SENTENZA N. 144
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 30 luglio 1990, n. 217 ("Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti") promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 22 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia sull'istanza proposta da Fricano Onofrio iscritta al n.541 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale dell'anno 1991; 2) ordinanza emessa il 28 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano sull'istanza proposta da Sturmann Rosa iscritta al n.619 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 22 giugno 1991, resa nel procedimento penale pendente nei confronti di Fricano Onofrio, il g.i.p. presso il Tribunale di Reggio Emilia - al quale l'imputato, nel presentare istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha attestato la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per fruire del beneficio dichiarando di essere disoccupato e privo di reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito per l'anno 1990 - ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 30 luglio 1990 n.217 nella parte in cui tale norma non distingue fra mancanza di reddito derivante da disoccupazione involontaria e mancanza di reddito derivante da volontario rifiuto di svolgere attività lavorativa. Secondo il giudice rimettente vi sarebbe contrasto sia con gli art. 3 e 24 Cost., che con gli artt. 1, 1 co., e 4, 2 co., Cost. Ed infatti, sotto il primo profilo, l'art.3 cit., ponendo un uguale trattamento per situazioni profondamente diverse, finisce con sottrarre risorse alla tutela di chi sia non abbiente senza propria responsabilità; sotto il secondo profilo la norma censurata si risolve col premiare chi volontariamente si sottrae al dovere di svolgere un'attività socialmente utile.
La norma censurata - ritiene il giudice a quo - può essere emendata soltanto prescrivendo il carattere non volontario della disoccupazione, che potrebbe essere agevolmente provato documentando (anche a mezzo dell'autocertificazione) l'iscrizione nelle liste di collocamento.
2. Con ordinanza del 28 giugno 1991 il g.i.p. presso il Tribunale di Bolzano - chiamato a decidere sull'istanza presentata da Sturmann Rosa, imputata del reato di detenzione di sostanza stupefacente in misura superiore alla dose media giornaliera, e diretta all'ammissione al gratuito patrocinio nel procedimento penale a suo carico - ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dello stesso art. 3 della legge 30 luglio 1990 n.217, oltre che del successivo art. 4, per contrasto con gli artt. 1 e 3 Cost.
Osserva il giudice rimettente che tale legge sul patrocinio a spese dello Stato è strutturata in modo da non garantire il rispetto del principio della parità di trattamento in quanto per gli errati criteri di valutazione della capacità patrimoniale dell'imputato viene a creare ingiusti privilegi.
Ad avviso del giudice a quo risulta in particolare irragionevole e discriminante il criterio di attribuire in ogni caso il beneficio del patrocinio a spese dello Stato a chi dichiari non più di dieci milioni di reddito annuo, anche se si tratti di un evasore fiscale ovvero di un percettore di redditi illeciti; altresì irragionevole sarebbe la mancata rilevanza dell'effettiva situazione patrimoniale dell'imputato. Il giudice rimettente - nell'auspicare quindi che si possano effettuare accertamenti sul reale tenore di vita di chi richiede il patrocinio a spese dello Stato - ritiene che altrimenti vi sarebbe un ingiusto privilegio per chi non dichiara fedelmente i suoi redditi ovvero ha redditi illeciti con conseguente violazione anche del principio costituzionale generale secondo cui la Repubblica è fondata sul lavoro e quindi è tenuta a non privilegiare in alcun modo attività che non siano legittimamente esercitate.
Infine al giudice a quo appare un ingiusto privilegio che l'imputato possa essere difeso a spese dello Stato solo perchè temporaneamente non sia in grado di far fronte alle spese della sua difesa, senza prevedere alcuna possibilità di recupero da parte dello Stato di quanto anticipato nel caso in cui le sue condizioni economiche dovessero migliorare.
3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che entrambe le questioni siano dichiarate non fondate. Rileva in particolare l'Avvocatura, in relazione all'ordinanza del g.i.p. presso il tribunale di Reggio Emilia, che l'art. 24, 3 co., Cost. parla genericamente di <<non abbienti>> senza distinguere ulteriormente.
