SENTENZA N. 345
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) promosso con ordinanza emessa l'11 giugno 1990 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti dall'Istituto "Santa Margherita" contro Comune di Roma ed altro iscritta al n. 161 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di costituzione dell'Istituto "Santa Margherita" e di Marrocco Giuseppe nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi l'avvocato Marco Vitucci per Marrocco Giuseppe e l'Avvocato dello Stato Paolo Di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio, promosso dal proprietario di un terreno concesso in affitto ad altro soggetto (che vi aveva abusivamente realizzato opere edilizie) e diretto all'annullamento di una serie di provvedimenti comunali (ordine di demolizione dei manufatti realizzati, diffida relativa all'acquisizione gratuita del fondo al patrimonio comunale in caso di inottemperanza, nonché ordinanza di trascrizione nei pubblici registri di detta acquisizione e di immissione della pubblica amministrazione nel possesso dei beni acquisiti), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza dell'11 giugno 1990 (pervenuta a questa Corte il 20 febbraio 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), che assoggetterebbe alla perdita del bene (costituito dal manufatto, dall'area di sedime della costruzione abusiva e da quella circostante necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) il proprietario sia nel caso in cui abbia realizzato di persona le opere sanzionate, sia nel caso in cui l'abuso debba imputarsi esclusivamente alla condotta del terzo detentore che lo abbia perpetrato a sua insaputa o nella sua materiale impossibilità di opporvisi, per essere appunto il bene nella disponibilità giuridica esclusiva dell'autore dell'abuso, nella specie il conduttore del rapporto locativo.
Il giudice a quo, dopo aver rilevato che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, il proprietario del fondo aveva prontamente esperito l'azione di rilascio nei confronti del conduttore per poter provvedere direttamente all'adempimento dell'ordine dell'autorità e quindi demolire l'opera abusiva, censura la norma denunciata per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto essa riserverebbe un pari trattamento sanzionatorio a posizioni oggettivamente dissimili sotto il profilo dell'imputabilità del comportamento da reprimere e dell'impossibilità, in un caso, di sottrarsi alla sanzione mediante l'ottemperanza all'ordine di ripristino a causa appunto della materiale indisponibilità del bene e, quindi, della mancanza di opportuni strumenti d'ingerenza sul bene stesso. La stessa norma si porrebbe altresì in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, perché la perdita del diritto di proprietà dell'area si configurerebbe comunque come una misura eccedente rispetto al fine che la normativa si prefigge.
2. - È intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri per sostenere la infondatezza della questione, la cui prospettazione si fonderebbe su di un erroneo presupposto, ovverosia su un'ipotesi di "responsabilità oggettiva" a carico del proprietario del terreno incolpevole, mentre, se correttamente interpretata, la norma denunciata si applica esclusivamente nei confronti dell'autore dell'illecito, alla stregua dei principi generali dettati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.
3. - Si sono pure costituiti il conduttore del terreno concesso in affitto ed il proprietario (quest'ultimo con memoria depositata fuori termine), adducendo entrambi argomenti a sostegno dell'ordinanza di rimessione.
Considerato in diritto
1. - È stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, il quale prevede - in caso di inottemperanza, nel termine di 90 giorni, all'ingiunzione a demolire un manufatto abusivo ed a ripristinare lo stato dei luoghi - la gratuita acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell'opera, dell'area di sedime e di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive.
Ad avviso del giudice a quo, tale norma violerebbe l'art. 3 della Costituzione perché colpirebbe con la stessa sanzione comportamenti diversi, e cioè quello del proprietario del terreno responsabile dell'abuso edilizio e quello del proprietario incolpevole, nell'ipotesi che l'abuso edilizio sia stato compiuto da un terzo - come avvenuto nel caso oggetto del giudizio a quo da parte del conduttore del fondo - ed il proprietario non abbia la possibilità di ottemperare direttamente all'ordine di demolizione, per essere il bene nell'esclusiva disponibilità del conduttore autore dell'abuso.
Si sostiene, altresì, il contrasto della norma con l'art. 42 della Costituzione nell'assunto che la perdita del diritto di proprietà, ai danni di colui che non sia responsabile dell'abuso e non abbia comunque la possibilità di eliminarlo con la demolizione del manufatto, costituirebbe una sanzione eccedente rispetto al fine perseguito dalla legge.
2. - La questione non è fondata, nei sensi che verranno precisati.
