Sentenza n. 96 del 1992

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SENTENZA N. 96

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 103, quinto comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n.382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica), promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1991 dal Consiglio di Stato - Sezione VI giurisdizionale - sul ricorso proposto da Manlio Sargenti contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altro, iscritta al n. 631 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.41, prima serie speciale, dell'anno 1991.

 

Visti gli atti di costituzione di Manlio Sargenti e dell'Università degli Studi di Pavia nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 4 febbraio 1992 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

 

 

udito l'Avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.1 - Con ordinanza emessa il 15 marzo 1991 il Consiglio di Stato, Sez. VI giurisdizionale, sul ricorso proposto dal Prof. Manlio Sargenti contro il Ministero della Pubblica Istruzione ed altro (Reg. ord. n. 631 del 1991) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.103, quinto comma, del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica).

 

Premette l'ordinanza che l'interessato, ordinario dal 27 gennaio 1984, nominato straordinario con decorrenza giuridica dal 1° novembre 1980, in data 27 novembre 1984 ha presentato istanza chiedendo il riconoscimento dei servizi prestati anteriormente alla nomina, ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, disposto per solo otto degli anni prestati prima della nomina e cioé per il massimo consentito dall'art. 103 citato.

 

Precisa in punto di fatto l'ordinanza che il ricorrente ha svolto i seguenti servizi:

 

a) dall'anno accademico 1936/37 al 1942/43, quale assistente volontario presso l'Università di Roma, per complessivi 7 anni;

 

b) dall'anno accademico 1940/41 al 1942/43, quale professore incaricato presso l'Università di Perugia, per complessivi 3 anni;

 

c) dall'anno accademico 1945/46 al 1972/73 quale professore incaricato presso l'Università di Pavia, per complessivi 27 anni;

 

d) dall'anno accademico 1973/1974 al 26 gennaio 1981, quale professore incaricato stabilizzato nell'Università di Pavia, per complessivi ulteriori 8 anni;

 

e) dal 27 gennaio 1981, quale professore straordinario, con decorrenza giuridica dal 1 novembre 1980 e così per un periodo complessivo di 45 anni di servizio di cui 38 quale professore incaricato.

 

Il Collegio remittente ricorda che l'art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980 n.382 riconosce ai professori di ruolo, all'atto della nomina ad ordinario, il servizio prestato "in qualità di professori universitari associati ed incaricati per i due terzi; per la metà quello prestato in qualità di ricercatore, e per un terzo quello prestato in una delle figure previste dall'art. 7 della legge 21 febbraio 1980 n.28, o come assistente volontario"

 

Peraltro il quinto comma dello stesso articolo dispone che il riconoscimento di attività e servizi di cui ai commi precedenti non può comunque superare il limite massimo di otto anni ed a tale limitazione si è, infatti, attenuto il provvedimento impugnato.

 

La differenza tra l'anzianità valutabile "ai sensi dei primi commi del citato articolo" e quella massima di otto anni riconoscibile ai sensi del quinto comma, comporta, perciò, un trattamento economico notevolmente deteriore, che sarebbe non giustificabile alla luce degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione.

 

La norma sembra interrompere, invero, la logicità del sistema imponendo un tetto massimo di valutabilità indipendente sia dalla durata che dalla qualifica dei servizi pregressi.

 

E infatti, la logica sottesa alla differente misura di valutabilità dei periodi si perderebbe con l'imposizione del tetto massimo che abbraccia le tre categorie di attività, sì che, in sostanza, il legislatore avrebbe dettato due norme in contrasto tra di loro, in quanto perseguono fini contrapposti ed inconciliabili.

 

Si consideri, infatti, che la ratio nella individuazione delle tre categorie valutabili (per due terzi, metà, un terzo) è quella di attribuire un "peso" diverso alle diverse esperienze, e ciò ai fini di assicurare un maggior sviluppo di carriera, con assunzione di conseguenti maggiori responsabilità, a quei soggetti che abbiano così maturato una maggiore professionalità. La norma in esame, invece, impedisce la considerazione delle differenziazioni.

 

D'altra parte, il diritto alla proporzionalità del trattamento economico è da porre in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato e quindi al grado stesso della anzidetta professionalità.

 

Il meccanismo descritto condurrebbe, in tal modo, ad attribuire a soggetti dotati di professionalità diversa un medesimo trattamento economico, il che sarebbe indice di una violazione della proporzionalità, appunto, nei confronti del dipendente dotato di maggiore titolo.

 

Si assume, pertanto, la necessità che venga dichiarata l'illegittimità della norma impugnata.

 

1.2 - Con atto depositato il 22 novembre 1991 si è costituito il prof.

