SENTENZA N. 108
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 60, 405 e 197, secondo comma, lett. a) (rectius: art. 197, primo comma, lett. a,) del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 marzo 1991 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Sottoferro Antonio ed altro, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 19 marzo 1991 il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art.76 della Costituzione, degli artt. 60, 405 e 197, primo comma, lett. a) del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 2 n. 36 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81.
2. In particolare il giudice remittente rileva la sussistenza di un contrasto tra la direttiva n. 36 della legge di delega, laddove prevede "l'assunzione della qualità di imputato da parte della persona cui è attribuito un reato...nella richiesta di una misura di coercizione reale o personale", e gli artt. 60 e 405 del codice di rito che tale disposizione non riproducono in riferimento alla persona sottoposta ad indagini nei cui confronti sia stata richiesta l'adozione di una misura cautelare.
Inoltre l'art. 197, prosegue il giudice a quo, attesa l'attuale formulazione normativa della qualità di imputato desumibile dai citati artt. 60 e 405, consente l'assunzione quale teste della persona già sottoposta ad indagini, colpita da misura cautelare, la cui posizione sia stata archiviata. Nè, a suo avviso, potrebbe essere applicata la estensione della garanzia disposta dall'art. 61 dello stesso codice, atteso il venir meno della veste di indagato in seguito al provvedimento di archiviazione.
Quanto alla rilevanza, il Tribunale di Milano conclude affermando che ove la legge-delega fosse stata integralmente rispettata, la persona che si fosse trovata nella anzidetta posizione processuale non avrebbe potuto essere sentita in qualità di teste, come invece è avvenuto nel caso di specie, bensì come soggetto imputato di reato connesso.
É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione sollevata.
Rileva l'Avvocatura che la legge di delega prevede alla direttiva n.48 dell'art. 2 che il pubblico ministero, al termine delle indagini preliminari, debba effettuare la scelta tra la richiesta di archiviazione e la formulazione dell'imputazione: il che dimostrerebbe che, nel disegno del legislatore delegante, di imputazione e di imputato possa correttamente parlarsi solo nel momento in cui l'azione penale sia effettivamente esercitata.
L'indubbia razionalizzazione operata nel codice delle indicazioni della legge di delega soddisferebbe quindi le esigenze di chiarezza concettuale e sistematica, e nel contempo non tradirebbe il significato autentico della direttiva n. 36. Questa, infatti, prosegue la difesa del governo, non ha lo scopo di definire la nozione di imputato in senso tecnico, bensì quella di individuare le situazioni che determinano l'applicazione degli istituti processuali di garanzia a favore dell'imputato o, comunque, della persona sottoposta alle indagini.
In questo senso la disciplina del codice sarebbe pienamente soddisfacente, attesa l'"estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato" operata dall'art. 61.
Inoltre, a prescindere da profili nominalistici, non potrebbe in alcun modo affermarsi che nelle intenzioni del legislatore delegante la persona sottoposta a misure cautelari personali o reali debba veder definita la sua posizione processuale, in alternativa all'esercizio dell'azione penale, con un provvedimento diverso dall'archiviazione.
Proprio in forza della citata direttiva n. 48, ancor prima che dell'art.405 del codice di procedura penale, il pubblico ministero il quale ravvisi l'inconsistenza degli indizi a carico dell'indagato deve richiedere l'archiviazione.
In altri termini, comunque si fosse voluto risolvere il problema della individuazione della qualità della persona colpita da un provvedimento cautelare personale o reale nel corso delle indagini, la delega imponeva un esito di archiviazione nei suoi confronti in alternativa all'esercizio dell'azione penale.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale di Milano solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 60, 405 e 197, primo comma, lett. a) del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per contrasto con l'art. 2 n. 36 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81.
La questione sottoposta al giudizio della Corte è la seguente: secondo il giudice a quo non sarebbe applicabile all'ipotesi di cui all'art. 197, primo comma, lett. a) (Incompatibilità con l'ufficio di testimone) del codice di procedura penale la disposizione di cui all'art.61, secondo comma (Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato), "atteso che tale norma fa riferimento all'attualità della veste di indagato, che viene meno in seguito al provvedimento di archiviazione". Ne consegue che il divieto di assumere come testimoni i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art.12, non opera nei confronti di chi è stato sottoposto ad indagini preliminari concluse con l'archiviazione. Ma, nel caso da cui muove il Tribunale remittente, la persona sottoposta alle indagini preliminari era stata assoggettata, nel corso di queste, a misura restrittiva della libertà personale, ed avrebbe perciò dovuto assumere la qualità di imputato secondo la previsione contenuta nella direttiva n. 36 dell'art. 2 della legge di delega, previsione che non sarebbe stata rispettata dagli artt. 60 e 405 del codice di procedura penale.
Sarebbe quindi costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, l'art. 60 del codice di procedura penale in quanto non prevede che la qualità di imputato venga assunta dalla persona, sottoposta alle indagini preliminari "cui è attribuito un reato...nella richiesta di una misura di coercizione reale o personale".
