SENTENZA N. 157
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso dalla Regione Toscana notificato il 2 agosto 1990, depositato in Cancelleria l'8 agosto successivo ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 1990, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 aprile 1990, n. 150 recante "Regolamento per l'organizzazione del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri";
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi l'avv. Mario Chiti per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1.1. - Con ricorso, notificato il 2 agosto 1990 e depositato l'8 agosto successivo, la Regione Toscana solleva conflitto di attribuzione, nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 aprile 1990, n. 150, recante il regolamento per l'organizzazione del dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, in quanto emanato in violazione di legge ed invasivo della sfera di competenze regionali.
La Regione ricorrente - premesso che la legge 16 aprile 1987, n. 183 (Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari), all'art. 1, ha istituito il dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, rinviandone l'organizzazione ad un successivo regolamento da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti commissioni parlamentari, e che la legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) ha ampliato le competenze del dipartimento ed il ruolo del Ministro senza portafoglio ad esso preposto - rileva che l'art.21 della successiva legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), ha previsto, più in generale, la costituzione di dipartimenti, quali strutture interne alla Presidenza del Consiglio, di ausilio e di carattere strumentale rispetto ai compiti del Presidente, mediante l'adozione di decreti dello stesso Presidente del Consiglio, d'intesa con il Ministro senza portafoglio competente.
A causa della successione di tali leggi nel tempo, ad avviso della ricorrente, il Governo ha ritenuto, per presunte ragioni di uniformità rispetto ad altri dipartimenti, di seguire, per l'organizzazione del dipartimento in questione, una procedura equivoca, mutuando la disciplina applicabile in parte dalla normativa precedente (parere delle Commissioni parlamentari) e in parte dalla normativa sopravvenuta (forma del D.P.C.M., invece che del d.P.R.).
Precisato che i dipartimenti ipotizzati dall'art. 21 della legge n. 400 del 1988 riguardano le sole strutture interne e meramente strumentali rispetto ai compiti del Presidente del Consiglio, così differenziandosi da altri dipartimenti a carattere "esterno", quale il dipartimento delle politiche comunitarie, la ricorrente sostiene che, per la organizzazione di quest'ultimo, si è erroneamente utilizzato uno strumento normativo inidoneo e quindi illegittimo, specie in considerazione del fatto che le competenze del dipartimento sono dal provvedimento impugnato addirittura dilatate, tanto da violare le competenze regionali. In altre parole, con la forma utilizzata, meno garantistica di quella imposta dalla legge n. 183 del 1987, verrebbero introdotte nuove competenze dipartimentali in violazione delle attribuzioni regionali.
1.2. - Con altra censura la ricorrente denuncia alcune disposizioni dell'art. 2 del provvedimento impugnato, che concretizzerebbero vere ingerenze negli affari regionali a rilievo comunitario, eliminando addirittura spazi riconosciuti alle regioni dalla normativa comunitaria.
Si tratterebbe in particolare della previsione del generico potere di promozione e di coordinamento dell'attività di tutte le pubbliche amministrazioni (lett. a), del coordinamento delle stesse amministrazioni pubbliche ai fini della formulazione degli atti comunitari (lett. c), del coordinamento delle attività delle regioni in sede comunitaria (lett. d), dello sviluppo dei rapporti con gli organi comunitari per la trattazione degli affari comunitari di interesse dell'Italia (lett. g), della vigilanza per la corretta e tempestiva attuazione delle disposizioni comunitarie (lett. i), e, soprattutto, delle attività connesse all'attuazione dei regolamenti comunitari in tema di programmi integrati mediterranei (P.I.M.) e di fondi comunitari a finalità strutturali (lett. n).
A sostegno della censura la ricorrente ricorda che la possibilità per le regioni di svolgere attività di rilievo internazionale e, in particolare, di instaurare rapporti diretti con le Comunità europee è riconosciuta sia in sede legislativa (art. 4 d.P.R. n. 616 del 1977, circa l'attività promozionale all'estero), sia da una copiosa giurisprudenza costituzionale, alla luce della quale possono ritenersi ammissibili i contatti diretti tra organismi comunitari e regioni, contatti che illegittimamente l'impugnato provvedimento tenterebbe di impedire mediante forme di coordinamento che si traducono in un esproprio delle competenze regionali.
1.3. - Infine, la ricorrente denuncia il provvedimento nella parte in cui (art. 1, lett. o) prevede, tra le competenze del dipartimento, "la formazione di personale e di operatori pubblici e privati con riferimento a temi e problemi comunitari", così interferendo con le attribuzioni regionali in tema di formazione professionale.
2. - Si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, precisando che l'adempimento in ordine all'organizzazione del dipartimento, originariamente previsto dall'art. 1 della legge n.183 del 1987 con la forma del decreto del Presidente della Repubblica e secondo una particolare procedura, si è in seguito inserito nel quadro normativo dettato dalla legge n. 400 del 1988 (art. 21), posto che il predetto dipartimento, chiamato ad operare in un'area di competenza del Presidente del Consiglio (art. 5, comma 3, lett. a), della legge 400 del 1988), deve necessariamente inquadrarsi nella organizzazione della Presidenza come un dipartimento di questa. Lo stretto legame e la strumentalità con le funzioni del Presidente del Consiglio sono, d'altra parte, testimoniati dalla originaria previsione legislativa (art. 1 della legge n. 183 del 1987), secondo cui per la provvista di personale del dipartimento si sarebbe dovuto attingere alla dotazione organica della Presidenza del Consiglio, dotazione assicurata poi in concreto dalla legge n. 400 del 1988.
