Sentenza n. 508 del 1991

 

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SENTENZA N. 508

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

Prof. Francesco GUIZZI                                                  “

Prof. Cesare MIRABELLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1978 (recte 1979), n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali) e dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 1990 dal Pretore di Milano nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Carmine Arpino ed altri e l'I.N.P.S. iscritta al n. 444 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione di Carmine Arpino ed altri e dell'I.N.P.S. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 3 dicembre 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

Uditi gli avvocati Sergio Smedile per Carmine Arpino ed altri, Paolo Boer per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 29 novembre 1990 il Pretore di Milano, nei giudizi civili riuniti tra Carmine Arpino ed altri ed I.N.P.S. (Reg. ord. n. 444 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, del combinato disposto dell'art. 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1978 (recte 1979) n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali) e dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nella parte in cui resterebbe consentito al Ministro del lavoro di fissare nuove tariffe di riscatto in modo irragionevolmente discriminante e in misura eccessivamente gravatoria per i lavoratori che hanno diritto alla ricongiunzione dei periodi assicurativi.

I ricorrenti, dipendenti dell'Azienda Trasporti Municipali di Milano, hanno chiesto, ai sensi delle suddette disposizioni, la ricongiunzione dei periodi assicurativi al Fondo di previdenza addetti ai pubblici servizi di Trasporto, per i periodi da ciascuno indicati, trascorsi in precedenza alle dipendenze di datore di lavoro privato con posizione previdenziale I.N.P.S.

In conseguenza, si sono sentiti richiedere dall'I.N.P.S. il dovuto pagamento, secondo la formula indicata dalla legge n. 29, calcolato sui coefficienti stabiliti con il D.M. 19 febbraio 1981 anziché su quelli stabiliti precedentemente dal D.M. 27 gennaio 1964, che erano rimasti inalterati per tutto il periodo intermedio.

Ricorda il Pretore che la legge n. 29 del 1979 rinvia, ai fini del calcolo della somma da pagarsi dal lavoratore, "ai criteri ed alle tabelle di cui all'art. 13, legge 12 agosto 1962, n. 1338", norma già dettata per la costituzione di rendita vitalizia in caso di omissione contributiva, con riferimento alla "riserva matematica calcolata in base alle tariffe che saranno all'uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale".

Le tariffe, anteriormente fissate con D.M. 27 gennaio 1964, sono state modificate con il D.M. 19 febbraio 1981, che ne ha operato un considerevole aumento.

Osserva, in proposito, il giudice a quo che il disposto dell'art. 13 della legge n. 1338 del 1962, al quale rinvia la legge n. 29 del 1979, autorizzerebbe la determinazione tariffaria con criteri arbitrari o comunque legati unicamente a valutazioni di cassa e di bilancio dell'I.N.P.S., obliterandosi l'interesse dei lavoratori.

La mancanza di criteri vincolanti per il Ministro, nella fissazione e futura variazione delle tariffe in parola, evidenzierebbe una carenza dell'art. 13 legge n. 1338 predetta, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nonché con il successivo art. 38, perché porrebbe i lavoratori interessati di fronte a oneri non ragionevoli e sproporzionati al vantaggio pensionistico, tuttavia ineludibili per poter realizzare lo stesso diritto al pensionamento.

Con atto depositato il 29 luglio 1991 si sono costituiti Carmine Arpino ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Enrico Pennasilico e Sergio Smedile, i quali insistono per una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, ciò ribadendo, poi, con memoria prodotta in prossimità dell'udienza.

Con atto depositato il 4 luglio 1991 ha presentato note difensive l'I.N.P.S., difeso dagli avvocati Boer, Pansarella, Cantarini e Rozera, osservando che la riserva matematica rappresenta il capitale necessario a costituire una rendita, determinato con criteri desunti dalla matematica attuariale e che tengono conto dell'età dell'assicurato, della sua anzianità anagrafica e contributiva e quindi delle probabilità di maturare diritto a pensione nonché della distanza tra la data di ricongiunzione e la data di prevedibile maturazione della pensione stessa.

Pertanto, a meno che non siano da censurare le tariffe per vizi di calcolo rilevabili dalle stesse, non sussiste possibilità di dolersi della norma regolatrice.

