SENTENZA N. 178
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 15 maggio 1991, n. 254 (di conversione del decreto legge 16 marzo 1991 n. 83 recante "modifiche al decreto legge 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516 in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze") promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1991 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze contro Cascio Riccardo iscritta al n. 691 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 marzo 1992 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. In un giudizio penale a carico di un soggetto imputato del reato di cui all'art. 1, comma secondo n. 1, l. 7 agosto 1982 n. 516, per omessa annotazione di corrispettivi nel libro giornale, ed assolto in primo grado alla stregua della nuova disciplina sub art 1 d.l. 1991 n.83 (escludente la rilevanza penale della suddetta omissione quando - come nella specie - il corrispettivo risulti annotato in altra scrittura contabile e sia stata versata l'imposta globalmente dovuta), la Corte di Cassazione, adita in sede di impugnazione avverso la decisione del Tribunale - premesso che alla applicazione della sanatoria (rectius della nuova disciplina della riferita infrazione, in via di sanatoria) ai sensi degli artt. 1 ed 8 della legge n. 154 di conversione del citato d.l. n. 83 del 1991, ostava il principio di ultrattività delle norme penali finanziarie sub art. 20 l. 1929 n. 4, derogato dall'art. 7 della stessa l. n. 154/91 solo per ipotesi di reato, contenute nella medesima l. 516/82 [e nella l. n. 17/85], diverse da quelle in esame - ha ritenuto di conseguenza rilevante, ed ha per ciò sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 7 della l. 154/1991 nella parte appunto in cui esclude dal beneficio della sanatoria l'ipotesi di reato previsto dall'art.1 secondo comma l. 516/82.
Ad avviso della Corte a quo, la denunciata esclusione si porrebbe infatti in contrasto con il precetto dell'eguaglianza, atteso che "anche sul piano etico giuridico", il reato escluso dal beneficio in parola si risolverebbe in un comportamento "meno allarmante ed antisociale" rispetto alle altre violazioni (omessa tenuta del repertorio della clientela, irregolare tenuta delle scritture contabili, omessa dichiarazione ed omesso versamento da parte del sostituto d'imposta) viceversa assoggettate alla indicata deroga.
2. Di detta questione, l'Avvocatura di Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l'inammissibilità o in subordine l'infondatezza.
Considerato in diritto
1. La legge 15 maggio 1991 n. 154, di conversione del decreto legge 16 marzo 1991 n. 83 - nel quadro della già da tempo auspicata e programmata revisione organica della legislazione penale tributaria ed in una logica anticipativa delle perseguite finalità di razionalizzazione ed armonizzazione dalle varie ipotesi criminose attraverso una più oculata scelta e modulazione tra sanzioni penali ed amministrative - ha provveduto, nell'immediato, a ridisegnare le minori fattispecie già disciplinate dal d.l. 10 luglio 1982 n. 429 conv. in l. 7 agosto 1982 n. 516; di esse rinnovando più ponderatamente la valutazione di gravità e diversamente graduando la rispettiva sanzione, con risultati, in taluni casi, di alleggerimento ed, in altri, di complessivo irrigidimento rispetto al precedente trattamento sanzionatorio.
In forza del primo comma dell'art. 7 della stessa legge 154, le nuove norme hanno effetto dalla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo, in coerenza con il principio dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 che sancisce l'ultrattività della legge penale tributaria. Tuttavia il secondo comma dell'art. 7 pone una deroga a tale principio per taluni dei reati considerati nelle precedenti disposizioni, semprechè si provveda alla regolarizzazione nei modi previsti nel successivo art. 8.
Nella suddetta deroga sono in particolare ricompresi i reati di omessa od irregolare tenuta delle scritture (di cui all'art. 1 della l.516/82, come modificato dall'art. 1 della l. 154/91), di omessa dichiarazione o versamento delle ritenute da parte del sostituto di imposte (sub art. 2 l.516/82 a sua volta modificato dall'art. 3 della l. 154) e di omessa tenuta e conservazione del repertorio della clientela (di cui all'art. 3 co. 4 l.1985 n.17, poi modificato dall'art. 2 l. 154).
Dalla deroga al principio di ultrattività restano invece esclusi tutti i reati di cui all'art. 1 della legge 154/91 (ad eccezione di quello del comma 6; e quello del primo comma dell'art. 2), ossia tutti i reati di omessa dichiarazione e omessa fatturazione o annotazione in scritture contabili.
2. Proprio della legittimità di tale esclusione - e con specifico riguardo al reato di omessa annotazione di corrispettivi ex art. 1 secondo comma 1 cit. (per cui nella specie si procede) - dubita ora il collegio rimettente: che all'uopo ipotizza il contrasto del menzionato art.7 (in parte qua) con l'art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento, sul presupposto che il reato escluso dalla suddetta deroga sia "di gran lunga meno allarmante ed antisociale" rispetto alle altre violazioni che viceversa ne beneficiano.
3. La questione così prospettata è infondata.
Quella che - in relazione al considerato profilo di inclusione o meno nella deroga al principio di ultrattività delle norme penali tributarie - con l'ordinanza di rimessione in sostanza si censura è infatti una valutazione (comparativa) di politica criminale, come tale riservata all'esclusiva competenza del legislatore (cfr;., da ult., sent. 215/91).
Nè può dirsi che l'esercizio della discrezionalità legislativa riveli nella specie quegli aspetti di irragionevolezza che possono giustificarne in tesi il controllo di costituzionalità.
Ed invero - per quanto innanzitutto attiene al prospettato raffronto dell'ipotesi di omessa "annotazione" sub iudice con quelle di omessa "tenuta" (del repertorio della clientela) ed irregolare tenuta delle scritture contabili - è agevole rilevare che il più favorevole trattamento riservato alle seconde, sotto il profilo del dies a quo di efficacia della nuova disciplina, è assolutamente coerente alla scelta di fondo operata sul piano sostantivo dallo stesso legislatore del 1991, con l'attenuare, nel suo complesso, il regime punitivo delle infrazioni del secondo tipo e l'irrigidire viceversa il paradigma incriminativo delle infrazioni del primo tipo (assumendo ad ipotesi base quelle configurate come aggravate nel testo precedente).
Scelta, quest'ultima, a sua volta non certo censurabile sul piano della razionalità: essendo di intuitiva evidenza la maggiore insidiosità che presentano le condotte di omessa (od infedele) annotazione (in scritture apparentemente regolari) rispetto a quelle di radicale omissione od irregolare tenuta della documentazione contabile (che consentono alla finanza di prescinderne ai fini dell'accertamento fiscale).
Laddove per quanto poi attiene al residuo profilo della comparazione, operata dal giudice a quo, in riferimento alle violazioni del sostituto di imposta - a prescindere dalla reiterabile considerazione che l'inclusione nella deroga sub art. 7 l. 154 consegue anche in questo caso all'alleggerimento delle fattispecie assunte a parametro - va sottolineata l'assoluta disomogeneità (che esclude la fondatezza della censura di violazione dell'art.3 della Costituzione) delle infrazione poste a raffronto rispettivamente ascrivibili al contribuente od al sostituto d'imposta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.7 della legge 15 maggio 1991 n. 154 (di conversione del d.l. 16 marzo 1991 n 83 recante "modifiche al d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516 in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze"), "nella parte in cui esclude dalla sanatoria l'ipotesi di reato prevista dall'art.1 comma secondo, della legge 516/1982", in riferimento all'art.3 della Costituzione, sollevata dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 aprile del 1992.