ORDINANZA N. 5
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 560 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1991 dal Pretore di Lamezia Terme nel procedimento penale a carico di Vescio Luigi, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Francesco Greco.
Ritenuto che il Pretore di Lamezia Terme, nel procedimento penale a carico di Vescio Luigi, con ordinanza emessa il 13 marzo 1991 (R.O.n. 405 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.560 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che la richiesta di giudizio abbreviato possa essere formulata dopo la scadenza del termine di cui al primo comma dello stesso articolo;
che, a parere del giudice remittente, la norma censurata, interpretata generalmente nel senso che non è prevista la possibilità di richiesta tardiva di giudizio abbreviato, lederebbe:
- a) l'art. 3 della Costituzione, sia per la sua irragionevolezza, sia per la disparità di trattamento che si verificherebbe tra due imputati che si trovano nelle stesse condizioni, l'uno che, avendo richiesto nei termini il giudizio abbreviato,può ottenere la riduzione di un terzo della pena e l'altro che, avendo fatto una richiesta tardiva, può solo far ricorso al c.d. patteggiamento;
- b) l'art. 2 della Costituzione, in relazione all'art. 13 della Costituzione, perchè l'imputato, nel caso di condanna a pena detentiva, rimane privato della libertà per un periodo che supera di un terzo la pena infitta all'imputato che abbia fatto tempestiva richiesta di giudizio abbreviato;
- c) l'art. 24 della Costituzione, per diminuita possibilità di far ricorso a uno dei riti alternativi posti a disposizione degli imputati per una migliore difesa;
che nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per l'infondatezza della questione, rilevando che non vi è lesione di nessuno dei richiamati precetti costituzionali, in quanto la perdita della possibilità di far ricorso al giudizio abbreviato e di usufruire della riduzione di un terzo della pena dipende unicamente da un fatto addebitabile all'imputato.
Considerato che analoga questione di legittimità dell'art.560 del codice di procedura penale, sia pure in riferimento al solo art. 24 della Costituzione, è stata dichiarata non fondata (sent. n. 593 del 1990; v., peraltro, anche ord. n. 320 del 1991);
che nella fattispecie trovano applicazione i principi ivi affermati secondo cui l'interesse dell'imputato è tutelato solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva adozione di un rito che, evitando il dibattimento, e contraendo la possibilità dell'appello, consente di raggiungere l'obiettivo che il legislatore si è posto di giungere a una rapida definizione del processo prevedendo come incentivo anche la riduzione della pena di un terzo;
che l'inerzia dell'imputato non può giustificare la sua remissione in termine;
che, se il mancato raggiungimento del detto obiettivo è addebitabile al solo imputato, non sono violati i richiamati precetti costituzionali, non sussistendo nè irrazionalità della norma nè discriminazione tra l'imputato più diligente e quello inerte, così come non sussiste lesione del diritto di difesa, mentre al pericolo di condanna a una pena più lunga l'imputato può ovviare facendo ricorso al c.d. patteggiamento che consente la riduzione della pena;
che in tale situazione la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 560 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Lamezia Terme con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/01/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Francesco GRECO, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 gennaio del 1992.