Sentenza n. 221 del 1991

 

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SENTENZA N. 221

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 208, 503, 506 e 507 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1990 dal Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale - nel procedimento penale a carico di Platania Giuseppe, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1991,

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale - nel corso del procedimento penale a carico di Platania Giuseppe, con ordinanza del 23 novembre 1990 (R.O. n. 35 del 1991) ha sollevato, siccome rilevante nel giudizio e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale degli artt. 208, 503, 506, 567 del codice di procedura penale, nelle parti in cui dette norme prevedono che l'esame dell'imputato del dibattimento, a richiesta del P.M. o di altra parte privata, sia sottoposto al consenso dello stesso imputato e che il giudice possa rivolgergli domande soltanto dopo che sia stato già esaminato.

Ad avviso del giudice a quo, sarebbero violati:

A) l'art. 76 della Costituzione, per il contrasto con la direttiva n. 5 della legge delega n. 81 del 1987:

a) n. 5, la quale stabilisce la disciplina delle modalità dell'interrogatorio dell'imputato in funzione della sua natura di strumento di difesa; onde la necessità del mantenimento, secondo il remittente, dell'interrogatorio in ogni caso;

b) n. 73, la quale dispone la previsione, nel nuovo codice di procedura penale, dell'esame diretto dell'imputato da parte del P.M. e dei difensori, nonché del potere del giudice di rivolgere all'imputato domande al fine della ricerca della verità, in attuazione delle finalità del processo; invece, subordinando l'esame dell'imputato nel dibattimento al suo consenso, si sarebbe privilegiato ingiustificatamente l'interesse individuale dell'imputato anziché quello generale dello accertamento della verità;

c) n. 69, la quale garantisce alle parti il diritto all'ammissione del mezzo di prova richiesto; peraltro, la tesi secondo cui nel nuovo codice di procedura penale l'interrogatorio dell'imputato è un mezzo di difesa contrasterebbe con gli artt. 513 e 526 che consentono l'utilizzazione delle dichiarazioni rese dall'imputato al P.M. o al giudice nella fase precedente il dibattimento;

B) l'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si verificherebbe tra gli stessi soggetti nel dibattimento e nella fase delle indagini preliminari, nella quale sia il P.M. che il giudice possono procedere all'interrogatorio dell'imputato anche senza il suo consenso.

2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

3. - Nel giudizio è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale, concludendo per la infondatezza della questione, ha osservato che il legislatore delegante ha chiarito le differenze tra l'interrogatorio nella fase che precede il giudizio, inteso come mezzo di difesa, e l'esame dell'imputato nella fase del dibattimento, inteso come mezzo di prova; che, secondo la logica del sistema, l'esame dell'imputato non può assumere connotazioni di coercibilità, poiché in questo modo si introdurrebbe nel dibattimento uno strumento inquisitorio direttamente gestito dal giudice, in contrasto proprio con i criteri direttivi di cui alla legge di delegazione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte è chiamata a verificare se gli artt. 567, 208, 503, 506 del codice di procedura penale, nelle parti in cui prevedono che l'esame dell'imputato nel dibattimento sia subordinato al suo consenso o alla sua richiesta e che il giudice possa rivolgere domande all'imputato solo dopo che sia stato già esaminato, importino violazione dell'art. 76 della Costituzione per contrasto con le direttive nn. 5, 73 e 69, date al legislatore delegato dalla legge di delegazione n. 81 del 1987, le quali, rispettivamente, stabiliscono che debbano essere disciplinate le modalità dell'interrogatorio dell'imputato come strumento di difesa; debba essere previsto l'esame diretto dell'imputato da parte del P.M. e dei difensori; il giudice possa rivolgere domande dirette all'imputato; debba essere garantito il diritto all'ammissione del mezzo di prova richiesto.

2. - La questione non è fondata.

Nel vigente codice di procedura penale sono nettamente distinti l'interrogatorio e l'esame dell'imputato.

Il primo, regolato dagli artt. 64, 65, 66, 294, 363, 375, 376 del codice di procedura penale, è reso nella fase delle indagini preliminari. Esso è considerato uno strumento di difesa che mira a garantire all'imputato l'esercizio effettivo del relativo diritto in quanto gli consente di contestare l'accusa in fatto ed in diritto, in tutto o in parte, a meno che lo stesso imputato non presti la sua adesione, totale o parziale, o eserciti la facoltà di non rispondere. L'imputato non ha, però, l'obbligo di dire la verità tranne i limiti scaturenti dalle norme incriminatrici della calunnia o dell'autocalunnia. Gli sono assicurate varie garanzie. Anzitutto è posto nella condizione di autodeterminarsi liberamente perché la sua sia una partecipazione libera e cosciente. È vietato l'uso di mezzi di coercizione di qualunque specie, sia palesi che occulti. È prevista l'assistenza del difensore. L'imputato è avvertito, inoltre, della facoltà di non rispondere anche a singole domande di merito (direttive nn. 2 e 5 della legge-delega).