La questione posta dal Tribunale di Milano va pertanto circoscritta a tale ultima norma (pur se formalmente sollevata anche in ordine agli artt.197 e 405 del codice di procedura penale), in quanto l'eventuale dichiarazione d'illegittimità della stessa risulterebbe di per sè idonea a risolvere il problema nel senso auspicato dall'ordinanza di rimessione.
La questione non è fondata.
Come risulta dalla relazione al Progetto preliminare, il legislatore delegato nel formulare l'art. 60 ha voluto restringere la nozione di imputato in termini rigorosi, dandosi cura "d'individuare, nel comma primo, gli atti tipici dai quali scaturisce l'assunzione della qualità d'imputato, così da istituire uno stretto legame tra imputato ed imputazione", ed infatti "dal combinato disposto degli artt. 60, comma primo, e 405 emerge peraltro chiaro che l'assunzione della qualità d'imputato coincide con la formulazione dell'imputazione definitiva in uno degli atti tipici con i quali viene iniziata l'azione penale".
Stabilito in tal modo che imputato in senso formale è solo colui nei cui confronti viene esercitata l'azione penale, rimaneva scoperta la posizione di chi, sottoposto ad indagini preliminari, è anche colpito dalla richiesta di una misura di coercizione personale o reale; il problema è stato risolto con l'art. 61, primo comma, che in sede di progetto preliminare era così formulato: "I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona nei cui confronti è disposta una misura cautelare nonchè alla persona indiziata o a carico della quale si svolgono indagini preliminari". Nel testo definitivo è stata adottata una formula più ampia e generalizzata, vale a dire quella di "persona sottoposta alle indagini preliminari".
La direttiva n. 36 della legge delega è stata interpretata, - afferma la relazione al progetto preliminare - "nell'ottica di maggior tutela della persona"; ma se questa interpretazione è corretta - e non si vede quale potrebbe essere una diversa lettura della direttiva - il precetto contenuto nella delega è stato rispettato dandone semmai un'attuazione estensiva che comunque comprende l'ipotesi della persona nei cui confronti è disposta una misura cautelare, ipotesi alla quale fa riferimento l'ordinanza di rimessione.
3. Il giudice a quo ha tuttavia ritenuto che nel caso al suo esame, di incompatibilità con l'ufficio di testimone nell'ipotesi di cui all'art.197, primo comma, lett. a), l'equiparazione disposta dall'art. 61, secondo comma, non sia applicabile in quanto essa presupporrebbe l'"attualità della veste di indagato, che viene meno in seguito al provvedimento di archiviazione".
Nel pervenire a siffatta conclusione, però, il remittente non ha tenuto nel dovuto conto il dettato dell'art. 61, primo comma, che più specificamente risponde all'intento garantistico cui si ispira la direttiva n. 36 della legge delega. Invero la formulazione perfino sovrabbondante quale è l'endiadi "i diritti e le garanzie" è talmente chiara da non poter dar adito a dubbi circa l'applicabilità alla persona sottoposta alle indagini preliminari di ogni disposizione dettata in bonam partem per l'imputato.
Ora le disposizioni dell'art. 197 del codice di procedura penale sull'incompatibilità all'ufficio di testimone sono certamente, per quanto riguarda l'imputato, disposizioni di garanzia, e le ipotesi contemplate nella lett. a) del primo comma si riferiscono anche a chi pur essendo stato imputato ha perduto tale veste. Infatti ai sensi dell'art. 60, secondo comma, perde la qualità di imputato colui nei cui confronti sia pronunciata la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o sentenza irrevocabile di condanna; ma, ciò nonostante, egli rimane tutelato dalla garanzia di non poter essere assunto come testimone, in quanto l'unica eccezione all'incompatibilità con l'ufficio di testimone è quella degli imputati prosciolti con sentenza divenuta irrevocabile, tale essendo soltanto la sentenza pronunciata in giudizio (art.648, primo comma, del codice di procedura penale).
Dalle considerazioni sopra svolte consegue che la norma di garanzia contenuta nell'art. 197, primo comma, lett. a) del codice di procedura penale deve essere applicata alla persona sottoposta alle indagini preliminari così come essa viene applicata all'imputato; vale a dire che il combinato disposto di tale norma con l'art. 61, primo comma, vieta l'assunzione come testimone delle persone sottoposte alle indagini preliminari anche se nei loro confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione. Tale conseguenza è assolutamente coerente al sistema, dato che la ratio su cui si fonda l'esclusione dall'ufficio di testimone dell'imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, quella cioé del rispetto del principio secondo cui nemo tenetur se detegere (in quanto l'obbligo di rispondere secondo verità potrebbe comportare il rischio di revoca della sentenza ai sensi dell'art.434), vale anche per la persona sottoposta alle indagini preliminari nei cui confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione, essendo prevista per questa la possibilità di riapertura delle indagini (art.414 del codice di procedura penale).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.60 del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 405 e 197, primo comma, lett. a) dello stesso codice, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/03/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 18 marzo del 1992.