SENTENZA N. 97
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 5 ottobre 1991, depositato in Cancelleria il 23 ottobre successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 ottobre 1990, n. 460 (Regolamento recante organizzazione della direzione generale della difesa del suolo) ed iscritto al n.39 del registro conflitti 1991.
Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell'udienza pubblica del 4 febbraio 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi l'avvocato Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ricorso in data 23 ottobre 1991 la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 ottobre 1990, n. 460 (Regolamento recante organizzazione della direzione generale della difesa del suolo) per violazione delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione Toscana e degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione.
Il decreto ministeriale impugnato ha regolato le competenze della direzione generale della difesa del suolo, istituita presso il Ministero dei lavori pubblici dall'art. 7 della legge 18 maggio 1989, n.183, in sostituzione della preesistente direzione generale delle acque e degli impianti elettrici, per espletare "le funzioni di segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo, oltre a quelle già di sua competenza e a quelle attribuite al Ministero dei lavori pubblici dall'art.5" della stessa legge.
Ad avviso della Regione ricorrente, il decreto impugnato, anzichè limitarsi, come previsto dal citato art. 7 della legge n. 183, ad organizzare la direzione generale in parola "dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessari, tra l'altro, a garantire il più efficace supporto della attività del Comitato nazionale per la difesa del suolo", avrebbe attribuito alla stessa direzione generale funzioni più ampie di quelle spettanti allo Stato, concernenti, in particolare (art. 4, terzo comma), la vigilanza su enti pubblici e consorzi, la sdemanializzazione di relitti d'alveo e pertinenze idrauliche, le concessioni di derivazioni di acque pubbliche, le varianti al piano regolatore generale degli acquedotti.
Tali attribuzioni avrebbero determinato, a giudizio della Regione, una invasione della sfera delle competenze regionali garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonchè una violazione della riserva relativa di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici, disposta dall'art.97 della Costituzione, dal momento che la disciplina regolamentare disposta con il decreto impugnato non verrebbe a trovare adeguata copertura nella legge n. 183 del 1989.
In particolare, in ordine all'attribuzione alla nuova direzione generale della funzione di "vigilanza su enti pubblici e consorzi", la Regione lamenta che tale indifferenziata e generica formulazione dell'art.4, terzo comma, del decreto impugnato, non correlata alle specifiche competenze degli enti e consorzi sottoposti a vigilanza, verrebbe ad assegnare alla stessa direzione generale una funzione che rientrerebbe, invece, nella competenza regionale, almeno per la parte attinente ad enti e consorzi che partecipano all'esercizio di funzioni regionali in materia di difesa del suolo. Tanto più che il trasferimento delle funzioni di vigilanza dovrebbe ritenersi incluso nel trasferimento delle funzioni amministrative, in materia di acquedotti e lavori pubblici, disposto ai sensi dell'art. 4 del d.P.R. n. 8 del 1972 (e fatto salvo dall'art.10, ultimo comma, della legge n. 183).
Analoghe considerazioni sono svolte dalla ricorrente in ordine: alle funzioni di "sdemanializzazione dei relitti d'alveo e pertinenze idrauliche", a fronte dell'avvenuto trasferimento alla Regione dei canali demaniali di irrigazione ai sensi dell'art. 12 della legge 27 dicembre 1977, n. 984; alle funzioni di "concessione di derivazione di acque pubbliche", a fronte delle competenze regionali in materia di piccole derivazioni attribuite dal d.P.R. n. 616 del 1977; alle funzioni relative alle "varianti al piano regolatore degli acquedotti", a fronte delle competenze in materia di acquedotti locali e comprensoriali trasferite e delegate alle Regioni dal d.P.R. n. 8 del 1972 e dall'art. 90, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977.
Inoltre, anche le residue funzioni previste dall'art. 4, terzo comma, del decreto impugnato conterrebbero elementi innovativi rispetto alla legge n.183 del 1989 ed alle precedenti attribuzioni della direzione generale delle acque pubbliche, ponendosi ben al di là di quella mera ricognizione di competenze che sola - ad avviso della Regione - avrebbe potuto costituire il legittimo contenuto del regolamento in questione.
