti.

Secondo la ricorrente, un siffatto divieto di cumulo avrebbe l'effetto di limitare l'operato del legislatore regionale in contrasto con l'art. 117 della Costituzione e di essere lesivo degli artt. 3 e 34 della Costituzione.

Ciò in quanto i capaci e meritevoli potrebbero essere costretti a rinunciare alle borse regionali per effetto dell'indiscriminato divieto di cumulo, mentre ogni limite per i beneficiari di borse di studio deve tenere conto di altri fattori, come la presenza di gruppi privati disposti a cooperare con la Regione e con le Università nell'assegnazione delle borse di studio.

12. - Nei tre giudizi ha spiegato intervento, con un unico atto, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura sostiene innanzi tutto l'infondatezza della prima censura - comune a tutte le Regioni ricorrenti - secondo cui l'art. 25, primo comma, della legge impugnata darebbe vita ad una forma di cogestione delle funzioni di assistenza a favore degli studenti universitari e precluderebbe alle Regioni la scelta di diverse forme organizzatorie e gestionali, molte volte già attuate anche per delega agli enti locali. Nell'atto di intervento si sottolinea, al riguardo, che la materia dell'assistenza agli studenti e del diritto allo studio presenta evidenti punti di contatto con la sfera d'azione delle Università, cui è riconosciuta dall'art. 33 della Costituzione piena autonomia istituzionale, sì che la legge ordinaria non avrebbe potuto sottrarsi all'esigenza di prevedere e disciplinare un necessario momento di coordinamento in forme idonee a garantire alle Regioni l'esercizio delle funzioni trasferite ed a salvaguardare le Università dalla indiretta interferenza che l'azione delle prime avrebbe potuto determinare. Aggiunge, inoltre, l'Avvocatura che l'organo di cogestione amministrativa a composizione paritetica previsto dalla norma impugnata si presenta come strumento in grado di assicurare l'attuazione degli interventi regionali nel settore, assunti ad obiettivo delle scelte normative locali, in maniera compatibile con l'ambito di autonomia proprio delle Università.

Non vi sarebbe, pertanto, alcun sbilanciamento a favore delle Università nel rapporto tra le stesse e le Regioni così come lamentato dalla Regione Puglia; nè sarebbero condivisibili i rilievi della Regione Emilia-Romagna secondo cui l'eventuale cogestione avrebbe dovuta esser lasciata ad oggetto di una libera scelta del legislatore regionale.

Del pari infondate vengono poi ritenute le censure che la Regione Toscana muove sul presupposto della impossibilità di partecipazione all'organismo di cogestione, in qualità di rappresentanti regionali, dei soggetti designati dagli enti locali delegati dalla Regione stessa.

Nell'atto di intervento si afferma in proposito che la normativa denunciata demanda alla legislazione regionale la costituzione dell'organismo di gestione e lascia a ciascuna Regione il potere di regolamentare il modo di designazione dei propri rappresentanti, anche là dove siano state delegate le funzioni in materia.

In ordine alle doglianze che investono la disciplina dettata dai commi primo, secondo e quinto dell'art. 21 della legge n. 390 l'Avvocatura replica "che la concessione in uso perpetuo e gratuito è forma classica, asseverata e collaudata da lunghissima tradizione" attraverso la quale - senza formalmente dismetterne la proprietà - un soggetto di diritto pubblico consente ad altro di avvalersi strumentalmente dei beni occorrenti all'espletamento di una sua funzione. In questa ottica, anche l'accollo all'usuario degli oneri di manutenzione e di quelli tributari relativi ai beni goduti sarebbe pienamente coerente con il criterio della utilizzazione.

D'altro canto, la prospettata lesione della autonomia finanziaria regionale scaturirebbe da una inadeguata interpretazione dell'art.21, quinto comma, della legge n. 390. La disposizione che prevede la riconsegna allo Stato o all'Università dei beni concessi in uso alle Regioni, dei quali sia cessata, per qualsiasi ragione, la "destinazione" all'assistenza scolastica universitaria, non implicherebbe, infatti, che la destinazione possa venir meno per effetto di una qualsiasi determinazione amministrativa statale: e ciò in quanto, in conseguenza del trasferimento delle funzioni di assistenza alle Regioni, da queste dipenderebbe il permanere o meno della destinazione dei beni alle stesse funzioni.

