ORDINANZA N. 209
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto-quinquies del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, e dell'art. 10, comma sesto, del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 novembre 1990 dal T.A.R. del Lazio nel ricorso proposto da Lopes Felice contro A.N.A.S. ed altra iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1991;
2) ordinanza emessa il 17 novembre 1990 dal T.A.R. del Lazio nel ricorso proposto da Pastore Giuliano contro A.N.A.S. ed altra iscritta al n. 88 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;
Ritenuto che con due ordinanze emesse il 17 ottobre 1990 di identico contenuto il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale "dell'art. 1, comma quarto-quinquies del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, nonché dell'art. 10, comma sesto, del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417, nella parte in cui, non ammettendo, neppure in via transitoria, la possibilità di revocare il riscatto di periodi di servizio o di studio o di rinunciare, comunque, ai benefici derivanti dall'esercizio del relativo diritto, non prevedono il diritto al mantenimento in servizio, sino al limite dei 70 anni di età, in favore di coloro che abbiano esercitato il diritto al riscatto anteriormente all'entrata in vigore dello stesso decreto-legge n. 413 del 1989, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione";
che nei giudizi a quibus è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri che ha concluso per l'infondatezza della questione.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano identica questione, sì che i relativi giudizi possono essere riuniti ai fini di un'unica pronuncia;
che la norma di cui all'art. 15 l. 30 luglio 1973, n. 477, oggetto di interpretazione autentica da parte dell'art. 10, sesto comma, decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989 n. 417, e di applicazione anche ai dirigenti civili dello Stato in base all'art. 1, comma quarto-quinquies, decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, prevede la possibilità per le categorie ivi previste di rimanere in servizio su richiesta fino al raggiungimento del limite massimo della pensione, anche oltre il 65° anno di età e comunque non oltre il 70°;
che tale norma è stata introdotta dal legislatore, nel ridurre il limite d'età pensionabile al compimento del 65° anno (art. 15, primo comma, legge 30 luglio 1973, n. 477), allo scopo di far conseguire il previsto beneficio a coloro che non avessero raggiunto il limite massimo della pensione;
che, pertanto, non appare irrazionale né discriminatoria, in relazione alla descritta ratio, la circostanza di mero fatto in cui vengono a trovarsi coloro che, mediante domanda di riscatto accolta dall'Amministrazione con provvedimento formale, abbiano già conseguito il raggiungimento del massimo della pensione, rispetto a coloro che ciò non abbiano conseguito per non aver ottenuto (o potuto ottenere per qualsivoglia ragione) detto beneficio del riscatto;
che neppure si ravvisa alcuna violazione dell'art. 97 Cost., semmai vulnerato da una pronuncia che consentisse, trascendendo i limiti della circoscritta situazione occupazionale tenuta presente dal legislatore, la facoltà, da parte del dipendente, di revoca del beneficio del riscatto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto-quinquies del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, nonché dell'art. 10, comma sesto, del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, sollevata con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 13 maggio 1991.