Sentenza n. 144 del 1991

 

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SENTENZA N. 144

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma ventiseiesimo, della legge 17 febbraio 1985, n. 17 ("Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria") promosso con ordinanza emessa il 9 ottobre 1990 dal Pretore di Lucca, Sezione distaccata di Viareggio nel procedimento penale a carico di Ricci Roberto iscritta al n. 706 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1990;

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Ricci Roberto - imputato del reato di cui all'art. 2, ventiseiesimo comma, del decreto legge 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985 n. 17, per aver effettuato, in regime forfettario d'I.V.A., acquisti non fatturati ai fini dell'imposta sul valore aggiunto senza avere provveduto tempestivamente alla successiva regolarizzazione fiscale - il Pretore di Lucca con ordinanza del 9 ottobre 1990 ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale di tale norma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparità di trattamento che si viene a creare fra contribuenti in regime d'I.V.A. forfettario e quelli in regime ordinario, atteso che, mentre per i primi la norma censurata attribuisce rilevanza penale a qualsiasi acquisto effettuato senza applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, invece per i secondi la cessione di beni e servizi senza la fatturazione è sanzionata penalmente soltanto se l'ammontare dei corrispettivi non fatturati è superiore nell'anno a 50 milioni di lire ed al due per cento dell'ammontare complessivo dei corrispettivi risultati dall'ultima dichiarazione presentata ovvero comunque a duecento milioni di lire (art. 1, secondo comma, legge n. 516 del 1982).

 

Il giudice rimettente - pur riconoscendo che la ratio della norma va individuata nella circostanza che il contribuente in regime forfettario non ha, contrariamente al contribuente in regime ordinario, interesse a richiedere ed a conservare regolare fatturazione degli acquisti da lui effettuati, donde la necessità di stimolarlo con la minaccia di una sanzione penale - ritiene comunque che la norma impugnata, in quanto priva di una soglia minima di rilevanza penale e quindi applicabile anche nei confronti di evasioni irrisorie, violerebbe il principio di sussidiarietà e residualità della sanzione penale e creerebbe un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto a quello riservato al contribuente in regime ordinario.

 

2. - L'ordinanza del giudice a quo, ritualmente notificata e comunicata è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale del 28 novembre 1990.

 

3. - È intervenuta la Presidenza del Consiglio a mezzo dell'Avvocatura di Stato sostenendo l'inammissibilità, o comunque l'infondatezza, della questione, atteso che la previsione di "soglie" quantitative nella configurazione di fattispecie penali rientra nella discrezionalità del legislatore.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - È stata sollevata questione incidentale di costituzionalità della disposizione prevista dall'art. 2, ventiseiesimo comma, del decreto legge 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985 n. 17 (che sanziona penalmente la condotta dei contribuenti I.V.A. in regime forfettario i quali, in caso di omessa fatturazione di acquisti da loro effettuati, non provvedano tempestivamente alla regolarizzazione fiscale), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione per l'irragionevole disparità di trattamento che si viene a creare fra i contribuenti in regime d'I.V.A. forfettario e quelli in regime ordinario, non essendo prevista per i primi - a differenza che per quest'ultimi ( ex art. 1, secondo comma, legge n. 516 del 1982) - una "soglia minima" di non rilevanza penale con la conseguenza che risultano sanzionate penalmente anche violazioni di minima entità.

 

2. - La questione non è fondata.

 

Il decreto legge 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985 n. 17, nel dettare nuove (temporanee) disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, ha previsto come reato contravvenzionale (all'art. 2, ventiseiesimo comma) la condotta dei contribuenti i quali - avvalendosi (in quanto esercenti arti o professioni o imprese commerciali che si giovino della contabilità semplificata di cui all'art. 18 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) del regime forfettario di determinazione dell'I.V.A. (calcolata riducendo l'imposta relativa alle operazioni imponibili delle percentuali stabilite nella tabella A, allegata al cit. d.l. n. 853, a titolo di detrazione forfettaria dell'imposta afferente gli acquisti e le importazioni, in luogo delle detrazioni analitiche di quest'ultima secondo il regime ordinario) - non provvedano (nei modi e nei termini di cui all'art. 41, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633) alla regolarizzazione di acquisti di beni o servizi effettuati senza l'emissione della fattura (o con emissione di fattura irregolare), da parte di chi (cedente o committente) è obbligato ad emetterla. Tale condotta è sanzionata con la pena dell'arresto fino a due anni o dell'ammenda fino a quattro milioni di lire qualora nell'anno il contribuente abbia effettuato acquisti senza applicazione dell'imposta per un ammontare di corrispettivi superiore a 10 milioni di lire; ove invece questi ultimi siano inferiori a tale importo, la pena è della sola ammenda fino a quattro milioni di lire.