Passando poi ad esaminare l'impugnativa proposta dalla sola Regione Puglia nei confronti dell'art. 7, primo comma, lett. d), l'Avvocatura oppone che il divieto di cumulo appare razionale in quanto deve intendersi posto solo tra le borse di studio di cui all'art. 8 della legge (finanziate con appositi fondi pubblici) ed altre borse parimenti alimentate con risorse pubbliche, assolvendo ad una chiara finalità distributiva e, quindi, perequativa.

Da ultimo l'interveniente - dopo aver affermato che l'esame delle censure mosse dalla Regione Toscana all'art. 10 della legge impugnata è assorbito dalle argomentazioni già svolte in ordine all'art. 25 della legge stessa - si occupa delle censure indirizzate nei confronti dell'art.18, quarto comma. Al riguardo l'Avvocatura sostiene che la disposizione risulta diretta a disciplinare le ipotesi di cofinanziamento universitario di interventi regionali di ampliamento, ristrutturazione ed ammodernamento di già esistenti strutture abitative per studenti, cioé di beni concessi in uso perpetuo e gratuito alle Regioni, con la conseguenza che, sul punto, possono valere le considerazioni già richiamate in relazione all'art. 21.

La Presidenza del Consiglio chiede pertanto che tutte le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalle Regioni ricorrenti siano dichiarate infondate.

13. - In prossimità dell'udienza di discussione sia la Regione Toscana che la Regione Emilia-Romagna hanno presentato memoria, dove si replica alle deduzioni espresse dall'Avvocatura dello Stato e si insiste nelle conclusioni formulate nei ricorsi.

Considerato in diritto

1. I ricorsi proposti dalle Regioni Toscana, Emilia Romagna e Puglia pongono questioni in parte coincidenti e in parte analoghe: i giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

2. I ricorsi in questione contestano la legittimità costituzionale di varie norme della legge 2 dicembre 1991, n. 390, recante "Norme sul diritto agli studi universitari".

In particolare, formano oggetto di impugnativa: a)l'art. 25, primo comma, per violazione degli artt. 3, 97, 117 e 118, della Costituzione, dal momento che tale disposizione, nel prevedere per ogni Università organismi di gestione a struttura "mista" o a "cogestione necessaria", verrebbe ad imporre alle Regioni, mediante previsioni di dettaglio, una soluzione organizzativa obbligata, tale da escludere la possibilità dell'adozione di soluzioni diverse e, in particolare, della delega a favore degli enti locali (ricorsi della Regione Toscana, della Regione Emilia-Romagna e della Regione Puglia); b) l'art. 10, per violazione degli artt. 3, 97 e 118, terzo comma, della Costituzione, in quanto preclusivo dell'esercizio delle competenze regionali mediante soggetti designati dagli enti locali e, di conseguenza, lesivo di tali competenze per gli stessi motivi enunciati con riferimento al primo comma dell'art. 25 (ricorso della Regione Toscana); c) l'art. 21, primo, secondo e quinto comma, per violazione degli artt. 3, 97, 118 e 119 della Costituzione, per non aver operato a favore delle Regioni un trasferimento pieno e definitivo dei beni destinati all'esercizio delle funzioni trasferite, nonostante che gli oneri relativi a tali beni risultino posti a carico delle stesse Regioni (ricorsi della Regione Toscana e della Regione Emilia-Romagna); d) l'art. 18, quarto comma, - per profili identici a quelli espressi nei confronti dell'art. 21 - per il fatto di avere posto a totale carico delle Regioni gli oneri di manutenzione relativi agli immobili realizzati con la partecipazione delle Università (ricorsi della Regione Toscana e della Regione Emilia Romagna); e) l'art. 7, primo comma, lett. d, per violazione degli artt. 3, 33, 34 e 117 della Costituzione, per aver illegittimamente limitato - mediante la previsione del divieto di cumulare le borse di studio regionali con altre borse di studio - la competenza del legislatore regionale (ricorso della Regione Puglia).

Nessuna delle questioni richiamate si presenta fondata nei termini che verranno di seguito precisati.

3. La legge 2 dicembre 1991 n. 390, sul diritto agli studi universitari, è stata adottata - secondo quanto precisato nelle "finalità" enunciate dall'art. 1 - "in attuazione degli artt. 3 e 34 della Costituzione... per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano l'eguaglianza dei cittadini nell'accesso all'istruzione superiore e, in particolare, per consentire ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi". Al fine di realizzare tali obiettivi, di preminente interesse generale, la legge ha disciplinato gli interventi che, in questo settore, vengono, rispettivamente, affidati allo Stato, alle Regioni ed alle Università: conferendo - in un quadro di reciproca collaborazione tra i diversi soggetti - allo Stato l'indirizzo, il coordinamento e la programmazione degli interventi in materia di diritto agli studi universitari; alle Regioni l'attivazione di tali interventi; alle Università l'organizzazione dei propri servizi, destinati a rendere effettivo e proficuo lo studio universitario (art. 3).