Con riferimento poi all'ordinanza del g.i.p. presso il Tribunale di Bolzano, l'Avvocatura sostiene essere manifestamente infondata la prima questione sollevata dal giudice a quo perchè muove da erronee premesse. É infatti previsto (dall'art. 6 legge n. 217/90) che il decreto del giudice, unitamente all'istanza dell'interessato e all'allegata documentazione (tra cui l'autocertificazione attestante la sussistenza delle condizioni reddituali ed una dichiarazione contenente l'elenco dei beni immobili e mobili registrati oggetto di diritto reale dell'indagato o imputato), sia trasmesso all'intendente di finanza il quale verifica l'esattezza dell'ammontare del reddito attestato dall'interessato, anche disponendo il controllo della posizione fiscale di quest'ultimo a mezzo della Guardia di finanza, e all'esito può richiedere al giudice la revoca o la modifica del decreto di ammissione al patrocinio gratuito. Sussiste quindi un controllo (ancorchè a posteriori) dell'ammontare dei redditi dell'imputato o indagato, nell'ambito del quale si tiene conto anche dei beni immobili e mobili registrati di quest'ultimo.
La seconda questione sollevata dal giudice a quo è - ad avviso dell'Avvocatura - inammissibile per difetto di rilevanza potendo la questione di ammissione, o meno, al beneficio essere definita indipendentemente dagli effetti dell'ipotetico (successivo) superamento della situazione di non abbienza del beneficiario e della mancata previsione del recupero delle somme corrisposte dallo Stato. Nel merito comunque- aggiunge l'Avvocatura - la questione sarebbe non fondata atteso che trattasi di scelta discrezionale del legislatore.
Considerato in diritto
1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 30 luglio 1990 n.217 , nella parte in cui- prevedendo l'ammissione nei procedimenti penali al patrocinio a spese dello Stato in favore, tra l'altro, dell'imputato che sia privo di redditi in quanto disoccupato - non condiziona il beneficio alla non volontarietà dello stato di disoccupazione, per sospetto contrasto sia con gli artt. 3 e 24 Cost. (per disparità di trattamento tra imputati disoccupati volontari ed imputati disoccupati involontari con conseguente sottrazione di risorse a questi ultimi destinate), sia con gli artt. 1, 1 co., e 4, 2 co., Cost. (perchè ingiustificatamente premia chi non si attiva per svolgere un'attività socialmente utile e per provvedere, con mezzi leciti, al proprio sostentamento).
La stessa norma censurata ed il successivo art. 4 della citata legge n. 217 del 1990 sono poi stati investiti da una seconda questione incidentale di legittimità costituzionale nella parte in cui non prevedono:
a) che nel valutare il diritto ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato si tenga conto del tenore di vita, delle effettive capacità economiche, anche provenienti da attività illecite, dell'imputato;
b) che il beneficio suddetto non venga concesso con l'obbligo per l'imputato di rimborsare allo Stato le spese sostenute non appena egli ne abbia la possibilità economica. I parametri costituzionali di raffronto risultano essere gli artt. 1 e 3 Cost.; quest'ultimo perchè con un criterio irragionevole - che ridonda in disparità di trattamento - affida automaticamente il riscontro del requisito reddituale, al quale è condizionata l'attribuzione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, al mero ammontare dei redditi ai fini fiscali dell'imputato e perchè altrettanto irragionevolmente - non prevedendo in alcun caso l'obbligo a carico dell'imputato, le cui condizioni economiche siano migliorate, del rimborso in favore dello Stato delle spese del patrocinio fruito - parifica situazioni non omogenee; il primo parametro (art.1 Cost.) è poi invocato prospettandosi la violazione del principio secondo cui la Repubblica è fondata sul lavoro per l'ingiustificato privilegio che deriva all'imputato che - avendo redditi di provenienza illecita - beneficia del patrocinio a spese dello Stato.