Saremmo, pertanto, di fronte ad una sorta di "testo unico" novativo delle competenze della direzione generale del suolo, esorbitante rispetto alla legge n. 183 e modificativo del riparto di competenze tra Stato e Regioni definito dalla normativa previgente.
Nè, d'altro canto, lo stesso regolamento avrebbe rispettato il principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni, prevedendo le necessarie intese nei settori nei quali le rispettive competenze si trovino ad interferire tra di loro, manifestando anche in tal modo - sempre secondo l'avviso della Regione - la volontà di attribuire all'organo statale l'intero esercizio delle funzioni elencate.
Conclusivamente, la Regione chiede che il regolamento impugnato sia dichiarato lesivo delle competenze regionali e conseguentemente annullato.
Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che il ricorso sia dichiarato non ammissibile o non fondato.
L'Avvocatura ravvisa una causa di inammissibilità del ricorso nel fatto che in esso la Regione avrebbe censurato in realtà non il regolamento 6 ottobre 1990, ma l'art. 7, terzo comma, della legge n. 183 del 1989, che ha attribuito il potere regolamentare esercitato con l'atto impugnato. Tale art. 7, infatti, non avrebbe - diversamente da quanto sostenuto dalla Regione - demandato al Ministro dei lavori pubblici un compito meramente compilativo, ma avrebbe, invece, previsto di provvedere "alla organizzazione della direzione generale .... dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessari".
In ogni caso, nessuna invasione di competenze regionali potrebbe di per sè ravvisarsi - con riferimento all'asserita violazione dell'art. 97 della Costituzione - nell'impiego di una fonte secondaria per l'organizzazione da parte dello Stato di una propria struttura amministrativa. Nè lo Stato potrebbe essere ritenuto vincolato a ricercare la previa intesa con la Regione nell'esercizio di siffatto potere autorganizzativo.
Nel merito delle singole doglianze l'Avvocatura esprime l'avviso che esse siano state avanzate al solo scopo di una richiesta di chiarimenti, posto che una fonte secondaria quale quella in questione deve sempre essere interpretata ed applicata secondo legge e Costituzione e non avrebbe, quindi, in alcun caso, una forza lesiva di competenze attribuite alle Regioni dalla legge e dalla Costituzione.
Per quanto attiene, invece, alle competenze statali delegate alle Regioni, esse non escluderebbero il permanere allo Stato di determinate competenze, tali da giustificare una struttura amministrativa che le gestisca.
3. - In prossimità dell'udienza sia la Regione Toscanache l'Avvocatura dello Stato hanno presentato memoria, per illustrare e approfondire le tesi rispettivamente enunciate nel ricorso e nell'atto di costituzione. Insieme con la memoria l'Avvocatura dello Stato ha anche prodotto copia di un "protocollo di intesa" tra Stato e Regione Toscana in data 13 novembre 1991, da cui emergerebbe il carattere strumentale del conflitto ai fini della "concessione" ad eseguire alcune opere relative al bacino dell'Arno, incluso dalla legge n. 183 tra i bacini di rilievo nazionale.
Considerato in diritto
1. - La legge 18 marzo 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), prevede, al primo comma dell'art. 7, l'istituzione presso il Ministero dei lavori pubblici della direzione generale della difesa del suolo, cui sono affidate le funzioni di segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo, oltre a quelle già spettanti alla precedente direzione generale delle acque e degli impianti elettrici e a quelle attribuite al Ministero dall'art. 5 della stessa legge n. 183. L'art. 7, al terzo comma, stabilisce anche che "con decreto del Ministero dei lavori pubblici si provvede .... alla organizzazione della direzione generale della difesa del suolo, dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessarie, tra l'altro, a garantire il più efficace supporto dell'attività del Comitato nazionale per la difesa del suolo".
In attuazione di questa norma il Ministro dei lavori pubblici ha emanato il decreto ministeriale 6 ottobre 1990, n. 460 (Regolamento recante organizzazione della direzione della difesa del suolo), che forma l'oggetto del conflitto in esame, sollevato dalla Regione Toscana.
