SENTENZA N. 260
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 91, n. 6, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), in relazione all'art. 1, lett. c), della legge 22 luglio 1977, n. 382, promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1990 dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche sui ricorsi riuniti proposti dall'Associazione Nazionale Italia Nostra contro la Regione Lazio ed altra iscritta al n. 122 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell'8 maggio 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale superiore delle acque pubbliche - nel corso di un procedimento avente ad oggetto la richiesta di annullamento di un decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio, che ha autorizzato l'occupazione di urgenza di aree relative ad una concessione di derivazione d'acqua per la produzione di energia elettrica per complessivi Kilowatt milleduecentodiciannove - ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, n. 6, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Tale norma riserva alla competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica, ancorché riguardanti piccole derivazioni di acque pubbliche. Deduce il remittente che tale riserva, in quanto estesa alle suddette piccole derivazioni, contrasta con il disposto dell'art. 1, lett. c), della legge di delegazione 22 luglio 1975, n. 382 e viola, quindi, l'art. 76 della Costituzione.
Nell'ordinanza di rimessione si premette che i ricorrenti hanno dedotto, nel giudizio a quo, la violazione da parte del decreto impugnato dell'art. 91, n. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto il decreto è stato emesso da un organo regionale, mentre trattavasi di atto riservato alla competenza statale. Le parti resistenti sostenevano, al contrario, che trattavasi di concessione di "piccola derivazione", attribuita alla competenza regionale dall'art. 13, lett. d), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 e che, ove si ritenesse diversamente, aderendo all'interpretazione dell'art. 91, n. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977 data dai ricorrenti, quest'ultimo sarebbe costituzionalmente illegittimo, per non essere conforme alla legge di delegazione.
Il giudice a quo osserva in proposito che, ai sensi dell'art. 15 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, così come modificato dall'art. 14 del d.P.R. 30 giugno 1955, n. 1534, "le concessioni di acqua pubblica per le grandi derivazioni sono fatte con decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per le finanze". "Per le piccole derivazioni, la concessione è fatta con decreto del provveditore alle opere pubbliche, sentito l'intendente di finanza competente per territorio, salvo che siano state presentate opposizioni o domande concorrenti, nei quali casi la concessione è fatta con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e di intesa col Ministro per le finanze".
Con l'art. 13, lett. d), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, le attribuzioni esercitate dai provveditorati regionali alle opere pubbliche in materia di "piccole derivazioni di acque pubbliche" furono delegate alle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione. Tale delega riguardava tutte le "piccole derivazioni" da utilizzare "per forza motrice, per acqua potabile, per irrigazione e per bonificazione per colmata" secondo la classificazione contenuta nell'art. 6 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775.
È poi intervenuta la legge 22 luglio 1975, n. 382, che ha demandato al Governo l'emanazione di uno o più decreti aventi valore di legge ordinaria, diretti, fra l'altro (art. 1, lett. c)) a "delegare, a norma dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione, le funzioni amministrative necessarie per rendere possibile l'esercizio organico da parte delle regioni delle funzioni trasferite o già delegate".
Tale dizione - osserva il giudice a quo - fa ritenere che il legislatore delegante abbia inteso riferirsi unicamente a funzioni amministrative in aggiunta a quelle già trasferite o delegate, cosicché, in mancanza di attribuzione al Governo della potestà di modificare o integrare i decreti delegati del 1972, le nuove norme non potevano avere effetto riduttivo delle competenze già attribuite alle regioni a statuto ordinario.
Poiché l'art. 91, n. 6, del d.P.R. n. 616 del 1977 - stabilendo che sono riservate allo Stato le funzioni concernenti "l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica" - sembra comprendere sia le grandi che le piccole derivazioni di acque pubbliche, da utilizzare per la produzione di energia elettrica, esso si porrebbe in contrasto con la legge di delegazione e violerebbe l'art. 76 della Costituzione.
2. - Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in via pregiudiziale, una carenza di motivazione sulla rilevanza, che renderebbe necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo. Nel merito ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Riguardo alla propria richiesta pregiudiziale, l'Avvocatura generale dello Stato afferma che la distinzione tra piccole e grandi derivazioni è stabilita, per quanto attiene alle derivazioni per forza motrice, dalla legge 18 ottobre 1942, n. 1426, in termini di "potenza media annua" espressa in Kilowatt; sono grandi derivazioni quelle che eccedono Kilowatt duecentoventi. Poiché nel caso all'esame del giudice a quo si sarebbero concesse derivazioni per Kilowatt milleduecentodiciannove, dovrebbe escludersi che si tratti di piccola derivazione, con la conseguente irrilevanza della questione.
