Sentenza n. 74 del 1991

 

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SENTENZA N. 74

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 401, quinto comma, e 395, in relazione all'art. 401, quarto comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 aprile 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese nel procedimento penale a carico di Capomaccio Massimo ed altri, iscritta al n. 439 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1990;

2) ordinanza emessa il 19 aprile 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese nel procedimento penale a carico di Lombardo Francesco ed altri, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 19 aprile 1990, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Termini Imerese ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non dispone che il P.M., quando procede con incidente probatorio all'assunzione di una testimonianza, debba depositare gli atti relativi alle sommarie informazioni testimoniali, a lui già rese dai testi".

Il giudice a quo osserva, in punto di rilevanza, che la questione deriva da un'eccezione di nullità ex art. 178 c.p.p. proposta dalla difesa della persona sottoposta alle indagini e, in punto di non manifesta infondatezza, che l'"anticipazione del dibattimento" in cui si sostanzia l'istituto dell'incidente probatorio impone che all'indagato siano assicurate tutte le garanzie difensive, "ivi compresa la possibilità di previamente valutare lo spessore e la consistenza delle dichiarazioni già fornite dal teste, al fine di potere muovere le opportune contestazioni".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 28, prima serie speciale, dell'11 luglio 1990.

Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Per l'Avvocatura è, anzitutto, erroneo il presupposto da cui muove il giudice a quo: che, cioè, all'"anticipazione del dibattimento" che si realizzerebbe con l'incidente probatorio debba conseguire l'applicazione di tutte le regole proprie dell'assunzione della prova nella sede dibattimentale. Al contrario, la fase in cui l'incidente si inserisce - le indagini preliminari - postula l'adozione di "una disciplina differenziata, volta a calibrare la funzione dell'istituto in termini non antagonisti rispetto alle finalità che animano l'attività d'indagine".

Di conseguenza, l'apprestamento delle garanzie difensive non può comportare il richiamo alla totalità delle norme previste per l'assunzione della prova in dibattimento, dato che il complesso di tali norme mal si sarebbe conciliato "con un istituto destinato ad operare in uno stadio preprocessuale". D'altro canto, l'espletamento dell'incidente probatorio non postula "un indefettibile epilogo dibattimentale", potendo il procedimento concludersi anche con un provvedimento di archiviazione.

Funzione dell'incidente è solo quello di "evitare il pericolo di dispersione dei mezzi di prova non rinviabili alla fisiologica sede di assunzione": esso non può, invece coincidere con un "segmento" della fase dibattimentale, derivandone, altrimenti, un pregiudizio a "quelle caratteristiche di fluidità, segretezza e tendenziale libertà di forme che connotano le indagini preliminari". Imporre al pubblico ministero una "discovery" prima che egli abbia assunto le sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, sarebbe un epilogo contrastante "non solo e non tanto coi princi'pi ed i criteri dettati dalla legge delega (cfr. direttiva 57)", ma pure "con la stessa logica del nuovo sistema", quale si desume dall'esame dei lavori preparatori della legge 16 febbraio 1987, n. 81, da cui risulta, per un verso, l'eccezionalità del ricorso all'istituto, e, per un altro verso, l'esigenza di evitare che l'incidente potesse tradursi in uno strumento a disposizione dell'indagato per aprirsi un varco all'interno delle indagini.

Ciò imporrebbe di ritenere del tutto ultroneo il richiamo all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, facendo "appello a quel consolidato orientamento" della Corte, per il quale il diritto di difesa "non può essere disciplinato in modo uniforme, come necessità assoluta e inderogabile, in ogni tipo di procedimento ed in ogni fase processuale", ma deve essere "disciplinato secondo le speciali caratteristiche e modalità di attuazione di ogni singolo atto, in modo da assicurarne la finalità sostanziale".