Si conclude chiedendo una dichiarazione di infondatezza della questione.

Con atto depositato il 29 luglio 1991 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che non è in alcun modo dimostrato - ed anzi è apoditticamente affermato - che le tariffe siano arbitrarie e non calcolate con criteri matematici e statistici, sicché nessuna violazione dei parametri costituzionali si è in realtà verificata.

 

Considerato in diritto

 

1.1 - La legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali) prevede - art. 2 - la possibilità di ricongiunzione di periodi di attività da parte degli aventi titolo a forme di previdenza diverse dalla assicurazione generale obbligatoria. La norma specifica al terzo comma gli oneri relativi da porsi a carico dei richiedenti e costituiti in base alla differenza tra la riserva matematica necessaria per la copertura assicurativa del periodo utile considerato e le somme versate dalle gestioni interessate. Resta ivi precisato che la riserva matematica si determina con i criteri e le tabelle di cui all'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e cioè secondo tariffe stabilite, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro, sentito il Consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale.

1.2 - Il pretore remittente ravvisa un contrasto tra le enunciate disposizioni e gli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Secondo l'ordine espositivo dell'ordinanza, confliggerebbe con le previsioni dell'art. 38 tutto il meccanismo tariffario posto in essere, con criteri di determinazione che si assumono arbitrari e tali da condurre alla "vanificazione del diritto concesso": la realizzazione contributiva sarebbe carente di "criteri vincolanti" assunti dal legislatore e si tramuterebbe così in una palese irragionevolezza ex art. 3 della Costituzione.

2. - La questione non è fondata.

Con la stessa sequenza seguita dal giudice a quo, va chiarito anzitutto che la normativa in esame potrebbe essere riconosciuta difforme dalle garanzie dell'art. 38, là dove sono assicurati ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze per la vecchiaia ovvero in caso di invalidità, solo se la copertura assicurativa si presentasse abnorme rispetto agli scopi che essa si ripropone. Ma a tanto dimostrare occorrerebbe evidenziare, nei sensi sostenuti dal Pretore, una palese irragionevolezza dei prelievi, con conseguente negativa incidenza sull'art. 3.

Ciò tuttavia non è: lo stesso decorso del tempo rispetto a coloro che avessero subito il prelievo medesimo secondo disposizioni precedenti si pone, intanto, come ordinario discrimine di applicazione, soggiungendosi poi subito che le odierne tariffe risultano, a tenore di legge, emanate con provvedimento del Ministro del lavoro che tiene conto, ai fini dei relativi calcoli obiettivi, della riserva matematica, da conservare integra. E se quest'ultima sta a costituire un capitale inalterato, tale in definitiva a mantenere la rendita correlata all'importo della contribuzione, il meccanismo normativamente elaborato è tale da rimanere indifferente a qualsivoglia variazione a carattere discrezionale. Normativamente peraltro, a realizzare quanto esposto, sono contemplate, appunto, le necessità di adeguamento "ove occorra", quando cioè le variazioni, secondo i principi enunciati, si rendano attuali.

In concreto, risulta che le basi tariffarie in discussione sono state costruite tenendosi conto delle variazioni nel tempo delle linee demografiche relative (vedi circolare 6 luglio 1981 n. 563 dell'I.N.P.S.) e della evoluzione normativa intervenuta in materia: pensione di anzianità, pensioni privilegiate di invalidità e indirette, aliquote di reversibilità, maggiorazioni per familiari a carico, estensione della pensione di reversibilità a favore dei figli studenti, perequazione automatica delle pensioni, parità di trattamento tra uomini e donne in campo previdenziale (cfr. leggi: 21 luglio 1965, n. 903; 30 aprile 1969, n. 153; 3 giugno 1975, n. 160; 9 dicembre 1977, n. 903).

Cosicché, le imposizioni anzidette appaiono rispondere a compiuti dettati normativi non in contrasto, perciò, con gli invocati parametri costituzionali e la questione va dichiarata priva di fondatezza.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 2, comma terzo, della legge 7 febbraio 1978, recte 1979 n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali) e dell'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Antonio BALDASSARRE - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI - Francesco GUIZZI - Cesare MIRABELLI.

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.