SENTENZA N. 470
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 247, primo e secondo comma, delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 442 e 443 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 23 aprile 1991 dalla Corte di appello di Firenze nel procedimento penale a carico di Clarke Joseph iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Clarke Joseph, la Corte di appello di Firenze, con ordinanza del 23 aprile 1991 (R.O. n. 419 del 1991), ha sollevato, in riferimento agli artt. 101, cpv., e 111, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 247, primo e secondo comma, delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271), in relazione agli artt. 442 e 443 del codice medesimo.
Il giudice remittente - muovendo dal presupposto che i limiti propri del giudizio abbreviato, quali delineati nell'art. 247 delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 442 e 443 dello stesso codice, impedirebbero l'assunzione di nuovi mezzi di prova nella fase di appello di tale giudizio - dubita della legittimità costituzionale della disposizione impugnata, sostenendo che la stessa violerebbe i principi costituzionali che impongono la soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, cpv., della Costituzione) e l'obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, primo comma, della Costituzione).
Secondo l'ordinanza di rimessione, infatti, il divieto di procedere, nel giudizio abbreviato di appello, alla rinnovazione o all'assunzione di nuove prove menomerebbe il "potere-dovere" del giudice di appello di conoscere e valutare tutti gli elementi necessari ai fini del decidere in conformità alla legge e verrebbe altresì ad incidere negativamente sull'obbligo di dare corretta motivazione delle ragioni del decidere. Queste limitazioni sarebbero tali da giustificare - secondo il giudice a quo - la proposta questione di legittimità costituzionale.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo l'Avvocatura sarebbe palese la inapplicabilità nel giudizio abbreviato di appello della disposizione relativa alla "rinnovazione dell'istruzione dibattimentale" di cui all'art. 599 del codice di procedura penale, richiamato dall'art. 443, quarto comma, dello stesso codice: e ciò in quanto la natura di giudizio "allo stato degli atti" del rito in questione precluderebbe, come ritenuto anche dal giudice a quo, tale rinnovazione, non essendosi celebrato alcun dibattimento nel giudizio di primo grado.
Né l'assetto normativo di tale rito contrasterebbe con i parametri costituzionali invocati poiché l'ambito di cognizione del giudice è, nel caso in esame, delimitato dalla legge e il dovere di motivazione di cui all'art. 111, primo comma, della Costituzione, non deve considerarsi in astratto, "ma in relazione al contenuto e alla natura del provvedimento giurisdizionale cui la motivazione inerisce".
Pertanto, secondo l'Avvocatura, dalla lacuna probatoria rilevata dal giudice a quo conseguirebbero soltanto gli effetti che normalmente si verificano quando le norme processuali vietano l'introduzione di un mezzo di prova o quando questo si rilevi insufficiente. Nel caso di specie, con l'adesione al rito abbreviato, le parti avrebbero "proprio voluto questa cristallizzazione del materiale probatorio" e accettato gli effetti che ne conseguono.
Considerato in diritto
1. - La Corte di appello di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell'art. 247, primo e secondo comma, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo codice di procedura penale (decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), dal momento che tali disposizioni, in relazione a quelle enunciate negli artt. 442 e 443 dello stesso codice, impedirebbero, nella fase di appello del giudizio abbreviato, la rinnovazione anche parziale del dibattimento mediante la riassunzione di prove già acquisite o l'assunzione di nuove prove.
Tale limitazione - secondo l'ordinanza di rimessione - risulterebbe connaturata al giudizio abbreviato, ma, precludendo al giudice di appello di tale giudizio di conoscere e valutare tutti gli elementi necessari per la decisione, sarebbe tale da violare i principi costituzionali posti negli artt. 101, cpv., e 111, primo comma, della Costituzione, secondo i quali i giudici sono soggetti soltanto alla legge ed i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
2. - La questione non è fondata, nei termini che verranno di seguito precisati.
L'art. 247, primo e secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nel regolare la fase transitoria del nuovo codice di procedura penale in tema di giudizio abbreviato, fa riferimento alla disciplina ordinaria relativa a tale giudizio e, in particolare, per quanto concerne la fase dell'appello, all'art. 443 dello stesso codice.
Il quarto comma dell'art. 443 richiama, a sua volta, per tale fase, "le forme previste dall'art. 599", dove si regolano i casi e le modalità delle decisioni di appello che vengono adottate in camera di consiglio. In tale articolo, al terzo comma, si prevede anche che "nel caso di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, il giudice assume le prove in camera di consiglio, a norma dell'art. 603, con la necessaria partecipazione del pubblico ministero e dei difensori".
L'art. 603 dispone, infine, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, nelle forme della "riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado" o dell'"assunzione di nuove prove", quando una delle parti lo richieda ed il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (primo comma), ovvero quando si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (secondo comma), ovvero quando la rinnovazione sia disposta di ufficio dal giudice nel caso in cui la ritenga "assolutamente necessaria" (terzo comma).
Attraverso questa serie di rinvii - e, in particolare, in conseguenza del richiamo operato dal terzo comma dell'art. 599 - la disciplina posta dall'art. 603 del codice di procedura penale è destinata, dunque, a valere anche nell'ambito del giudizio abbreviato, ma pur sempre entro i limiti in cui la stessa possa risultare compatibile ed adattabile alle caratteristiche proprie di tale giudizio.
Ora, la connotazione più rilevante di questa forma di giudizio è data dal fatto che la decisione, su richiesta dell'imputato e con il consenso del pubblico ministero, viene assunta "allo stato degli atti" e che non si dà luogo, conseguentemente, all'istruttoria dibattimentale propria del rito ordinario, regolata dagli artt. 496 e ss. del codice di procedura penale: di talché non si presenta neppure possibile, nell'ambito del rito abbreviato, procedere al rinnovo di una fase che, in tale rito, non sussiste.
Da questo non discende, peraltro, che la disciplina posta nell'art. 603 non possa, almeno in parte, operare anche nell'ambito del rito abbreviato, ove il giudice dell'appello ritenga assolutamente necessario, ai fini della decisione, assumere di ufficio nuove prove o riassumere prove già acquisite agli atti del giudizio di primo grado (v., in questo senso, sent. Cass., II Sezione penale, 31 maggio 1991, n. 10022).
Mancano, pertanto, i presupposti interpretativi relativi all'art. 247 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale nonché agli artt. 442 e 443 dello stesso codice che hanno indotto la Corte di appello di Firenze a sollevare la questione di cui è causa. Dal che l'infondatezza della stessa questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 247, primo e secondo comma, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 442 e 443 dello stesso codice, sollevata dalla Corte di appello di Firenze, in riferimento agli artt. 101, capoverso, e 111, primo comma, della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1991.