Sentenza n. 119 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 119

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (Affidamento in prova del condannato militare), come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897, promossi con n. 5 ordinanze emesse dal Tribunale militare di sorveglianza di Roma, iscritte ai nn. 382, 415, 430, 453 e 485 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.23, 24, 27 e 28, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione di Walter Roberto Del Prete;

udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1992 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

udito l'avvocato Mauro Mellini per Walter Roberto Del Prete.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di cinque, analoghi procedimenti concernenti l'esame di istanze con cui altrettanti condannati alla pena della reclusione militare avevano chiesto il beneficio dell'affidamento in prova ancor prima dell'inizio della detenzione, il Tribunale militare di sorveglianza di Roma, con cinque identiche ordinanze emesse tra il 18 marzo ed il 20 maggio 1991, ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (Affidamento in prova del condannato militare), come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897, nella parte in cui esclude che i condannati alla pena detentiva militare possano essere affidati in prova indipendentemente dal periodo minimo di un mese di osservazione, da attuarsi indefettibilmente nello stabilimento militare di pena.

Premette il giudice a quo che il Procuratore militare della Repubblica, disponendo sulle istanze predette, ha sospeso gli ordini d'esecuzione delle pene sul presupposto dell'applicabilità dell'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dalla sentenza di questa Corte n. 569 del 1989, rinviando quindi gli atti al Tribunale militare di sorveglianza.

Quest'ultimo, nel dissentire da tale interpretazione, sottolinea l'autonomia del beneficio in argomento, oggetto di specifica disciplina da parte dell'impugnata normativa, la quale impone, per poter concedere l'affidamento, almeno un mese di osservazione nello stabilimento militare di pena.

Con la citata sentenza n. 569 del 1989, la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l'illegittimità dell'art. 47, terzo comma, della legge n. 354 del 1975 (così come modificato dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n.663), concernente il regime ordinario dell'affidamento al servizio sociale, là dove non ne prevedeva la concessione anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare allorchè il soggetto -- ricorrendo tutte le condizioni -- abbia tenuto un comportamento tale da consentire un giudizio prognostico favorevole in termini rieducativi.

Ricorda il Tribunale come questa Corte abbia rilevato una sostanziale irrazionalità tra la struttura originaria della misura, riservata a chi espiasse la pena detentiva (per cui era necessaria l'osservazione in carcere) e la diversa, novellata, previsione che consentiva di prescindere da tale osservazione per il detenuto il quale, anche per breve periodo in custodia cautelare, poteva giovarsi dell'osservazione durante il periodo di libertà successivo alla custodia stessa.

L'argomento della richiamata decisione, secondo cui il legislatore avrebbe ormai riconosciuto che il giudizio favorevole circa l'idoneità alla rieducazione può utilmente avvenire anche in libertà, è dal giudice a quo riferito alla pena militare, rilevandosi un'ingiustificata disparità di trattamento in danno del cittadino chiamato alle armi, non motivabile con la specialità dell'ordinamento militare, nè con la circostanza che l'affidamento in parola avvenga nella specie non già al servizio sociale ma ad un comando od ente militare (ovvero ad un ufficio o ente pubblico non militare per la prestazione di un servizio, nei casi di reati originati da obiezione di coscienza). Inoltre l'obbligatorietà dell'osservazione inframurale verrebbe ad eludere la finalità rieducativa della pena.

2. -- Nel giudizio introdotto dall'ordinanza n. 430 del 1991 si è costituita la parte privata, preliminarmente sostenendo l'immediata applicabilità della più volte richiamata sentenza n. 569 del 1989 anche al caso di specie sulla base di un'asserito difetto di autonomia dell'istituto.

Non vi sarebbe infatti una puntuale disciplina legislativa del medesimo, soprattutto con riguardo ai soggetti passivi, genericamente individuati come <militari condannati dall'autorità giudiziaria militare a pena detentiva>, formula che si presterebbe a ricomprendere, ad esempio, anche militari, condannati alla reclusione militare dall'autorità giudiziaria ordinaria in ragione della connessione con procedimenti a carico d'imputato non militare, mentre, per converso, anche l'autorità giudiziaria militare può irrogare la pena della reclusione ordinaria.

La difesa conclude peraltro nel senso della declaratoria d'illegittimità ove fosse condiviso il presupposto ermeneutico da cui muove l'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale militare di sorveglianza di Roma, con cinque identiche ordinanze del 18 marzo 1991 (R.O. n. 382 del 1991), del 22 aprile 1991 (R.O. n. 415 del 1991), del 13 maggio 1991 (R.O. n. 430 del 1991), del 20 maggio 1991 (R.O. n. 453 del 1991), del 13 maggio 1991 (R.O. n.485 del 1991), solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (Affidamento in prova del condannato militare), come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897, <nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova, se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al medesimo art. 2, primo comma>.