 

Manlio Sargenti, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ambrogio Robecchi Majnardi e Giulio Lais, facendo proprie le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rinvio.

 

1.3 - Con atto depositato il 5 novembre 1991 è intervenuta l'Amministrazione universitaria, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato.

 

Nell'atto di intervento si osserva che la norma in esame disciplina il riconoscimento dei servizi pregressi e la imposizione di un "tetto" risponde pienamente ai criteri di logica e di razionalità che condizionano la discrezionalità del legislatore.

 

Il riconoscimento di una maggiore anzianità pregressa avrebbe determinato un'eccessiva ed ingiustificata disparità, mentre poi non vi è violazione del principio di proporzionalità del trattamento retributivo, perchè le attività pregresse che eccedono il periodo valutabile di otto anni non possono ritenersi espressione di maggiore qualificazione.

 

Neppure si ravvisa contrasto con il principio di efficienza della pubblica amministrazione, non essendo credibile che il riconoscimento di una maggiore anzianità ai fini economici possa tradursi in una migliore qualità dell'attività didattica e scientifica del docente.

 

Si conclude per una declaratoria di infondatezza.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980, n.382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica) provvede a riconoscere in favore dei professori universitari, all'atto della nomina a ordinario e ai fini della carriera, i servizi eventualmente prestati in precedenza sempre nell'ambito dell'ordinamento universitario.

 

In particolare, viene riconosciuto per due terzi il servizio di professore associato e di professore incaricato, per la metà quello di ricercatore universitario, di assistente ovvero di tecnico laureato e per un terzo quello di assistente volontario.

 

In ogni caso, ai sensi del comma quinto del richiamato articolo il complessivo riconoscimento non può superare il limite massimo di otto anni.

 

2. - Della legittimità di tale ultima disposizione dubita l'ordinanza di rimessione che la ritiene lesiva dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza: attività sostanzialmente differenziate nella loro valenza, quali quelle enunciate e come tali singolarmente apprezzate, potrebbero ricevere, in base al limite degli otto anni, una appiattita regolamentazione uniforme.

 

La norma in esame, così come congegnata, confliggerebbe altresì con l'art.36 della Costituzione, venendo a determinarsi in concreto un trattamento retributivo non proporzionato alla qualità del lavoro via via posto in essere nel passato; e così ancora con l'art. 97, poichè a soggetti di diseguale professionalità pregressa potrebbe restare attribuito, alla fine, il medesimo trattamento retributivo, con ovvia limitazione, si assume, dell'efficienza stessa della pubblica amministrazione.

 

3. - La questione non è fondata.

 

Partendo dall'assunto per ultimo qui sopra enunciato, nessun coinvolgimento sussiste con l'art. 97 della Costituzione: pretendere che il riconoscimento, a fini economici, di una maggiore o minore pregressa anzianità abbia riverbero automatico sulla efficienza amministrativa è ipotesi che resta al di fuori, come avvalora l'Avvocatura dello Stato, da ogni suo concreto riferimento in fattispecie.

 

Nè miglior pregio assume, per consimili considerazioni che si volessero riportare all'attività del docente, un insussistente aggancio all'art. 36 della Costituzione: la mera limitazione temporale nella valutazione di servizi pregressi non può dirsi certo incidente sulla proporzionalità della retribuzione in atto, tale da ledere il disposto dell'art. 36.

 

Passando all'esame di una prospettata irragionevolezza intrinseca della norma in discorso questa, come già riportato, con il porre il vincolo massimo di anni otto nella riconoscibilità dei pregressi servizi, consisterebbe in una inadeguatezza di fatto, ai fini riproposti, nella valutabilità dei servizi stessi, resi dalla norma indistinti. Ma a ben vedere l'indistinguibilità dei riconoscimenti pregressi rimane all'interno di una disposizione, la quale mira ad un unicum ricostruttivo, che viene a realizzarsi con evidente favore, tra i vari servizi pregressi: una diversa configurazione con un maggiore riconoscimento di questi ultimi verrebbe a costituire, invece, quella palese distorsione nel rapporto, che si vuole evitare: ed infatti otterrebbe preponderanza in tal modo nel corso dell'intera carriera proprio quella pregressa, anzichè il normale fluire dei servizi quale docente ordinario. Il che, se attuato, comporterebbe quel rovesciamento degli equilibri che si vorrebbe dai remittenti contenuto nella norma così come predisposta e vigente. La questione è perciò non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.103, quinto comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonchè sperimentazione organizzativa e didattica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di Stato - Sezione VI giurisdizionale - con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Giuseppe BORZELLINO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo del 1992.