Ordinanza n. 58 del 1992

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ORDINANZA N. 58

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 557 e 558 del codice di procedura penale e dell'art. 141 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271), promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1991 dal Pretore di Taranto nel procedimento penale a carico di Greco Domenico ed altro, iscritta al n.561 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto che il Pretore di Taranto, prima dell'apertura del dibattimento a carico di due persone imputate di reati in ordine ai quali è ammessa l'oblazione a norma dell'art. 162-bis del codice penale, premesso che gli imputati, tratti a giudizio, avevano presentato domanda di oblazione oltre il termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione e che, per tale motivo, il Pubblico ministero aveva disatteso come inammissibile la detta domanda, ha, con ordinanza del 27 maggio 1991, sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, due questioni di legittimità coinvolgenti gli artt. 557 e 558 del codice di procedura penale e l'art. 141 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie dello stesso codice (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271), denunciati nella parte in cui, per un verso, "subordinano al consenso vincolante del P.M., la decisione sulla istanza di oblazione nella fase successiva all'emissione del decreto di citazione a giudizio", e, per un altro verso, "non consentono la proposizione della medesima istanza anche al Pretore in epoca successiva alla scadenza del termine" di giorni quindici dalla notifica del decreto di citazione "e sino a quando non sia intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado";

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che se fossero accolte le dedotte censure "gli imputati sarebbero ancora legittimati a proporre istanza di oblazione anche in presenza della scadenza del termine" di cui all'art. 555, primo comma, lettera e, del codice di procedura penale;

e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate in quanto basate sull'erroneo presupposto che dall'art. 557 del codice di procedura penale si ricavi un precetto che richiede il consenso del pubblico ministero non soltanto "nelle ipotesi del giudizio abbreviato e dell'applicazione della pena su richiesta" ma anche con riferimento alla domanda di oblazione, un'interpretazione da ritenere erronea sia sulla base di una considerazione sistematica di tale istituto, "che in nessun caso e in nessun modo è subordinato al consenso del p.m.", sia alla stregua del "tenore non equivoco dell'art. 141 comma 1 norme attuazione c.p.p." che prescrive al pubblico ministero, nel caso di domanda di oblazione proposta a norma dell'art. 557 del codice di procedura penale, di trasmetterla senz'altro assieme agli atti del procedimento, "con ciò implicitamente ma chiaramente escludendo che la trasmissione possa essere condizionata al parere dello stesso p.m.";

considerato che - a parte il rilievo che nel caso di specie, il pubblico ministero non ha negato il proprio consenso alla procedura di oblazione, limitandosi a dedurre l'effetto preclusivo derivante per la detta domanda dalla decorrenza dei termini - entrambe le questioni muovono da un presupposto da ritenere erroneo alla stregua di un'interpretazione logico-sistematica della disciplina denunciata;

che, più in particolare, l'art. 557 del codice di procedura penale, interpretato nell'integrale contesto delle regole che disciplinano laprocedura dell'oblazione, non richiede, perchè l'imputato vi p ammesso, il consenso del pubblico ministero, una regola quella assunta a base dell'ordinanza di rimessione che comporterebbe uno stravolgimento dell'istituto quale disciplinato dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale;

e che, quindi, come è stato subito posto in luce dalla quasi unanime dottrina, il riferimento della prima delle norme censurate al consenso del pubblico ministero deve essere collegato unicamente agli istituti dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e del giudizio abbreviato, il che risulta dimostrato dall'intrinseco collegamento di tale precetto con il precedente art. 556 che richiede il consenso anticipato del pubblico ministero solo in relazione alle ora ricordate procedure di deflazione del dibattimento;

che, pertanto, anche il richiamo all'art. 555, primo comma, lettera e, a cui fa riferimento l'art. 558 del codice di procedura penale, si rivela superfluo perchè conseguenza di una erronea verifica ermeneutica del complessivo assetto delle norme processuali regolatrici dell'istituto dell'oblazione;

che una tale interpretazione del sistema censurato proviene, oltre che dalle regole di diritto sostanziale che disciplinano l'oblazione (fra l'altro, significativamente mai menzionata nella legge-delega 18 febbraio 1987, n.81), dall'art. 141 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), norma pur essa denunciata dal giudice a quo, dalla quale non deriva alcuna preclusione cronologica (oltre quella indicata dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale) alla proponibilità della domanda di oblazione;

e che dalla detta disciplina si desume anche che la valutazione del pubblico ministero non può travalicare, con riguardo all'istituto in esame, l'ambito dell'espressione di un parere che, in quanto titolare dell'esercizio dell'azione penale è tenuto ad esternare di fronte alla richiesta dell'imputato;

che una simile interpretazione delle norme denunciate si impone sulla base, non soltanto dell'utilizzazione del criterio logico-sistematico, ma anche alla stregua di una verifica ermeneutica secundum Constitutionem dei precetti denunciati, alla stregua del disposto degli artt. 162 e 162-bis del codice penale dai quali si ricava che solo il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, può - pur in presenza delle condizioni richieste dalla legge - non ammettere l'interessato alla detta procedura (v., in particolare, l'art. 162-bis, quarto comma);

e che, quindi, mentre per un verso, la decisione sulla domanda di oblazione non rimane in alcun modo preclusa dalle determinazioni del pubblico ministero che non assumono mai carattere vincolante quanto alla decisione sulla domanda di oblazione nella fase successiva alla pronuncia del decreto di citazione a giudizio, per un altro verso, è consentito proporre domanda di oblazione anche in un momento successivo alla scadenza dei quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione e fino a quando non interviene la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

che una simile interpretazione delle norme denunciate, oltre tutto conforme ai principi e ai criteri direttivi indicati dalla legge-delega, fa ritenere erroneo il presupposto a fondamento dell'ordinanza di rimessione;

e che, quindi, proprio sulla base di tale evidente erronea interpretazione delle norme denunciate, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 557 e 558 del codice di procedura penale, 141 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Taranto, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/02/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 febbraio del 1992.