Il secondo comma dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985 stabilisce che il sindaco, accertata l'esecuzione di opere abusive, ne ingiunge la demolizione. Il successivo terzo comma, cioè la norma denunciata, stabilisce poi, come si è rilevato in precedenza (n. 1), che se il responsabile dell'abuso non provveda alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il manufatto - unitamente all'area di sedime, nonché a quella necessaria ai sensi delle vigenti prescrizioni per la realizzazione di opere analoghe - sia acquisito di diritto a titolo di proprietà gratuitamente dal comune per essere demolito, come prescrive il quinto comma dello stesso articolo 7, a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
Ciò premesso va rilevato che questa Corte, con ordinanza n. 82 del 1991 - in relazione ad una analoga ipotesi sanzionatoria prevista dall'art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 - ha affermato che la gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva rappresenta la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un'opera abusiva e, poi, non adempie all'obbligo di demolirla, in conformità della regola secondo cui "l'ordinamento reagisce, oltre che sulle cose costituenti il prodotto dell'illecito, anche su quelle strumentalmente utilizzate per commetterlo".
Secondo il cennato indirizzo della Corte, che può essere seguito anche per la presente questione, l'acquisizione gratuita dell'area non è dunque una misura strumentale, per consentire al comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione di ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in presenza di "prevalenti interessi pubblici", il che significa per la destinazione a fini pubblici, sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
Da quanto precede deve dedursi che, essendo l'acquisizione gratuita una sanzione prevista per il caso dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolire, essa, come risulta dalla stessa formulazione del terzo comma dell'art. 7 della legge in questione, si riferisce esclusivamente al responsabile dell'abuso, non potendo di certo operare (come avviene talvolta per la confisca, quando questa costituisce misura accessoria di altra sanzione o misura strumentale diretta ad impedire l'ulteriore produzione dell'illecito o l'utilizzazione dei proventi di questo) nella sfera di altri soggetti e, in particolare, nei confronti del proprietario dell'area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell'opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall'ordinamento.
L'essere la sanzione dell'acquisizione dell'area ispirata dall'intento di costringere il responsabile dell'abuso ad eseguire egli stesso la demolizione nel termine stabilito dall'ingiunzione, esclude, anche sotto altro profilo, che essa possa colpire il proprietario estraneo all'esecuzione dell'opera, perché se fosse vero il contrario si sarebbe in presenza di una sanzione inidonea ad assolvere alla funzione di prevenzione speciale in vista della quale è comminata, in quanto tale comminatoria non potrebbe esercitare alcuna coazione sul responsabile dell'abuso per costringerlo ad eseguire la demolizione.
3. - Una volta escluso che il proprietario estraneo all'abuso - anche nel senso che non risulti che egli, essendone venuto a conoscenza, non si sia attivato con gli strumenti offerti dall'ordinamento per impedirlo - possa subire la perdita della proprietà dell'area, non per questo viene meno la possibilità del ripristino. L'art. 7 in questione, pur perdendo la maggior forza intimidatrice insita nell'ulteriore comminatoria della sanzione consistente nell'acquisizione gratuita dell'area, in caso di inottemperanza all'ingiunzione si riduce alla sola possibilità della demolizione del manufatto abusivo.
Non si ignora in proposito che della norma in questione è stata talvolta offerta un'interpretazione riduttiva nel senso, cioè, che la demolizione potrebbe essere eseguita d'ufficio dagli organi del comune solo dopo che il bene sia stato acquisito al patrimonio pubblico. Se così fosse verrebbe meno ogni possibilità di applicazione del regime sanzionatorio previsto da detta norma nell'ipotesi in cui l'area, per essere di proprietà del terzo estraneo all'abuso, non possa essere acquisita gratuitamente e rimarrebbero così frustrate le finalità ripristinatorie insite in tale regime.
Ma la richiamata interpretazione non può essere condivisa perché essa, erroneamente attribuendo all'acquisizione gratuita del bene natura di misura strumentale (là dove, la richiamata giurisprudenza della Corte la considera sanzione autonoma), connette l'operatività dell'ingiunzione di ripristino esclusivamente al meccanismo previsto dall'art. 7 in parola il quale, come si arguisce da quanto si è detto in precedenza, tende ad ottenere la collaborazione del responsabile dell'abuso, onde eliminarne gli effetti, con il comminare l'ulteriore sanzione della perdita dell'area in caso di inottemperanza. Detta interpretazione tralascia invece di considerare che l'operatività dell'ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva acquisizione dell'immobile al patrimonio comunale, perché l'ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è assistito, in base ai principi generali che regolano l'azione amministrativa, dal carattere della esecutorietà insito nel potere di autotutela che, come è noto, consiste nel potere- dovere degli organi amministrativi di dare esecuzione ai provvedimenti da essi stessi emanati.
Di conseguenza appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l'acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l'area sia di proprietà del terzo, la funzione ripristinatoria dell'interesse pubblico violato dall'abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d'ufficio. E ciò senza che a tal fine necessiti la preventiva acquisizione dell'area che, se di proprietà del terzo estraneo all'abuso, deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d'ufficio la demolizione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1991.