2. Va premesso che la cit. legge n.217 del 1990 ha dato attuazione nel procedimento penale (ovvero penale militare ed in quello civile relativamente all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti dal reato) al precetto costituzionale posto dal terzo comma dell'art. 24, che prescrive che ai <<non abbienti>> siano assicurati, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
Il principio ispiratore di fondo di tale normativa - che , in attesa della generale riforma del patrocinio dei non abbienti avanti ad ogni giurisdizione (art. 1, settimo comma), rappresenta una più avanzata regolamentazione rispetto a quella posta dalla normativa di base costituita ancor oggi dal R.D. 30 dicembre 1923 n.3282 - consiste nell'essere posto a carico dello Stato l'onere del patrocinio stesso (ed in particolare il compenso spettante al difensore, al consulente tecnico di parte e a quello d'ufficio), ripetendo così la scelta inizialmente già adottata in un settore ancor più limitato (quello delle controversie individuali di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie) con la legge 11 agosto 1973 n.533 e superando invece il diverso principio dell'obbligo della gratuità dell'attività di chi tale patrocinio presta.
Tale beneficio del patrocinio (non più gratuito, ma) a spese dello Stato è assicurato al cittadino (ma anche allo straniero e all'apolide residente nello Stato) <<non abbiente>> (sia imputato che persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria). Il legislatore ordinario quindi (come già in precedenza aveva fatto nell'art. 11, primo comma, della cit. legge n.533 del 1973) ripete la dizione del terzo comma dell'art. 24 Cost. mostrando in tal modo di voler rimanere aderente all'ambito soggettivo di applicabilità del beneficio, quale disegnato dal precetto costituzionale, superando il diverso criterio adottato dal precedente R.D. n.3282 del 1923; questo infatti, agli artt. 15 e 16 , prevedeva (e prevede tuttora nei procedimenti diversi da quelli ai quali trovano oggi applicazione le leggi n.217 del 1990 e n. 533 del 1973), come presupposto per beneficiare del gratuito patrocinio, l'esistenza di uno stato (qualificato di <<povertà>>) per cui la parte non sia in grado di sopperire alle spese della lite.
L'art. 3 della legge n.217 del 1990 - come già il secondo comma dell'art.11 della cit. legge n.533 del 1973 - detta le condizioni reddituali per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il presupposto generale della <<non abbienza>> ha quindi la sua specificazione nel <<reddito>> di chi aspira al beneficio, così trovando esplicitazione la scelta del legislatore di fissare - nell'esercizio della sua discrezionalità - una soglia di reddito che leghi ad un dato oggettivo lo stato di <<non abbienza>>.
3. Su questa opzione di fondo si innesta la prima questione di costituzionalità, sollevata dal g.i.p. presso il Tribunale di Reggio Emilia, che - come già detto - censura l'art. 3, da ultimo citato, perchè non qualifica lo stato di non abbienza di chi aspira al beneficio, omettendo di distinguere tra quello che dipende da disoccupazione involontaria e quello che dipende da disoccupazione volontaria.
La censura è infondata.
La garanzia del terzo comma dell'art. 24 Cost. è collegata allo stato di <<non abbienza>> del soggetto senza alcuna ulteriore qualificazione e quindi prescinde dal suo carattere incolpevole o (eventualmente) colpevole.
Tale indifferenza delle ragioni dello stato di non abbienza è coerente con il riconoscimento del diritto di azione in giudizio sancito dal primo comma dell'art. 24 Cost., di cui la garanzia del terzo comma costituisce necessario corollario.
Si tratta di valori costituzionali che non hanno una portata strettamente soggettiva, ma sottendono un più ampio interesse generale, soprattutto nel caso di patrocinio in materia penale per la difesa dell'imputato (che è la fattispecie presa in considerazione dal giudice rimettente); ed infatti soltanto se all'imputato non abbiente, ancorchè tale non incolpevolmente, siano assicurati i mezzi per difendersi trova ordinata esplicazione la potestà punitiva statuale.
Sotto questo profilo il carattere primario di tali valori costituzionali, inerenti al diritto di azione ed al diritto di difesa, trascende l'ambito strettamente individuale della tutela di diritti ed interessi legittimi dei singoli e rende piena ragione dell'irrilevanza - nel terzo comma dell'art.24 Cost. - del fatto che lo stato di non abbienza possa eventualmente non essere incolpevole, senza per ciò solo far venir meno il beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Consegue che l'art. 3 della legge n.217 del 1990 - che non richiede l'incolpevolezza dello stato di non abbienza - non confligge con l'art. 24 Cost., nè - per la medesima ragione - con l'art. 3 Cost.