Quanto al merito, nell'atto di intervento si sostiene che il dedotto eccesso di delega non sussiste in quanto, ai sensi dell'art. 8, secondo comma, del d.P.R. n. 8 del 1972, la competenza degli organi statali in ordine alla "tutela, disciplina ed utilizzazione delle acque pubbliche" era restata ferma.
Pertanto, il d.P.R. n. 616, con il disposto dell'art. 91, n. 6 impugnato, non avrebbe operato un ritrasferimento allo Stato di funzioni già trasferite alle regioni, ma avrebbe escluso dalla delega a queste ultime la "utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica" in quanto funzione che - proprio in ossequio al criterio della "organicità" degli ambiti di competenza indicato nella legge di delega n. 382 del 1975 - deve essere esercitata unitariamente dallo Stato.
3. - Nell'imminenza della camera di consiglio, si è costituita la Regione Lazio, deducendo la legittimità costituzionale della legislazione vigente, da interpretarsi nel senso della permanente competenza delle Regioni a provvedere in ordine alle piccole concessioni di acque pubbliche, anche se a scopo idroelettrico. Secondo le argomentazioni svolte, infatti, l'art. 91, n. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977 non avrebbe innovato rispetto a quanto stabilito al riguardo dal d.P.R. n. 8 del 1972.
L'Avvocatura generale dello Stato, a sua volta - pur senza formalmente rinunciare all'eccezione di irrilevanza della questione - ha precisato che l'art. 1 della l. 24 gennaio 1977, n. 1 ha elevato il limite fra grandi e piccole derivazioni a tremila kilowatt.
Considerato in diritto
1. - In via preliminare va dichiarata l'irricevibilità dell'atto di costituzione della Regione Lazio, depositato dopo la scadenza del termine perentorio previsto dagli artt. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
2. - Va pure precisato che la rilevanza della questione appare sufficientemente motivata.
Il giudizio a quo ha per oggetto la richiesta di annullamento, per incompetenza, di un decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio, col quale è stata autorizzata l'occupazione d'urgenza di aree relative ad una concessione di derivazione d'acqua per la produzione di energia elettrica per "complessivi kilowatt milleduecentodiciannove".
Con l'ordinanza di rimessione il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, n. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, nella parte in cui riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica riguardanti "piccole derivazioni" di acque pubbliche. Ha ritenuto, infatti, la questione rilevante in relazione alla determinazione dell'organo competente ad emanare l'atto impugnato.
Poiché a norma dell'art. 1 della l. 24 gennaio 1977, n. 7 sono considerate piccole derivazioni per forza motrice quelle che non eccedono la potenza nominale media annua di tremila kilowatt, la rilevanza in concreto sussiste. Infatti il giudizio a quo ha per oggetto un provvedimento relativo ad una concessione di milleduecentodiciannove kilowatt e cioè una "piccola derivazione", cosicché il Tribunale superiore delle acque pubbliche, per statuire sulla competenza ad emanarlo, deve fare applicazione dell'art. 91, n. 6, del d.P.R. n. 616 del 1977, nella parte impugnata.
3. - Passando all'esame del merito, deve precisarsi che - secondo quanto già sopra accennato - il giudice a quo, interpretando l'art. 91, n. 6, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 nel senso che esso ha riservato alla competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica, ancorché riguardanti "piccole derivazioni" di acque pubbliche, ne ha dedotto, per tale parte, il contrasto con l'art. 76 della Costituzione. Ciò sotto il profilo della violazione del principio stabilito nell'art. 1, lett. c), della legge di delegazione 22 luglio 1975, n. 382, che non consentiva al legislatore delegato di escludere dalla delega alle regioni funzioni amministrative ad esse già delegate in precedenza, quali erano quelle relative alle "piccole derivazioni" di acque pubbliche.
4. - La questione è fondata.