La legge in esame opera, d'altro canto, nei confronti degli interventi delle Regioni (cfr. Capo III) come normazione di cornice, dal momento che le funzioni in tema di assistenza a favore degli studenti universitari, in quanto ricomprese nella materia "assistenza scolastica" di cui all'art. 117 della Costituzione, sono state trasferite alla sfera regionale dall'art. 44 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (trasferimento successivamente integrato, con riferimento alle funzioni, ai beni ed al personale delle opere universitarie, dalla legge 22 dicembre 1979,n. 642).

Su questo piano viene ad assumere un rilievo particolare la disciplina formulata dall'art. 7, dove si enunciano (al comma primo) i principi fondamentali cui deve conformarsi la legislazione concorrente regionale in tema di diritto agli studi universitari e dove si precisa (al comma quarto) che gli interventi affidati in materia alle Regioni devono, in ogni caso, risultare "funzionali alle esigenze derivanti dallo svolgimento delle attività didattiche e formative che restano autonomamente regolate dalle Università ai sensi dell'art. 33 della Costituzione".

In sintesi, si può dunque dire che la legge in esame ha puntualmente registrato - mirando al loro reciproco contemperamento - i diversi interessi di rilievo costituzionale che entrano in gioco nel settore del diritto agli studi universitari: quelli dello Stato, connessi alla realizzazione, in condizione di parità sull'intero territorio nazionale, del diritto dei capaci e meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi (art.34, terzo e quarto comma, Cost.); quelli delle Regioni, in quanto titolari della competenza in tema di assistenza universitaria quale parte dell'assistenza scolastica (art. 117 Cost.); e quelli delle Università, cui spetta il diritto di disciplinare, in condizioni di autonomia ed entro i soli limiti fissati dalle leggi statali, le proprie attività didattiche e formative (art. 33, ultimo comma, Cost.).

4. Il richiamo al bilanciamento tra i diversi interessi di rilievo costituzionale - statali, regionali ed universitari - presi in considerazione dalla legge con riferimento al settore del diritto agli studi universitari, consente di affrontare partitamente le varie censure formulate nei tre ricorsi.

La prima questione - prospettata da tutte le Regioni ricorrenti, anche se con formulazioni in parte differenziate - investe l'art. 25, primo comma, della legge n. 390, dove vengono disciplinati gli organismi regionali di gestione degli interventi in materia di assistenza universitaria. Secondo tale disposizione le Regioni sono tenute a costituire "per ogni Università un apposito organismo di gestione, dotato di autonomia amministrativa e gestionale, il cui consiglio di amministrazione è composto di un ugual numero di rappresentanti della Regione e delle Università". La disposizione aggiunge: "La Regione non può designare personale universitario quale proprio rappresentante. Metà dei rappresentanti dell'Università sono designati dagli studenti.

Il presidente è nominato dalla regione d'intesa con l'Università. Le Regioni possono altresì affidare mediante convenzione la gestione degli interventi in materia di diritto agli studi universitari alle Università, le quali a tal fine provvedono con apposite norme dei rispettivi statuti".

Questa disciplina viene ritenuta dalle ricorrenti lesiva delle proprie competenze e della razionalità amministrativa per il fatto di avere imposto, con norme di estremo dettaglio, una forma di "cogestione necessaria " tra Regione e Università, incompatibile con altre forme organizzative già adottate in sede regionale e, in particolare, con la delega delle funzioni agli enti locali.

La censura non è fondata.

La disposizione in esame prevede, ai fini della gestione degli interventi per la realizzazione del diritto agli studi universitari, la costituzione di uno specifico ente regionale dotato di autonomia, la cui struttura viene in parte regolata, con riferimento ad alcuni aspetti qualificanti (composizione del consiglio di amministrazione; designazione dei rappresentanti universitari; nomina del presidente), dalla stessa legge statale. Tale disciplina concorre indubbiamente a limitare la sfera di competenza spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117 Cost., in materia di "enti amministrativi dipendenti", ma trova la sua giustificazione - oltre che nella particolare natura degli organismi in esame (chiamati a sostituire le opere universitarie previste dalla precedente legislazione statale) - nell'esigenza di operare un giusto contemperamento tra gli interessi connessi a due diverse sfere di autonomia (regionale e universitaria), ambedue dotate di copertura costituzionale.