Parimenti infondata è la stessa questione di costituzionalità sollevata in riferimento agli altri parametri (art. 1, primo comma, e art.4, secondo comma, Cost.) atteso che i valori costituzionali primari espressi nel primo e nel terzo comma dell'art. 24 Cost. fanno aggio, in tal caso, sull'esigenza di differenziare la posizione di chi adempia al dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società e di chi invece a tale dovere si sottragga.
4. La seconda questione di costituzionalità (sollevata dal g.i.p. presso il Tribunale di Bolzano) - inerendo alle modalità di accertamento del requisito reddituale di cui all'art. 3 della legge n.217 del 1990 - richiede una più dettagliata ricostruzione di tale disposizione.
Condizione per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è la titolarità di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito (risultante dall'ultima dichiarazione) non superiore ad un determinato limite massimo (lire otto milioni per il 1990, dieci milioni per il 1991, e successivamente l'importo determinato ogni due anni con decreto del Ministro di grazia e giustizia di concerto con i Ministri del tesoro e delle finanze).
Il medesimo art. 3 - oltre a modificare in aumento la soglia massima di reddito in ragione dell'esistenza di familiari conviventi - precisa poi (al terzo comma) che occorre tener conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'IRPEF o che sono soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta ovvero ad imposta sostitutiva. Tale definizione del presupposto reddituale trova poi corrispondenza nel successivo art.5 che prescrive che chi aspira al beneficio deve tra l'altro dichiarare i <<redditi da lavoro>>, i <<redditi diversi da quelli da lavoro, anche se esenti da IRPEF o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva>>, i redditi di cui il richiedente abbia <<indirettamente la libera disponibilità o comunque il godimento>>, e (per lo straniero) anche i <<redditi prodotti all'estero>>. Questa formulazione dell'art. 5 ha il suo precedente nella parallela disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 11 della legge n.533 del 1973, che rappresenta l'immediato antecedente della citata legge n.217 ed alla quale si è ispirato il legislatore del 1990. Infatti anche il terzo comma dell'art. 11 prescrive che chi aspira al patrocinio a spese dello Stato deve dichiarare il <<reddito da lavoro>>, nonchè - aggiunge la norma con una formulazione più sintetica di quella dell'art. 5 cit. - le <<risorse di qualunque natura, diverse da quelle di lavoro di cui l'istante abbia direttamente od indirettamente la libera disponibilità o comunque il godimento>>.
Il parallelismo poi prosegue perchè entrambe le disposizioni prescrivono ulteriormente che l'istante deve dichiarare i beni immobili (anche se non produttivi di reddito, specifica il terzo comma dell'art. 11) ed i beni mobili registrati in ordine ai quali l'interessato sia titolare di un diritto reale.
5. Orbene, dalla lettura congiunta e coordinata degli artt. 3 e 5 emerge un presupposto reddituale articolato in singole prescrizioni di dettaglio delle quali è necessaria una reductio ad unum per verificarne la compatibilità con il canone della ragionevolezza desumibile dall'art. 3 Cost. ed evocato dal giudice rimettente prioritariamente rispetto ad altri parametri.
La scelta discrezionale del legislatore di fissare la soglia quantitativa della <<non abbienza>> non è sindacabile nel merito del limite quantitativo adottato dal quale discende una maggiore, o minore, diffusività del beneficio; e nulla impedirebbe al legislatore di adottare un limite quantitativo maggiormente benevolo per allargare l'area dei potenziali fruitori del patrocinio a spese dello Stato. Ma, per rispettare il canone di ragionevolezza delle scelte legislative, le condizioni di spettanza del beneficio devono essere coerenti con il presupposto della <<non abbienza>> e tali non sarebbero se l'accertamento di tale stato fosse ingiustificatamente limitato ad alcuni redditi con esclusione di altri.