2.1 - L'esame dell'imputato è previsto nel dibattimento, insieme con quello dei testimoni e delle parti private.

Per i procedimenti davanti al Pretore sono richiamate le norme del procedimento davanti al Tribunale (artt. 567, 208, 503, 506 del codice di procedura penale).

L'esame è considerato un mezzo di prova e, per questa sua natura, è subordinato alla richiesta o al consenso dello stesso imputato perché possa valutare la convenienza della sua scelta e le conseguenze che ne derivano, a suo vantaggio o a suo danno, alle quali si determina liberamente.

Secondo la logica del sistema accusatorio, l'iniziativa della prova spetta alle parti, che sono titolari del relativo diritto; il giudice ha solo un ruolo di controllo e di sussidiarietà, con la facoltà di indicare i temi nuovi e le lacune da colmare.

Una volta effettuata la richiesta o prestato il consenso, l'imputato ha la facoltà di non rispondere a singole domande, ma della mancata risposta si fa menzione nel verbale per l'eventuale apprezzamento da parte del giudice.

La tecnica dell'esame, i limiti e l'oggetto delle dichiarazioni che possono essere rese sono identici sia per l'imputato che per i testi e le parti private (art. 499 del codice di procedura penale). Tuttavia, il giudice deve prendere in considerazione le dichiarazioni dell'imputato anche se indirette. Inoltre, nel dibattimento le dichiarazioni da lui rese nella fase preliminare possono essere utilizzate: a) dalle parti per verificare la sua credibilità durante l'esame (art. 503, terzo comma, del codice di procedura penale); b) dal giudice ai fini della decisione, quando siano state assunte dal P.M. con la presenza del difensore (art. 503, quinto comma, del codice di procedura penale); c) come prove, quando l'imputato rifiuta di essere esaminato o diserta l'udienza (art. 513 del codice di procedura penale).

3. - In tale situazione non risulta inapplicata la direttiva n. 5 della legge-delega, la quale riguarda essenzialmente la fase delle indagini preliminari e pone le regole da osservarsi per l'interrogatorio come strumento di difesa.

La utilizzazione nel dibattimento delle dichiarazioni rese dall'imputato nella fase preliminare è meramente eventuale e sussidiaria.

Proprio in aderenza alle direttive nn. 69 e 73, le quali riguardano la materia delle prove, le disposizioni denunciate assicurano la lealtà dell'esame dell'imputato, la genuinità delle risposte, la pertinenza al giudizio, il rispetto della persona, riservandosi al Presidente o al Pretore solo la facoltà di rivolgergli domande dirette. La subordinazione dell'esame dell'imputato alla sua richiesta o al suo consenso assicura la conservazione del suo stato e della sua posizione in seno al dibattimento e impedisce che egli si trasformi in testimone volontario, fermo restando che non è affatto tenuto a discolparsi e che l'accusa deve provare la sua colpevolezza. Invece, come ha rilevato anche l'Avvocatura Generale dello Stato, la eliminazione dell'una o dell'altro darebbe all'esame una connotazione di coercibilità e introdurrebbe nel dibattimento uno spurio strumento inquisitorio, direttamente gestito dal giudice, in netto contrasto proprio con i principi della legge-delega e con la logica del sistema accusatorio, così come innanzi affermato.

4. - Non risulta nemmeno violato l'art. 3 della Costituzione perché la fase delle indagini preliminari è nettamente distinta dalla fase del dibattimento. Nell'una si acquisiscono gli elementi necessari per il dibattimento, in mancanza dei quali si emette provvedimento di archiviazione; nell'altra si acquisiscono le prove della colpevolezza dell'imputato per la conseguente affermazione della sua responsabilità oppure, in mancanza di esse, si pronuncia sentenza di assoluzione con una delle formule previste. Rimangono ben distinti il ruolo, i poteri e le facoltà del P.M. e del giudice nell'una e nell'altra fase.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 567, 208, 503, 506 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Catania - Sezione staccata di Acireale, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.