ORDINANZA N. 372
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 423, primo comma, 424, primo comma, e 425 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Marchi Paolo ed altro, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;
Ritenuto che all'esito di un'udienza preliminare, nel corso della quale il pubblico ministero aveva modificato l'imputazione da lesioni personali dolose gravissime a lesioni personali colpose gravissime (di competenza pretorile), il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona ha sollevato, con ordinanza del 15 novembre 1990, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:
a) l'art. 425 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non specifica il concetto di evidenza" ai fini della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere e "non lo coordina con l'art. 422 dello stesso codice", violerebbe la parità di trattamento di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione "rispetto al più favorevole trattamento di cui all'art. 125 delle norme di attuazione" (che indica le condizioni per la richiesta di archiviazione), nonché l'art. 97 della Costituzione, poiché, limitandosi in tal modo le ipotesi di proscioglimento ed incoraggiandosi eccessivamente il rinvio a giudizio, l'udienza preliminare non adempirebbe alla sua funzione di autentico filtro selettore e di deflazione dibattimentale;
b) gli artt. 424, primo comma, e 425 del codice di procedura penale, in quanto non prevedono, data la loro formulazione tassativa, tra i provvedimenti conclusivi dell'udienza preliminare la sentenza dichiarativa di incompetenza per materia, si porrebbero in "antitetico conflitto" con l'art. 22, terzo comma, dello stesso codice (il quale prevede la pronuncia di detta sentenza "dopo la chiusura delle indagini preliminari"), con la conseguenza di doversi ritenere che il riconoscimento della propria incompetenza dopo la chiusura delle indagini preliminari possa essere dichiarato dal giudice esclusivamente nelle more tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'udienza preliminare (anteriormente al suo inizio): ciò violerebbe gli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, quest'ultimo perché si penalizzerebbero gli sbocchi dell'udienza preliminare, con conseguente inflazione dei dibattimenti;
c) l'art. 423, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non specifica se la diversità del fatto rispetto a come è descritto nell'imputazione (ai fini della modificazione dell'imputazione) "attenga alla materialità del fatto con differenti conseguenze giuridiche od anche all'ipotesi in cui detta differente conseguenza scaturisca da un fatto materialmente identico ma diversamente qualificabile sotto il profilo del diritto", violerebbe gli artt. 2 e 3 della Costituzione, "stante il più favorevole trattamento di cui all'art. 521 dello stesso codice", il quale attribuisce al giudice del dibattimento il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza;
d) il medesimo art. 423, primo comma, in quanto "vincola il g.i.p. alla riduzione della sfera dell'azione penale effettuata dal pubblico ministero tramite il pur legittimo ed incontestabile diritto di richiedere la derubricazione dell'imputazione", violerebbe da un lato l'art. 112 della Costituzione, poiché si finalizzerebbe l'udienza preliminare ad uno sbocco limitato ed unilaterale quale la obbligatoria declaratoria di incompetenza, e, dall'altro, l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, vincolando il giudice alla volontà di una delle parti;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, osservando che le questioni sub a) e b) - a parte la loro dubbia rilevanza - sono in realtà questioni interpretative la cui soluzione è demandata esclusivamente al giudice a quo, mentre quelle sub c) e d) sono manifestamente infondate, in quanto, da un lato, la diversità dei criteri di valutazione fissati negli artt. 423 e 521 del codice di procedura penale ben si spiega con la diversità delle funzioni attribuite al giudice dell'udienza preliminare e a quello del dibattimento, e, dall'altro, la scelta del pubblico ministero di "derubricare" l'imputazione resta pur sempre sottoposta al controllo giudiziale e può anche dar luogo, a seguito della dichiarazione d'incompetenza, ad un contrasto negativo tra pubblici ministeri;
Considerato che, per quanto attiene alla rilevanza delle proposte questioni, tale requisito deve ritenersi sussistente unicamente per quella sopra indicata al punto b), relativa al potere del giudice di dichiarare la propria incompetenza all'esito dell'udienza preliminare;
che, infatti, a seguito della "derubricazione" dell'imputazione operata dal pubblico ministero - la quale comporterebbe la competenza del pretore -, il giudice a quo, affrontando la pregiudiziale questione della competenza, mostra chiaramente, nel lamentare che le norme impugnate non gli consentono di pronunciare la sentenza dichiarativa di incompetenza, di voler emettere, in adesione alla detta "derubricazione", una tale decisione: con la conseguenza che tutte le altre questioni sopra indicate ai punti a), c) e d), fondandosi sul contrario presupposto che il giudice non condivida la modifica dell'imputazione e intenda procedere, devono ritenersi sollevate in via meramente ipotetica ed astratta e vanno, pertanto, dichiarate manifestamente inammissibili;
che, in ordine alla questione sub b), va respinta l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato - ad avviso della quale con la medesima si prospetterebbero meri dubbi interpretativi -, poiché il giudice remittente, nel proporre tale questione, sembra chiaramente fondarla sull'interpretazione secondo cui dalle "dizioni tassative" dell'art. 22, da un lato, e degli artt. 424 e 425 del codice di procedura penale dall'altro, deriverebbe che non è consentito al giudice di pronunciare sentenza dichiarativa di incompetenza all'esito dell'udienza preliminare, bensì soltanto nelle more tra la richiesta di rinvio a giudizio e l'inizio di tale udienza;
che la questione, così intesa, è chiaramente infondata, in quanto la riferita interpretazione è palesemente erronea;
che, infatti, non vi è dubbio che l'art. 22, terzo comma, del codice di procedura penale, attribuendo al giudice il potere di dichiarare con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa "dopo la chiusura delle indagini preliminari", sia pienamente applicabile - ed anzi si riferisca essenzialmente - proprio alla fase dell'udienza preliminare (cfr. sent. n. 347 del 1991), come risulta anche espressamente dalla relazione al progetto preliminare, nella quale si sottolinea la ratio di favorire la soluzione delle questioni di competenza fin da tale udienza;
che, in contrario, a nulla rileva che l'art. 424 del codice, nell'indicare i provvedimenti conclusivi dell'udienza preliminare, non richiami espressamente la sentenza dichiarativa d'incompetenza, dovendosi ritenere un tale richiamo del tutto superfluo, in considerazione del fatto che il citato art. 22 ha indubbiamente portata generale, come si evince anche dalla sua collocazione nel codice;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 425 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione;
b) dell'art. 423, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione;
c) del medesimo art. 423, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 112 e 101, secondo comma, della Costituzione;
Sollevate dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con l'ordinanza in epigrafe;
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 424, primo comma, e 425 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, sollevata dallo stesso giudice con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 23 luglio 1991.