2. -- La questione -- identica nei cinque giudizi che debbono essere quindi trattati congiuntamente -- è fondata.

Questa Corte ha ricostruito l'evoluzione dell'istituto dell'affidamento in prova nella sentenza n. 569 del 1989, il quale, nella originaria modellazione della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), era riservato ai condannati che, espiando la pena in carcere, ivi potessero essere sottoposti alla speciale osservazione collegiale, per un periodo dapprima stabilito nella durata di tre mesi, poi -- con l'art. 4 bis, inserito nel decreto-legge 22 aprile 1985, n.144, al momento della conversione nella legge 21 giugno 1985, n. 297 -- diminuito a un mese.

L'osservazione della personalità del condannato all'interno dell'istituto penitenziario da parte di un collegio di esperti, qualora conducesse ad accertare la disponibilità del detenuto a collaborare all'attività rieducativa, si concludeva con l'affidamento in prova al servizio sociale per espiare la pena residua in condizioni di libertà, sia pure limitata da talune prescrizioni.

La finalità dell'istituto era dunque quella di agevolare ed affrettare il reinserimento sociale del condannato attraverso una fase sperimentale all'interno del carcere.

Il mutamento della originaria natura dell'istituto, riservato ai detenuti in espiazione carceraria della pena, si è verificato con l'applicazione sua ai casi particolari previsti dall'art. 47 bis come formulato nell'art. 4 ter, inserito nel decreto-legge 22 aprile 1985, n.144 al momento della conversione nella legge 21 giugno 1985, n.297, cioé al tossico o alcool-dipendente che, avendo in corso o intendendo intraprendere un programma di recupero, può chiedere l'affidamento in prova al servizio sociale prima che si dia esecuzione alla pena detentiva inflitta.

Successivamente l'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, radicalmente novellando l'intero testo dell'art. 47, ha introdotto, accanto all'affidamento in prova per il detenuto osservato per almeno un mese in istituto (primo e secondo comma), una nova species, disposta senza procedere all'osservazione, quando il condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, ha goduto di un periodo di libertà serbando comportamento tale da consentire il giudizio prognostico favorevole alla sua rieducazione e alla insussistenza del pericolo ch'egli commetta altri reati (terzo comma).

Con la citata sentenza n. 569 del 1989, questa Corte ha dichiarato, per incompatibilità con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, la illegittimità costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, così come modificato dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che il condannato possa essere affidato in prova al servizio sociale, indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare. A tale pronuncia la Corte perveniva sulla base della constatazione che, conservandosi il prerequisito della osservazione in istituto sia in espiazione di pena sia per custodia cautelare, dal beneficio dell'affidamento in prova resterebbero irragionevolmente esclusi proprio coloro che commettono reati meno gravi, o che, dimostrando minore pericolosità, non siano assoggettati a misure cautelari coercitive.

Questa Corte rilevava inoltre che il legislatore ha svincolato l'osservazione dallo stato di privazione della libertà, riconoscendola utilmente condotta sia durante l'espiazione della pena (art. 47, secondo comma), sia in libertà (art. 47, secondo comma, e 47 bis).

3. -- Tutto ciò premesso, venendo alla impugnata norma di cui all'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167, la quale, da un punto di vista sistematico, consiste nella estensione del provvedimento dell'affidamento in prova del condannato comune al condannato militare, con gli adattamenti richiesti dalle particolarità dell'organizzazione materiale militare (stabilimento militare di pena, comando o ente militare affidatario, giudice militare di sorveglianza), si deve constatare che non è riscontrabile alcuna valida ragione perchè essa continui a stabilire la indefettibilità dell'osservazione della personalità del condannato, condotta per almeno un mese all'interno dello stabilimento militare di pena, quando lo stato della legislazione per il condannato comune, a seguito della evoluzione descritta, accoglie sia l'osservazione inframurale sia quella in libertà.

La norma censurata, per le sopravvenienti novellazioni della figura generale, è divenuta non compatibile con il principio costituzionale di eguaglianza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (Affidamento in prova del condannato militare), come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897, nella parte in cui non prevede l'adozione del provvedimento dell'affidamento in prova indipendentemente dall'osservazione della personalità del condannato condotta per almeno un mese nello stabilimento militare di pena.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/03/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 marzo del 1992.