ORDINANZA N. 275
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del l'art. 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n.152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dal Tribunale di Lucca nel procedimento per misure di prevenzione nei confronti di Del Vecchio Giuseppe, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.7, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
RITENUTO che il Tribunale di Lucca, con ordinanza del 22 novembre 1991 ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n.152, nella parte in cui, richiamando le disposizione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, rende applicabile anche alle persone indicate nell'art. 1, nn. 1 e 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la regola procedurale dettata dall'art. 2, primo comma, della richiamata legge n.575 del 1965;che a tal proposito il giudice a quo pone in risalto la circostanza che, in virtù del rinvio formale operato dall'art.19 della legge n. 152 del 1975 alle disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, quest'ultimo complesso normativo si estende nella sua interezza alle persone indicate nell'art.1, nn. 1 e 2, della legge n. 1423 del 1956, anche se non indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, sicchè tra le disposizioni applicabili deve ritenersi compresa anche la norma procedurale stabilita dall'art. 2 della legge n. 575 del 1965, come sostituito dall'art. 20 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, in base al quale "le misure di prevenzione della sorveglianza speciale e del l'obbligo di soggiorno, di cui agli articoli 3 e 4 della legge 27 dicembre 1956, n.1423, possono essere altresì proposte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona, anche se non vi è stato preventivo avviso";
che tale previsione, quindi, consente di omettere il particolare procedimento previsto dagli artt. 3 e 4 della legge n. 1423 del 1956, e la cui osservanza permette, secondo il giudice a quo, di impedire il generarsi di "fattispecie apodittiche di presunta pericolosità, contrastanti con l'intero impianto costituzionale dei diritti di libertà"; sicchè, mentre con riferimento alle ipotesi disciplinate dalla cosiddetta normativa "antimafia" può ritenersi "priva di giustificazione la previsione di condizionamenti all'esercizio del potere di pro posta", dal momento che è la legge e la stessa collettività sociale a presumere la pericolosità degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, l'estensione della disciplina ad ipotesi che non rispondono a quei requisiti finisce per determinare, secondo il remittente, una "violazione palese del principio di uguaglianza formale", dovendo essere preclusa la possibilità di "parificare tra loro situazioni oggettivamente e soggettivamente diverse, in ispecie allorquando è il legislatore stesso a stabilire la specificità delle situazioni medesime";
e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
CONSIDERATO che la norma oggetto di impugnati va viene sottoposta all'esame di questa Corte con esclusivo riferimento ad un aspetto di carattere procedimentale che non presenta interferenza alcuna nè con la disciplina sostanziale che regola le misure di prevenzione, nè con il potere-dovere del giudice di valutare in concreto i presupposti per la relativa applicazione, nè con le garanzie che assistono il prevenendo nel corso della fase giurisdizionale del procedimento;
che così circoscritto il tema devoluto, la doglianza finisce per incentrarsi sull'organo titolare del potere di proposta e sugli adempimenti che condizionano l'esercizio di un siffatto potere, al riguardo dei quali il remittente pretende di assumere come modello generale, valido quale termine di comparazione, la disciplina che regola la proposta del questore;
che, al contrario, avendo il legislatore ritenuto, secondo una scelta discrezionale ma non per questo illegittima, di affidare al pubblico ministero un generale potere di proposta e, quindi, la titolarità di una "azione di prevenzione", ragionevolmente ha svincolato l'organo da presupposti procedimentali che tradizionalmente rinvengono la loro ragion d'essere nelle funzioni esclusivamente amministrative che il questore è chiamato a svolgere;
che, di conseguenza, viene a difettare nella specie la dedotta violazione del principio di eguaglianza, proprio perchè le diverse caratteristiche degli organi proponenti giustificano in sè il differente modulo procedimentale, senza che a tal fine rilevino parametri di pericolosità più o meno "presunta" che solo il giudice è chiamato ad apprezzare in sede di delibazione della proposta;
e che, pertanto, la questione deve essere di chiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n.152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), sol levata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Lucca con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/06/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 12/06/92.