Anche se in linea di massima (e salvo ipotesi limite che in questa sede non interessano) deve riconoscersi nel <<reddito>> (inteso in senso essenzialmente economico) il criterio rivelatore più affidabile dello stato di <<non abbienza>> perchè sintomatico della capacità di spesa e quindi dell'idoneità del suo percettore a far fronte alle spese della lite, occorre tener conto di tutti i redditi di chi aspira al beneficio (salvo che non ricorrano giustificate ragioni per considerare diversamente un determinato reddito). Tale condizione di coerenza è sicuramente rispettata dal terzo comma dell'art. 11 cit. che con una formulazione inequivoca fa riferimento - come già detto - alle risorse di qualunque natura. Ma essa è rispettata anche dagli artt. 3 e 5 della legge n.217 del 1990 perchè - al di là della formulazione diversa e più dettagliata - l'articolata enumerazione dei redditi da dichiarare è orientata verso l'omnicomprensività di tutto ciò che è reddito in senso economico. Una diversa interpretazione che nella catalogazione fatta dalle due disposizioni rinvenisse redditi non rilevanti al fine della valutazione dello stato di <<non abbienza>> confliggerebbe con il suddetto canone della ragionevolezza e della coerenza e quindi è da respingere dovendo i precetti costituzionali guidare anche l'interpretazione delle leggi.
6. Non vi è quindi, nella legge n.217 del 1990, un'ineludibile corrispondenza biunivoca tra reddito rilevante al fine dell'integrazione del presupposto per il beneficio del patrocinio a spese dello Stato e reddito dichiarato od accertato ai fini fiscali, ma - ancorchè vi sia una stretta connessione (tant'è che l'istante deve allegare alla domanda copia dell'ultima dichiarazione dei redditi o dei certificati sostitutivi) - si tratta di accertamenti che hanno finalità diverse e possono avere esiti diversi.
D'altra parte diversa è anche la situazione sostanziale alla quale tale presupposto reddituale afferisce. In un caso vi è un soggetto che aspira al patrocinio a spese dello Stato e quindi è su di lui che fa carico l'onere probatorio del presupposto reddituale al quale il legislatore collega lo stato di non abbienza. Nell'altro caso è l'Amministrazione finanziaria che fa valere la sua pretesa fiscale e quindi è su di essa che fa carico l'onere probatorio di dimostrare l'esistenza e l'ammontare di un reddito imponibile. É pertanto coerente a tale diversa incidenza dell'onere probatorio che le difficoltà (sia di ordine pratico, per disfunzioni degli uffici, sia di ordine giuridico, per decadenze o preclusioni), che l'Amministrazione finanziaria eventualmente incontri nell'accertamento dei redditi dei contribuenti, non ridondino in ingiustificato vantaggio - in sede di ammissione al particolare beneficio di cui si tratta - per chi di fatto non versi in una situazione di <<non abbienza>> economica.
Pertanto - diversamente da quanto ritiene il giudice rimettente - rilevano anche redditi che non sono stati assoggettati ad imposta vuoi perchè non rientranti nella base imponibile, vuoi perchè esenti, vuoi perchè di fatto non hanno subito alcuna imposizione. Quindi rilevano anche redditi da attività illecite - che, secondo una recente giurisprudenza (Cass. pen. 22 marzo 1991 n. 3242), non sono sottoposti a tassazione - ovvero redditi per i quali è stata elusa l'imposizione fiscale; tutti tali redditi sono poi accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 c.c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi).
Non sussistono quindi la irragionevolezza e la disparità di trattamento denunciate dal giudice rimettente.
Alla stregua delle medesime considerazioni esposte risulta poi assorbita la valutazione del secondo profilo di legittimità - riferito all'art. 1 Cost.- della medesima norma censurata.
7. Mette conto infine rilevare - a corollario della conclusione appena raggiunta - che la mancanza di un automatismo tra accertamento del reddito ai fini fiscali ed accertamento del reddito ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato non comporta un appesantimento del procedimento di concessione del beneficio, nè l'autonomia della verifica della <<non abbienza>> ha l'effetto di frapporre di fatto ostacoli all'attuazione della garanzia costituzionale.
