Sentenza n. 125 del 1991

 

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SENTENZA N. 125

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, della legge della Regione Veneto 14 luglio 1978, n. 30 (Disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e per la disciplina della caccia), promosso con ordinanza emessa il 21 dicembre 1989 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti da Antonio Durighello contro la Provincia di Treviso ed altro e dall'Amministrazione provinciale di Treviso contro Antonio Durighello iscritta al n. 600 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione provinciale di Treviso;

Udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Udito l'avvocato Mario Ettore Verino per l'Amministrazione provinciale di Treviso;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte di cassazione, I Sezione civile, con ordinanza del 21 dicembre 1989 (R.O. n. 600 del 1990), ha sollevato, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Veneto 14 luglio 1978, n. 30 (Disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e per la disciplina della caccia), dove, al fine dell'esercizio "presunto" di caccia, viene ritenuto sufficiente l'impiego di "mezzi idonei", mentre la legge statale 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia) richiede, per lo stesso fine, il requisito più rigoroso dei "mezzi destinati" all'esercizio della caccia (art. 8, terzo comma).

La questione è sorta nel corso di un giudizio di opposizione avverso un'ordinanza-ingiunzione con la quale il Presidente della Provincia di Treviso ha applicato ad Antonio Durighello una sanzione pecuniaria per violazioni relative agli artt. 6, 7 e 10 della legge della Regione Veneto n. 30 del 1978, ritenendo lo stesso responsabile di esercizio "presunto" di caccia, in relazione al fatto di aver guidato di notte una autovettura procedente a zig- zag con i fari abbaglianti, alla ricerca di lepri.

Avverso la sentenza di rigetto dell'opposizione, è stato proposto ricorso per cassazione sia dal Durighello che dalla Provincia di Treviso e nel corso di questo giudizio la parte privata ha prospettato eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Veneto 14 luglio 1978, n. 30, per violazione dell'art. 117 Cost.

La Cassazione, con l'ordinanza di cui è causa, ha ritenuto tale questione, oltre che rilevante, non manifestamente infondata, dal momento che la norma denunciata sarebbe tale da ampliare la nozione di esercizio "presunto" di caccia: e ciò in quanto l'espressione "mezzi destinati", adottata dal legislatore statale, verrebbe a riferirsi solo ai mezzi preordinati ad un determinato uso, mentre la diversa locuzione "mezzi idonei", usata dal legislatore regionale, sarebbe comprensiva di tutti i mezzi comunque utilizzabili allo scopo.

Il rilevato ampliamento della nozione di esercizio "presunto" della caccia, posto in essere dalla legge regionale, concretizzerebbe - sempre secondo il giudice a quo - la violazione di un principio fondamentale contenuto nella legge-quadro statale sulla caccia e conseguentemente dell'art. 117 della Costituzione.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita l'Amministrazione provinciale di Treviso, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Secondo la Provincia, la norma regionale impugnata non avrebbe ampliato, ma ristretto la portata della normativa statale in tema di esercizio "presunto" di caccia, richiedendo che i mezzi destinati alla caccia siano anche idonei, "cioè atti in concreto a catturare od uccidere la selvaggina".

La questione sarebbe altresì infondata, dal momento che la legislazione regionale in materia di caccia non avrebbe "una funzione meramente attuativa" della normativa statale, ma disporrebbe di uno spazio sufficiente per "integrare e meglio chiarire" - nel quadro dei principi espressi dalla legge n. 968 del 1977 - le disposizioni della legge statale.

3. - Nell'imminenza dell'udienza di discussione l'Amministrazione provinciale di Treviso ha presentato memoria, per insistere nelle conclusioni già formulate. In tale memoria viene richiamata, in particolare, a sostegno della legittimità della norma impugnata, l'interpretazione dell'art. 8 della legge n. 968 del 1977 di recente adottata dalla Cassazione, I Sezione civile, con la sentenza 4 aprile 1990, n. 2793, sottolineandosi la divergenza tra questa interpretazione e quella adottata dall'ordinanza di rinvio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza di cui è causa la Corte di cassazione propone questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Veneto 14 luglio 1978, n. 30 (Disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e per la disciplina della caccia), dove si fa riferimento, per la sussistenza dell'esercizio "presunto" di caccia, all'impiego di "mezzi idonei" alla caccia anziché all'impiego dei "mezzi destinati" alla caccia, richiamati, invece, nell'art. 8, terzo comma, della legge statale 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia).