Su questo piano la soluzione adottata dal legislatore nazionale non si prospetta, d'altro canto, censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, dal momento che è stata prescelta la via di una gestione da attuare attraverso un organismo costituito mediante l'apporto paritario della Regione e della Università, cioé dei due centri di riferimento fondamentali degli interessi che formano oggetto dell'azione amministrativa attinente al settore: organismo che, per quanto dotato di autonomia amministrativa e gestionale, resta pur sempre regionale, in quanto istituito e regolato - per le parti non direttamente regolate dalla legge statale - dalla Regione.

Nè, a sostegno della tesi della illegittimità dell'art. 25, primo comma, può, valere il richiamo al terzo comma dell'art. 118 della Costituzione, nel presupposto che la disposizione impugnata sarebbe tale da escludere la possibilità di un ricorso alla delega delle funzioni amministrative agli enti locali, con la conseguente esclusione dalla partecipazione agli organismi di gestione di soggetti designati dagli enti delegati. In realtà, la norma impugnata, nella sua corretta interpretazione, non può essere ritenuta incompatibile con l'istituto della delega agli enti locali: delega che potrà pur sempre essere attivata dalla Regione attraverso il conferimento a detti enti dei poteri (e in particolare dei poteri di designazione dei rappresentanti nel consiglio di amministrazione) che la stessa Regione è legittimata a esercitare nell'ambito del modello gestionale delineato dall'art. 25 della legge n.390.

Nè motivo di censura può derivare dal fatto che la norma impugnata preveda la costituzione di un organismo di gestione per ogni Università, dal momento che tale scelta - oltre a rispondere ai caratteri propri dell'autonomia riconosciuta a ciascuna Università - non esclude di per se l'eventualità che la Regione possa attivare, ai fini di programmazione degli interventi, forme appropriate di coordinamento tra i vari organismi di gestione operanti nel territorio regionale.

Va, infine, respinta la questione sollevata dalla sola Regione Puglia nei confronti dell'ultima parte del primo comma dell'art. 25, dove si conferisce alle Regioni il potere di affidare mediante convenzione la gestione degli interventi alle Università. Questa norma, in quanto facoltizzante e affidata alla iniziativa discrezionale della Regione, non è tale da arrecare alcuna limitazione alla sfera delle competenze regionali nè è in grado di determinare una qualche forma di riappropriazione da parte dello Stato di funzioni già trasferite.

5. In connessione con le censure formulate nei confronti dell'art. 25, primo comma, la Regione Toscana impugna anche l'art. 10 della legge n. 390 nel presupposto che la norma, quando ha regolato la composizione della conferenza per il coordinamento tra gli interventi della Regione e quelli dell'Università, abbia inteso escludere da tale conferenza i rappresentanti degli enti locali che abbiano ottenuto delega dalla Regione. Questo presupposto si presenta, peraltro, erroneo, perchè la norma, al pari di quella espressa con l'art. 25, non è tale da escludere la possibilità di delega da parte delle Regioni agli enti locali e, nell'ambito della delega, la designazione da parte degli enti delegati di propri rappresentanti in seno alla conferenza.

Anche tale questione si presenta, pertanto, infondata.

6. La Regione Toscana e la Regione Emilia-Romagna impugnano l'art. 21, primo, secondo e quinto comma, della legge n. 390, dove si concede alle Regioni "l'uso perpetuo e gratuito dei beni immobili dello Stato e del materiale mobile di qualsiasi natura in essi esistente, destinati esclusivamente a servizi per la realizzazione del diritto agli studi universitari", con l'obbligo, posto a carico delle stesse Regioni, di provvedere agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria ed ai carichi tributari nonchè di restituire i beni in questione all'Università o allo Stato ogniqualvolta venga meno la destinazione iniziale.

Secondo le ricorrenti, tale disciplina - per il fatto di aver conferito alle Regioni soltanto l'uso perpetuo e gratuito, e non la proprietà, dei beni destinati esclusivamente alla realizzazione del diritto agli studi universitari (accollando alle stesse Regioni gli oneri relativi) - risulterebbe, oltre che irragionevole, lesiva dell'autonomia amministrativa e finanziaria regionale.

La questione non è fondata.