Ed infatti la procedura per l'ammissione al beneficio (art.6) è disegnata dal legislatore in modo tale da non lasciare spazio ad alcuna verifica o controllo preventivi da parte del giudice competente ad accordare il beneficio. L'imputato (o uno degli altri soggetti sopra indicati) che aspira al beneficio deve, sì, autocertificare tutti i suoi redditi nell'anno, sia rientranti nell'imponibile IRPEF, sia esenti o comunque non assoggettati ad IRPEF. Ma il giudice che riceve l'istanza non è tenuto, nè può entrare nel merito dell'autocertificazione; egli deve solo valutare che ricorrano le condizioni per l'ammissione al beneficio <<alla stregua dell'autocertificazione>> (art. 6); non può quindi valutarne l'attendibilità, ma deve solo verificare che l'ammontare dei redditi esposti sia, o meno, compreso nel limite di legge e, all'esito di tale controllo documentale (e quindi rapido), accordare, o negare, il beneficio richiesto.
Tale procedura snella è pienamente attuativa del dettato costituzionale perchè la garanzia del patrocinio dei non abbienti deve necessariamente essere assicurata in tempi brevi e sarebbe incompatibile con controlli ed indagini di una qualche durata sull'effettivo reddito dell'istante (soprattutto se riveste la qualità di imputato).
Indagini e controlli possono essere esperiti successivamente; ed infatti è successivamente che l'intendente di finanza (cui è inviata copia dell'istanza dell'interessato), <<verifica l'esattezza ... dell'ammontare del reddito attestato dall'imputato>> (art. 6, 3 co.), disponendo eventualmente anche un controllo a mezzo della Guardia di finanza.
Ciò fa tenendo conto che l'obiettivo della verifica è l'accertamento non già dei presupposti della pretesa fiscale dell'Amministrazione finanziaria, bensì di un dato di fatto rivelatore dello stato di abbienza dell'istante.
A seguito di tali accertamenti e verifiche, se risulta un reddito superiore al limite legale, l'intendente di finanza propone al giudice competente la revoca (ex tunc) o la modifica (ex nunc) del beneficio, con gli effetti recuperatori (e le rispettive decorrenze) previsti dall'art. 11 in favore dello Stato.
8. Manifestamente inammissibile è infine la seconda questione di costituzionalità sollevata dal g.i.p. presso il Tribunale di Bolzano.
La valutazione della legittimità, o meno, della mancata previsione nella legge n.217 del 1990 di un obbligo di rimborso delle spese di patrocinio gratuito anticipate dallo Stato nell'ipotesi in cui sia successivamente cessato lo stato di <<non abbienza>> della parte che abbia fruito del beneficio, è priva di rilevanza nel giudizio a quo, giacchè meramente eventuale, mentre in tale fase processuale lo stato di <<non abbienza>> dell'istante incide in radice sulla spettanza, o meno, del beneficio.
Soltanto dopo che il beneficio sia stato accordato e fruito potrebbe assumere rilevanza una questione di legittimità costituzionale della normativa dettata dalla legge n.217 del 1990 nella parte in cui non dà rilevanza al fatto del successivo miglioramento delle condizioni economiche della parte al fine di consentire allo Stato di recuperare - ex tunc e quindi sempre per l'intero - le spese di patrocinio anticipate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondata la questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 30 luglio 1990, n. 217, (istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata - in riferimento agli artt. 1, primo comma, 3, 4, secondo comma, e 24 della Costituzione - dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Reggio Emilia con l'ordinanza in epigrafe;
b) dichiara non fondata la questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 30 luglio 1990, n.217, (istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata - nella parte riguardante il presupposto reddituale del beneficio ed in riferimento agli artt. 1 e 3 della Costituzione - dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe;
c) dichiara manifestamente inammissibile la questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge 30 luglio 1990, n.217 (istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata - nella parte in cui non è previsto il recupero da parte dello Stato, nel caso di successiva cessazione della situazione di <<non abbienza>>, delle spese di patrocinio anticipate ed in riferimento all'art.3 della Costituzione - dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/03/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 30 marzo del 1992.