Secondo l'ordinanza di rinvio la disposizione impugnata, adottando una dizione diversa da quella contenuta nella legge-quadro statale, avrebbe indebitamente ampliato la nozione di esercizio "presunto" di caccia, dal momento che il requisito dei "mezzi destinati" alla caccia andrebbe riferito soltanto ai mezzi preordinati a tale uso, mentre la dizione "mezzi idonei" adottata dalla legge regionale sarebbe comprensiva di tutti i mezzi comunque utilizzabili a scopo venatorio. L'ampliamento di tale nozione di caccia sarebbe tale da determinare la violazione di un principio fondamentale della legge-quadro statale n. 968 del 1977, e, conseguentemente, dell'art. 117 della Costituzione.

2. - La questione non è fondata.

L'art. 2 della legge della Regione Veneto n. 30 del 1978, nel delineare la nozione di attività venatoria, definisce, al primo comma, come esercizio di caccia "ogni atto diretto all'uccisione o alla cattura di selvaggina mediante l'impiego di armi, di animali o di arnesi a ciò destinati" (caccia c.d. "effettiva"), mentre equipara, nel secondo comma, all'esercizio della caccia "il vagare od il soffermarsi con armi, arnesi o altri mezzi idonei, in attitudine di ricerca o di attesa della selvaggina per ucciderla o per catturarla" (caccia c.d. "presunta"). Queste formulazioni della legge regionale ricalcano letteralmente la disciplina a suo tempo posta, sempre ai fini della distinzione tra caccia "effettiva" e "presunta", dall'art. 1, primo e secondo comma, del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016 (Testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia).

A sua volta, la legge-quadro sulla caccia n. 968 del 1977 - che ha sostituito il R.D. n. 1016 del 1939 - qualifica come esercizio "effettivo" di caccia "ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di selvaggina mediante l'impiego dei mezzi di cui al successivo art. 9 e degli animali a ciò destinati" (art. 8, secondo comma), mentre riconduce all'esercizio "presunto" di caccia "il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o in attesa della medesima per abbatterla o catturarla" (art. 8, terzo comma).

Ora - se è vero che la disciplina adottata dal secondo comma dell'art. 8 della legge n. 968, ai fini della definizione della nozione di caccia "effettiva", diverge sostanzialmente da quella a suo tempo espressa dall'art. 1, primo comma, del T.U. del 1939, dal momento che la nuova disposizione ha delimitato tale nozione al solo impiego dei mezzi indicati nel successivo art. 9, con esclusione della possibilità di mezzi diversi - è anche vero che, ai fini della definizione della nozione di esercizio "presunto" di caccia, la disposizione contenuta nell'art. 8, terzo comma, della legge n. 968 (dove si parla di "mezzi destinati") non viene, nella sostanza, a differenziarsi, al di là della formula lessicale adottata, dalla disposizione a suo tempo espressa nell'art. 1, secondo comma, del R.D. n. 1016 (dove si parlava di "mezzi idonei"). La coincidenza sostanziale tra le due disposizioni va collegata al fatto che - come la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare (sent. Cass., I Sez. civile, 4 aprile 1990, n. 2793) - i "mezzi destinati" all'esercizio della caccia "presunta" di cui al terzo comma dell'art. 8 della legge n. 968 non possono ritenersi limitati ai soli mezzi specificamente indicati nell'art. 9 (e richiamati nel secondo comma dello stesso art. 8), ma devono ragionevolmente ricomprendere - proprio al fine di valorizzare la distinzione posta dalla legge tra le due forme di caccia - tutti i mezzi effettivamente destinati ad un'attività venatoria, indipendentemente dalla loro "preordinazione" a tale attività o dalla loro collocazione in uno specifico elenco di mezzi normalmente destinati alla caccia. Sennonché, una volta adottato il criterio dell'effettivo impiego del mezzo, anche la distinzione concettuale tra la nozione di "destinazione" e quella di "idoneità" - che potrebbe valere in astratto - viene, in concreto, a sfumare. E invero, su questo piano, è agevole constatare come le due nozioni tendano a identificarsi, dal momento che la destinazione effettiva di un determinato mezzo all'esercizio della caccia in tanto potrà dar luogo ad un'azione qualificabile come venatoria, in quanto il mezzo stesso presenti anche una concreta idoneità a realizzare lo scopo connesso a tale azione.

La sostanziale equivalenza che va, dunque, affermata tra la nozione di "destinazione" e quella di "idoneità" - ove le stesse risultino riferite all'impiego effettivo o concreto del mezzo - conduce a escludere che la norma impugnata abbia inteso introdurre una nozione di esercizio "presunto" della caccia più ampia di quella prevista dall'art. 8, terzo comma, della legge statale 27 dicembre 1977, n. 968: dal che l'infondatezza della questione proposta.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, nei confronti dell'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Veneto 14 luglio 1978, n. 30 (Disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e per la disciplina della caccia) con riferimento all'art. 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1991.