Tranne alcune tassative eccezioni (relative alle acque minerali e termali e agli acquedotti d'interesse regionale), la disciplina e il governo delle acque non furono devoluti, dagli artt. 117 e 118 della Costituzione alla competenza legislativa e amministrativa regionale, in base ad una precisa scelta del Costituente, correlata all'opportunità di riservare alla valutazione dello Stato l'utilizzazione delle acque in ogni parte del territorio nazionale, tenuto conto dell'interesse unitario proprio alla materia.
In base a tale scelta l'art. 8, secondo comma, lett. a) del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, aveva tenuto ferma la competenza degli organi statali in ordine "alla tutela, disciplina e utilizzazione delle acque pubbliche".
È da rilevare, poi, che l'art. 12 dello stesso d.P.R. n. 8 del 1972 trasferì alle regioni i provveditorati regionali alle opere pubbliche (con esclusione di alcune particolari sezioni e di alcuni servizi). Poiché ai detti provveditorati era attribuita la competenza a provvedere in ordine alle concessioni relative alle piccole derivazioni di acque pubbliche, l'art. 13, lett. d), dello stesso d.P.R. n. 8 del 1972 delegò alle regioni le attribuzioni esercitate da tali uffici relative alle piccole derivazioni.
La delega ora detta era fondata sull'art. 17, lett. b) della l. 16 maggio 1970, n. 281, secondo il quale il trasferimento delle funzioni statali alle regioni doveva realizzarsi per settori organici di materie ed essere effettuato "mediante il trasferimento degli uffici periferici dello Stato". Qualora gli uffici stessi fossero titolari anche di competenze statali residue, queste dovevano essere delegate alle regioni ai sensi dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione.
Nel momento in cui il legislatore procedeva (con la delega contenuta nella legge 22 luglio 1975, n. 382) al riassetto delle attribuzioni regionali, la competenza in ordine alle grandi derivazioni di acque pubbliche era, quindi, demandata al Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro delle finanze (art. 14, primo comma, del d.P.R. n. 1534 del 1955). La competenza a provvedere alle piccole derivazioni era, invece, delegata alle regioni, nei limiti in cui essa era precedentemente attribuita ai provveditorati regionali alle opere pubbliche: ne erano soltanto eccettuate, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, del d.P.R. n. 1534 del 1955, le ipotesi delle domande concorrenti e delle opposizioni, in relazione alle quali era competente il Ministro dei lavori pubblici, salvo il caso previsto dall'art. 6 del d.P.R. n. 1090 del 1968.
5. - La delega, prevista dall'art. 1 della l. n. 382 del 1975, aveva per contenuto e finalità il completamento della devoluzione alle regioni delle funzioni amministrative per le materie indicate nell'art. 117 della Costituzione; non era consentito, invece, al legislatore delegato di ritrasferire allo Stato, funzioni già attribuite alle regioni.
In coerenza con tale indirizzo, la lett. c) dell'art. 1 della legge n. 382 del 1975 prevedeva l'ampliamento della delega di funzioni amministrative, ex art. 118 della Costituzione, al fine di "rendere possibile l'esercizio organico, da parte delle regioni delle funzioni trasferite o già delegate". Non era consentito, quindi, di sottrarre alle regioni competenze ad esse già delegate.
In questo quadro normativo si è inserito il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, emanato in attuazione della l. n. 382 del 1975; l'art. 90 di tale decreto ha mantenuto ferma la titolarità dello Stato inerente alle funzioni circa la tutela, la disciplina e l'utilizzazione delle risorse idriche, delegandone l'esercizio alle regioni. Sono eccettuate da tale delega le funzioni espressamente riservate allo Stato dall'art. 91: tra queste, il n. 6 di questa norma comprende le funzioni amministrative concernenti "l'utilizzazione di risorse idriche per la produzione di energia elettrica".
In tal modo il legislatore delegato è incorso nella violazione del principio direttivo stabilito dall'art. 1, lett. c) della legge n. 382 del 1975, in quanto ha sottratto alle regioni le funzioni amministrative già ad esse delegate, comprensive anche di quelle inerenti alle derivazioni per la produzione di energia elettrica.
Ne consegue che l'art. 91, n. 6, del d.P.R. n. 616 del 1977 va dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non esclude dalla riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti le "piccole derivazioni" di acque pubbliche.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 91, n. 6, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), nella parte in cui non esclude dalla riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti le "piccole derivazioni" di acque pubbliche.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta il 23 maggio 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 12 giugno 1991.