 

3. - Nella fattispecie contravvenzionale introdotta dal legislatore manca testualmente una soglia minima di punibilità talché ogni omessa regolarizzazione di acquisto non fatturato è sanzionata penalmente, pur se minima risulti essere l'imposta evasa.

 

Diversa invece è stata l'opzione del legislatore allorché ha represso una similare, ma non analoga, condotta illecita: quella dei contribuenti in regime ordinario d'I.V.A. i quali effettuino cessione di beni o prestazioni di servizi omettendone la fatturazione. Infatti in tal caso il fatto è punito (sempre con l'arresto fino a due anni o con l'ammenda fino a quattro milioni di lire) solo se l'ammontare dei corrispettivi non fatturati superi la soglia di cinquanta milioni di lire e del due per cento dell'ammontare dei corrispettivi risultanti dall'ultima dichiarazione presentata o comunque di duecento milioni di lire.

 

4. - Pur dovendo registrarsi, quanto alla determinazione di una soglia minima di punibilità, una diversità di disciplina rispetto al tertium comparationis prospettato dal giudice a quo, tuttavia non sussiste violazione del canone di eguaglianza e di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost. ed invocato nell'ordinanza di rimessione quale parametro di riferimento del giudizio incidentale di costituzionalità.

 

Da un lato, infatti, va ricordato che, come già affermato da questa Corte (sent. n. 62 del 1986), il generale principio di offensività deve, comunque ed in ogni caso, ispirare il giudice del merito nell'interpretazione della norma incriminatrice ancorché questa non preveda una soglia minima di punibilità. Dall'altro, deve osservarsi che, anche quando la norma positiva specifica sia da interpretare nel senso che il legislatore abbia intenzionalmente omesso la predeterminazione di una soglia minima di punibilità giudicando opportuno, nel quadro del suo disegno politico generale, reprimere ogni violazione qualunque sia la sua entità, pure allora la discrezionalità di tale apprezzamento non può reputarsi in contrasto con l'art. 3 Cost. quando sussistano ragioni che giustifichino una scelta siffatta (principio questo già espresso dalla Corte nella sentenza n. 376 del 1989).

 

Nella specie è riscontrabile testualmente - come già rimarcato - proprio quest'ultima opzione (anche se non può omettersi di rilevare che il legislatore ha comunque tenuto conto della diversa gravità delle possibili irregolarità fiscali rientranti nella fattispecie astratta del reato avendo previsto una "soglia" di lire dieci milioni, nell'anno, di acquisti effettuati senza applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, soglia al di sotto della quale - ancorché permanga la rilevanza penale del fatto - è però irrogabile solo una ammenda fino a lire quattro milioni).

 

Tuttavia ragioni adeguate certamente ricorrono a giustificazione di tale scelta differenziata. Ed invero la punibilità di qualsiasi evasione all'I.V.A. è, nei confronti del cessionario operante in regime forfettario, prevista al fine di contrastare il suo interesse a sottrarsi all'obbligo ( ex art. 41 comma 5°, già 4°, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633) di provvedere lui alla regolarizzazione quando il cedente ometta la fatturazione. Invero, come sostanzialmente riconosce anche il giudice a quo, in costanza di regime forfettario il cessionario non solo non ha interesse a ricevere le fatture relative agli acquisti effettuati essendo la misura delle detrazioni da lui fruibili indipendente dal concreto ammontare dei costi effettivamente sopportati, ma anzi può avere un interesse contrario, e cioè l'interesse ad una artificiosa compressione dei costi al fine di dichiarare anche minori ricavi e quindi, nel complesso, una minore base imponibile al fine dell'imposizione diretta. Onde appare giustificata, sotto il profilo sia della ragionevolezza in sé, sia del raffronto con la diversa disciplina relativa al contribuente in regime ordinario, la previsione di un meccanismo punitivo maggiormente dissuasivo da parte della normativa denunziata, la quale - pur dopo il decreto legge 2 marzo 1989 n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989 n. 154 (che, nel modificare in termini più restrittivi i presupposti di applicazione del regime forfettario di determinazione dell'I.V.A., non ha più riprodotto la norma incriminatrice, depenalizzando l'illecito de quo ed affidando quindi la sua repressione solo all'apparato sanzionatorio amministrativo) - è tuttavia ancora applicabile ai fatti verificatisi sotto la sua vigenza trattandosi di disposizione penale di legge finanziaria (art. 20 legge 7 gennaio 1929 n. 4), per di più temporanea (art. 2, quarto comma, cod. pen.).

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, ventiseiesimo comma, del decreto legge 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985 n. 17 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria), sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dal Pretore di Lucca con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.

 

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 5 aprile 1991.