In linea generale va, infatti, escluso che, ai sensi degli artt. 118 e 119 della Costituzione, sia possibile configurare l'esistenza di una sorta di parallelismo necessario tra funzioni trasferite alle Regioni ed appartenenza regionale dei beni strumentalmente connessi all'esercizio di tali funzioni (v. sent. n. 111 del 1976). E invero, se in linea di massima tale parallelismo sussiste, può talvolta accadere che a beni inclusi nel patrimonio regionale non corrispondano funzioni regionali determinate o che alla presenza di funzioni regionali possa, in taluni casi, non corrispondere la proprietà dei beni strumentalmente connessi all'esercizio delle stesse: e questo in relazione al rapporto di non assoluta dipendenza che, sul piano costituzionale, è dato rilevare tra la disciplina in tema di funzioni amministrative regionali (di cui all'art. 118 Cost.) e la disciplina del demanio e del patrimonio regionale (di cui all'art.119, ultimo comma, Cost.).

Ma anche aldilà di tale rilievo di ordine generale, per quanto riguarda la norma in esame, intesa nella sua giusta estensione, resta pur sempre il fatto che la concessione di un bene in "uso perpetuo e gratuito" - anche se non viene a presentare un contenuto così ampio quale quello che si collega al trasferimento in proprietà - attribuisce in ogni caso a favore del destinatario una forma di disponibilità del bene commisurata ai contenuti pubblicistici della funzione allo stesso affidata, in quanto caratterizzata da stabilità e non sottoposta a limitazioni suscettibili di riflettersi negativamente sull'esercizio della stessa funzione.

Anche l'uso "perpetuo e gratuito", infatti, al pari della proprietà, configura un diritto di natura reale che entra a far parte - secondo modalità fissate dalla legge statale, così come voluto dall'art. 119, ultimo comma, della Costituzione - del patrimonio indisponibile regionale, seguendo le sorti della funzione cui il bene stesso risulta destinato in via esclusiva.

Dal che la conseguenza ulteriore - espressa nella legge e rispondente a evidenti criteri di razionalità - che gli oneri di manutenzione e tributari seguano la disponibilità concessa, senza corrispettivo, a titolo di "uso perpetuo", e che la cessazione della destinazione esclusiva posta a fondamento della concessione possa determinare la restituzione del bene al titolare originario.

7. La Regione Toscana e la Regione Emilia-Romagna impugnano anche l'art. 18, quarto comma, della legge in esame nella parte in cui tale disposizione prevede che sono a totale carico delle Regioni gli oneri di manutenzione degli immobili alla cui costruzione o al cui restauro abbiano concorso le Università in base a specifici stanziamenti ministeriali. Le censure regionali muovono, in questo caso, dal presupposto che gli immobili in questione non possano considerarsi di spettanza regionale, bensì universitaria. Tale interpretazione , peraltro, non può essere condivisa, dal momento che la norma impugnata ha inteso chiaramente riferirsi ai soli edifici di proprietà regionale di cui al primo comma dello stesso art.18, edifici costruiti o restaurati dalle Regioni nell'ambito dei propri programmi per l'edilizia residenziale universitaria.

Dal che l'infondatezza, nei termini precisati, della questione.

8. L'ultima censura - proposta soltanto dalla Regione Puglia - investe l'art. 7, primo comma lett. d) della legge n. 390, dove si pone un divieto di cumulo tra le borse di studio concesse dalle Regioni ai sensi dell'art.8 della legge "con altre borse di studio a qualsiasi titolo attribuite, tranne quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere volte a integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di formazione e di ricerca dei borsisti".

Tale disposizione, ad avviso della ricorrente, verrebbe a violare gli artt.3, 33, 34 e 117 della Costituzione, in quanto suscettibile di limitare illegittimamente la competenza regionale e di ledere un diritto costituzionalmente garantito agli studenti meritevoli.

Anche tale questione - pur senza condividere la lettura della norma impugnata che viene avanzata dalla difesa statale - va dichiarata infondata sotto tutti i profili enunciati, dal momento che compete al legislatore statale, nella disciplina delle modalità di realizzazione del diritto allo studio universitario, determinare un divieto generale di cumulo quale quello indicato nella norma impugnata, divieto che ben può trovare la sua giustificazione di ordine costituzionale nelle connotazioni proprie del diritto agli studi universitari e nella esigenza di impiegare le risorse pubbliche destinate alla realizzazione di tale diritto secondo criteri di razionalità e di giustizia distributiva, così da garantire una maggiore estensione della sfera dei soggetti beneficiari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con i ricorsi di cui in epigrafe, nei confronti degli artt. 7, primo comma, lett. d); 10; 18, quarto comma; 21, primo, secondo e quinto comma; 25, primo comma, della legge 2 dicembre 1991, n. 390, recante "Norme sul diritto agli studi universitari", con riferimento agli artt. 3, 33, 34, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/06/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/06/92.