Ad avviso della ricorrente il decreto in questione (nel suo complesso, ma con riferimento particolare alle funzioni regolate nel terzo comma dell'art.4) risulterebbe lesivo delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione a varie norme interposte (contenute in particolare nella legge n.183 del 1989, nel d.P.R. n. 616 del 1977 e nel d.P.R. n. 8 del 1972), per il fatto di avere assegnato alla direzione generale della difesa del suolo funzioni che, sulla scorta della precedente legislazione, non spetterebbero al Ministero dei lavori pubblici, bensì alle Regioni. La lesione risulterebbe aggravata dalla violazione della riserva relativa di legge di cui all'art. 97 della Costituzione, dal momento che il decreto impugnato - per il fatto di aver regolato non solo l'organizzazione, ma anche le funzioni e le competenze della direzione generale - sarebbe intervenuto in un ambito non autorizzato dalla legge. Dal chè la domanda di annullamento nei confronti dell'intero decreto per violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione.
2. - L'Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, dal momento che lo stesso risulterebbe diretto a censurare non tanto il D.M. n. 460 del 1990, quanto l'art. 7, terzo comma, della legge n. 183 del 1989, che ha posto il fondamento del potere regolamentare esercitato con il decreto di cui è causa.
Tale eccezione - riferita in particolare all'asserita violazione dell'art.97 della Costituzione - non può essere accolta.
Non v'è dubbio, infatti, che con il ricorso in esame la Regione ha inteso impugnare le norme del decreto ministeriale in quanto ritenute lesive di specifiche competenze regionali e, di conseguenza, degli artt.117 e 118 della Costituzione. Il richiamo all'art. 97 della Costituzione è stato, d'altro canto, operato, nell'economia del ricorso, - oltre che in stretta connessione con le censure formulate in relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione - non al fine di affermare l'illegittimità dell'art.7 della legge n. 183, quanto al fine di sottolineare l'illegittimo discostamento del decreto impugnato dall'autorizzazione a regolamentare concessa dalla legge. Nè il ricorso potrebbe essere interpretato - secondo quanto ritiene l'Avvocatura dello Stato - come una semplice "richiesta di chiarimenti", formulata soltanto a fini tuzioristici, ove si consideri che l'oggetto della domanda risulta espressamente diretto ad ottenere il riconoscimento di una lesione di competenze regionali, con il conseguente annullamento dell'atto impugnato.
3. - Nel merito il ricorso è infondato.
In proposito, va innanzitutto ricordato come questa Corte, nel sottoporre ad esame la legge n. 183 del 1989 (sent. n. 85 del 1990), abbia avuto modo di sottolineare che la stessa "non si propone in via principale di stabilire una nuova ripartizione di materie e di competenze tra Stato e Regioni (o Province autonome), ma fissa piuttosto un obbiettivo - la difesa del suolo - da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori materiali coinvolti". In altri termini, la legge in questione, nel porre molteplici obbiettivi imperniati intorno alla difesa del suolo, ha lasciato "fermo ....nella sostanza il quadro generale di ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni (o Province autonome) stabilito da vari articoli del d.P.R. n. 616 del 1977 (o delle norme di attuazione)".
Tale rilievo trova, d'altro canto, esplicita conferma nell'art. 10, ultimo comma, della legge n. 183 che - dopo aver disciplinato alcune specifiche competenze regionali - stabilisce, con clausola residuale, che "restano ferme tutte le altre funzioni amministrative già trasferite o delegate alle Regioni".
Con riferimento a questo quadro normativo vanno interpretati anche i contenuti propri del decreto n. 460 del 1990, che - tanto sul piano formale che sostanziale - assume le connotazioni proprie di un regolamento ministeriale esecutivo della legge n. 183 del 1989, adottato ai sensi dell'art. 17, comma terzo, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Ma, in quanto regolamento ministeriale esecutivo, il decreto in questione risulta naturalmente sprovvisto della forza necessaria per apportare modificazioni o variazioni al quadro delle competenze regionali già delineate da precedenti fonti primarie e dalla stessa legge n. 183 del 1989.
Questo vale sia con riferimento all'intero contesto del decreto n. 460 che con riferimento alla disciplina posta, in particolare, dal terzo comma dell'art. 4, che forma l'oggetto preminente delle censure prospettate dalla Regione. Risulta, infatti, evidente che le funzioni richiamate da tale disposizione come proprie degli uffici territoriali in cui si articola la direzione generale del suolo nulla aggiungono - anche alla luce dell'espressa dizione adottata dalla norma - alle funzioni in precedenza svolte dallo Stato attraverso la direzione delle acque e degli impianti elettrici e fanno comunque salve le corrispondenti funzioni spettanti alle Regioni, per trasferimento o per delega, in virtù di leggi anteriori.