Inoltre alla determinazione di provvedere, a termini dell'art.21 della legge n. 400 richiamata, appunto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si è pervenuti anche a seguito del parere del Consiglio di Stato, il quale, precisata la natura regolamentare dell'adottando decreto, ha richiamato anche la possibilità di sentire preventivamente le commissioni parlamentari, così come richiesto dall'art. 1 della legge n. 183 del 1987.
Ciò premesso, e con riferimento alla prima censura, che ha ad oggetto la forma utilizzata per l'adozione del provvedimento impugnato, l'Avvocatura generale dello Stato ne rileva la inammissibilità, in quanto inconferente rispetto alla tutela delle attribuzioni regionali, costituzionalmente garantite.
Riguardo alla seconda doglianza, che si appunta contro talune disposizioni dell'art. 2 del provvedimento impugnato, la difesa dello Stato ribadisce il carattere strumentale della struttura organizzativa per lo svolgimento di compiti che fanno capo al Presidente del Consiglio o al Ministro senza portafoglio da lui delegato, e contesta la denunciata invasività di competenze regionali. Infatti, gli adempimenti affidati al dipartimento o attengono ad una fase preparatoria ed istruttoria di competenze presidenziali (art. 2, lettere a), c), g), i), in vista della necessaria promozione delle iniziative e del coordinamento delle stesse nell'arco della politica comunitaria nazionale - sia nell'azione diretta alla partecipazione degli organi statali alla formazione degli atti comunitari, sia nella attuazione interna della normativa comunitaria - ovvero (art. 2, lett. d) sono finalizzati al coordinamento delle azioni regionali che possono svilupparsi in vista della partecipazione alla elaborazione della normativa delle comunità europee, o ancora (art.2, lett. n) assicurano il necessario rapporto di collaborazione e concertazione (c.d. partenariato), cui partecipano gli organi comunitari, nazionali e regionali secondo le stesse previsioni comunitarie.
Quanto, infine, alla doglianza relativa alla lett. o) dell'art. 2 più volte richiamato, si esclude la ipotizzata invasione di competenze regionali in materia di "formazione professionale", alla luce di una corretta lettura del disposto dell'art. 13 della legge 9 marzo 1989, n.86, che presuppone la necessità di una attività di informazione a favore dei cittadini nelle tematiche comunitarie in relazione al progredire della integrazione europea e alla conseguente proliferazione della normativa comunitaria in tutti i settori economici. E ciò consente di affermare che l'attività del dipartimento in questo settore, lungi dall'interferire con la funzione della formazione professionale propria delle Regioni, si affianca ad essa, per il carattere di ausilio ed il compito di informazione che la legge n. 86 del 1989 ha voluto riconoscere al dipartimento in questione.
Considerato in diritto
1. - La Regione Toscana ha impugnato il regolamento per l'organizzazione del dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri emanato con D.P.C.M. 30 aprile 1990, n. 150, ritenendolo invasivo di proprie competenze.
Si sostiene nel ricorso che la forma adottata non è quella prevista dalla legge (n. 183 del 1977) istitutiva del dipartimento, che aveva rinviato ad un decreto del Presidente della Repubblica, sentito il parere delle commissioni parlamentari, l'organizzazione del dipartimento; sarebbe, perciò, violata la legge anzidetta, poiché la forma prescelta, cioè il decreto del Presidente del Consiglio, sia pure previo parere delle commissioni parlamentari, è meno garantistica, ben potendo tale forma di provvedimento essere modificata secondo il procedimento previsto dall'art. 21 della legge n. 400 del 1988, che regola l'organizzazione dei dipartimenti: procedimento che è meno complesso ed articolato di quello previsto per i regolamenti approvati con decreto del Presidente della Repubblica.
Inoltre, secondo la ricorrente, molte delle attribuzioni elencate nell'art. 2 sarebbero invasive di competenze regionali in tema di rapporti con gli organi comunitari e di attuazione della normativa comunitaria, privando la Regione di attribuzioni riconosciutele dai regolamenti comunitari. Infine, la prevista competenza del dipartimento in ordine alla "formazione di personale e di operatori pubblici e privati" realizzerebbe un'invasione delle competenze regionali in materia di formazione professionale.
2. - Il ricorso è inammissibile.
Il regolamento impugnato non attribuisce al dipartimento delle politiche comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri funzioni nuove e diverse da quelle già spettanti alla stessa Presidenza. Esso si limita ad organizzare, nel quadro di questa, il dipartimento attribuendogli soltanto quelle funzioni già esercitate da detta Presidenza e, in qualche caso, da altri ministeri, come risulta dall'elenco delle competenze indicate nell'art. 2.
Trattasi, dunque, di un atto di autorganizzazione del Governo che in nessun modo limita le competenze delle regioni, dovendo evidentemente le previsioni contenute nell'atto impugnato, ove esse possano avere qualche riflesso in ordine a tali competenze, essere coordinate con le norme vigenti che le riguardano, destinate certamente a prevalere sulla fonte secondaria, meramente organizzativa di funzioni già spettanti allo Stato. Né d'altronde viene meno la possibilità per le regioni di promuovere, secondo le regole generali, il sindacato su atti che, in concreto, dovessero risultare invasivi di loro attribuzioni.
Il regolamento impugnato non è pertanto lesivo sotto ogni profilo, anche solo potenziale, delle competenze regionali, per cui manca il presupposto per l'ammissibilità del conflitto, sia in ordine agli aspetti formali censurati nel primo motivo, sia in ordine a quelli sostanziali oggetto degli altri due motivi.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto nei confronti dello Stato, in relazione al D.P.C.M. 30 aprile 1990, n. 150 (Regolamento concernente l'organizzazione del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri), dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 18 aprile 1991.