ORDINANZA N. 304
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 121, secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Malatesta Domenico, iscritta al n. 150 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;
Ritenuto che, provvedendo in ordine alla richiesta del pubblico ministero di convalida dell'arresto di Malatesta Domenico, del quale lo stesso p.m. aveva già disposto l'immediata liberazione - ai sensi dell'art. 121, primo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) -, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 121, secondo comma, del citato testo (secondo cui "nel caso di liberazione prevista nel comma 1, il giudice nel fissare l'udienza di convalida, ne dà avviso, senza ritardo, anche alla persona liberata") in riferimento agli artt. 97 e 101, secondo comma, della Costituzione;
che il giudice remittente, premesso che la norma censurata è di carattere strumentale rispetto alla disciplina di cui agli artt. da 389 a 391 del codice di procedura penale - secondo cui l'udienza di convalida deve svolgersi soltanto qualora il pubblico ministero non debba ordinare la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato - osserva che la norma stessa evidenzierebbe una mancanza di coordinamento con tale disciplina e una sostanziale superfluità, in quanto, essendo il soggetto già stato rimesso in libertà, la convalida si riduce ad una mera ed inutile formalità, a meno che non si ritenga - ma il codice, prosegue il giudice a quo, dovrebbe prevederlo esplicitamente - che all'esito dell'udienza di convalida il pubblico ministero, a seguito dell'interrogatorio reso dall' ex arrestato, possa modificare le proprie richieste e chiedere al giudice l'applicazione di misure cautelari;
che, in conclusione, il remittente solleva questione di legittimità costituzionale del citato art. 121, secondo comma, "nella parte in cui non statuisce per esplicito la possibilità per il pubblico ministero di richiedere, in sede di udienza di convalida, nei confronti di persona sottoposta alle indagini preliminari arrestata o fermata già scarcerata dalla stessa a.g.o. requirente ex art. 121, primo comma, disp. att. stesso codice, all'esito dell'interrogatorio eventualmente reso dal prevenuto in detta sede o comunque all'esito di ulteriori indagini preliminari eventualmente svolte dal pubblico ministero nelle more fra detta scarcerazione o l'udienza di convalida, misure cautelari coercitive ex art. 291 nuovo codice di procedura penale"; ciò per violazione dell'art. 97 della Costituzione, "divenendo a tal punto l'udienza di convalida mero passaggio obbligato e formale dall'esito scontato e precostituito", nonché dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione, "assoggettandosi il giudice non più alla legge ma alla volontà delle parti", in quanto "a tal punto da detta anomala udienza di convalida.. .. .. può soltanto scaturire o una mancata convalida o una convalida meramente formale, inibendosi al pubblico ministero ogni nuova richiesta all'esito dell'udienza";
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità (non risultando in alcun modo che nella fattispecie il pubblico ministero abbia richiesto o avesse intenzione di richiedere l'applicazione di misure cautelari), o, in subordine, per l'infondatezza della questione;
Considerato che l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, non può essere accolta, in quanto il giudice a quo, con la proposta questione, intende censurare in radice la previsione dell'udienza di convalida nel caso in cui l'arrestato (o il fermato) sia già stato rimesso in libertà, ove non sia poi riconosciuta al pubblico ministero la facoltà di richiedere in detta udienza l'applicazione di misure coercitive;
che, nel merito, - e prescindendo dal rilievo che il remittente, nel lamentare l'assenza di una norma "esplicita", dà l'impressione di poter giungere in via ermeneutica al risultato auspicato -, la questione si fonda, comunque, su un presupposto chiaramente erroneo, dato che nessuna disposizione preclude al pubblico ministero, che abbia ordinato l'immediata liberazione dell'arrestato (o del fermato) ritenendo "di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive", di presentare poi al giudice una richiesta in tal senso, in conseguenza del venir meno delle ragioni di opportunità che lo avevano in precedenza indotto a disporre la liberazione (a seguito, ad esempio, di ulteriori indagini svolte nelle more, tanto più che, nella ipotesi in esame, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, non si applicano i termini perentori di cui all'art. 390 del codice di procedura penale);
che, peraltro, non può non rilevarsi che nei casi - indubbiamente più frequenti - in cui il pubblico ministero non richieda misure coercitive, l'udienza di convalida non può comunque considerarsi una "inutile formalità", come sostiene il remittente, in quanto, pur non essendo imposta dall'art. 13, terzo comma, della Costituzione (avendo il soggetto già riacquistato la libertà), la sua previsione risponde comunque all'interesse del cittadino all'accertamento giudiziale della legittimità del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti dall'autorità di pubblica sicurezza, tanto più che nel caso di cui alla norma impugnata la liberazione è stata determinata non da vizi procedurali, bensì da una valutazione di opportunità da parte del pubblico ministero (cfr. sentenza n. 515 del 1990);
che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 121, secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 17 giugno 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1991.