Tale salvezza, per quanto non espressamente enunciata, viene a emergere, senza possibilità di dubbio, in relazione alle varie competenze elencate nel terzo comma dell'art. 4 e richiamate nel ricorso: con riferimento cioè sia ai poteri di "vigilanza su enti pubblici e consorzi" (che non sono suscettibili d'incidere sui poteri di vigilanza spettanti alle Regioni sugli enti e consorzi regionali); sia alla "sdemanializzazione dei relitti d'alveo e pertinenze idrauliche" (anche in relazione a quanto previsto dall'art. 12 della legge 27 dicembre 1977 n. 984 per le opere pubbliche d'irrigazione di interesse regionale); sia alle "concessioni di derivazioni di acque pubbliche" (che non toccano le derivazioni spettanti alle Regioni ai sensi dell'art. 90, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977); sia, infine, alle "varianti al piano regolatore generale degli acquedotti" (in relazione a quanto disposto dall'art. 90, secondo comma, lett. a, dello stesso d.P.R. n. 616 in ordine agli aggiornamenti ed alle modifiche al piano, concernenti le risorse idriche destinate a soddisfare esigenze e bisogni dei rispettivi territori regionali).
Ma anche al di là del richiamo a queste specifiche competenze elencate nell'art. 4, terzo comma, può ritenersi escluso che il decreto in questione - attraverso la forzatura della sua natura di regolamento di esecuzione e dei conseguenti limiti connessi alla sua efficacia - abbia inteso formulare, come si afferma nel ricorso, una sorta di testo unico "delegato", riferito a tutte le competenze spettanti alla direzione generale della difesa del suolo, così da determinare "una vera e propria novazione delle fonti preesistenti". Tale carattere - del tutto estraneo ai limiti del potere regolamentare conferito al Ministro mediante l'art. 7, terzo comma, della legge n. 183 - non viene, invero, a trovare riscontro alcuno nei contenuti della disciplina complessivamente adottata con il decreto n. 460.
Rispetto a tale decreto, deve, pertanto, ritenersi insussistente la lesione lamentata dalla Regione Toscana, con riferimento alle competenze costituzionalmente garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e dalle norme interposte, concernenti i poteri regionali in tema di difesa del suolo.
Viene, di conseguenza, a cadere anche la doglianza relativa all'art.97 della Costituzione, che - come sopra si accennava - è stata prospettata non in termini autonomi, ma al fine di rafforzare le censure formulate in relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Non senza, peraltro, rilevare che il decreto in questione non appare, in ogni caso, dissonante rispetto all'autorizzazione concessa dalla legge ai fini dell'adozione del regolamento ministeriale (e conseguentemente rispetto alla riserva espressa nel primo comma dell'art. 97 della Costituzione), dal momento che la nozione di "organizzazione" adottata dall'art. 7, terzo comma, della legge n. 183 può ragionevolmente ricomprendere, nel contesto dalla disciplina posta da tale legge, accanto ai profili strutturali, anche la distribuzione delle competenze - preventivamente fissate dalla stessa legge - tra i vari uffici costituenti le articolazioni interne della direzione generale.
Privo di valore si presenta, infine, il rilievo relativo alla mancata previsione, nel testo del decreto, di forme di intesa tra Stato e Regione, là dove le funzioni elencate si riferiscano a settori in cui la competenza statale e la competenza regionale possano interferire tra loro. Il meccanismo dell'intesa attiene, infatti, alla sfera del procedimento ed al possibile concorso, a fini collaborativi, tra Stato e Regione alle diverse fasi dello stesso: tale meccanismo risulta, invece, del tutto estraneo alla disciplina regolamentare in esame, espressione di un potere di autorganizzazione della pubblica amministrazione statale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta allo Stato disciplinare l'organizzazione della direzione generale della difesa del suolo di cui all'art. 7 della legge 18 marzo 1983, n. 183, mediante il decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 ottobre 1990, n. 460.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/92.
Giuseppe BORZELLINO, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 9 marzo del 1992.