Il richiamo, infine, al meccanismo delle contestazioni appare all'Avvocatura non pertinente. L'art. 500 - fondandosi sul regime differenziato di utilizzazione degli atti e sulla presenza del medesimo giudice che può utilizzare, nei limiti stabiliti dallo stesso articolo, i risultati delle contestazioni - presuppone "un nesso di imprescindibile interdipendenza con la dinamica del dibattimento". Senza contare che l'allegazione del verbale nel fascicolo previsto dall'art. 431 non sta a significare che il testimone non debba essere citato per la fase dibattimentale (v. art. 511, primo e secondo comma).

2. - Un'identica questione il Tribunale di Termini Imerese ha sollevato con ordinanza del 21 aprile 1990. Con la stessa ordinanza è stato pure denunciato, sempre in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'art. 395 del codice di procedura penale, "in relazione anche all'art. 401, quarto comma, dello stesso codice", laddove "non dispone che la richiesta d'incidente probatorio sia autonomamente notificata ai difensori degli imputati".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 28, prima serie speciale, dell'11 luglio 1990.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

 

Considerato in diritto

 

1. - Entrambe le ordinanze in epigrafe denunciano, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale, in una parte che si preciserà di qui a poco; una di esse (la n. 439 del 1990) solleva, inoltre, in riferimento allo stesso parametro costituzionale, questione di legittimità dell'art. 395 del medesimo codice "(in relazione anche all'art. 401, comma quarto, c.p.p.)", pure qui in una parte che si preciserà subito dopo.

Data la parziale identità delle questioni proposte, i giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - La questione comune alle due ordinanze ha per oggetto l'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non dispone che il P.M. quando procede con incidente probatorio all'assunzione di una testimonianza debba depositare i verbali delle dichiarazioni già a lui in precedenza rese dai testi" (ordinanza n. 439 del 1990) o, se si preferisce, "gli atti relativi alle sommarie informazioni testimoniali a lui già rese dai testi" (ordinanza n. 440 del 1990). Secondo il comune Tribunale remittente, la norma denunciata pregiudicherebbe "il delicato diritto difensivo a muovere al teste le opportune contestazioni e già ad approntare per tempo adeguata linea difensiva". Più precisamente, essendo l'incidente probatorio "destinato a consentire la formazione di un atto, inseribile nel fascicolo per il dibattimento e utilizzabile per la decisione", così da risolversi in una vera e propria "anticipazione del dibattimento", si dovrebbero assicurare alla difesa della persona sottoposta alle indagini tutte le necessarie garanzie, "ivi compresa la possibilità di previamente valutare lo spessore e la consistenza delle dichiarazioni già fornite dal teste, al fine di poter muovere le opportune contestazioni". Del che, viceversa, l'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale non si preoccupa. 3. - Con riguardo al petitum perseguito dal giudice a quo, occorre individuare meglio l'oggetto della questione, sia in ordine al soggetto da cui proviene la richiesta sia in ordine all'atto di cui si richiede l'assunzione. Sotto il primo profilo, deve trattarsi di un incidente probatorio proposto dal pubblico ministero, mentre, sotto il secondo profilo, deve trattarsi di "una testimonianza" da assumere a norma dell'art. 392, primo comma, lettera b, dopo che "sommarie informazioni" siano state rese alla polizia giudiziaria da "persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini" ex art. 351 ovvero dopo che "informazioni" siano state rese al pubblico ministero da "persone che", parimenti, "possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini" ex art. 362.

Poiché, però, ad essere posto in discussione è soltanto l'art. 401, quinto comma, dedicato all'udienza di assunzione della prova, mentre nessuna censura viene rivolta nei confronti degli artt. 395 e 396, relativi alla fase procedimentale che precede tale udienza, l'art. 401, quinto comma, deve intendersi sottoposto a vaglio di costituzionalità nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria oppure al pubblico ministero vengano "depositate" - quindi, portate a conoscenza della persona sottoposta alle indagini - per l'udienza di assunzione della prova.

4. - La questione non è fondata.

L'incidente probatorio - istituto pressoché sconosciuto non soltanto al codice di procedura penale del 1930 (eccettuata qualche lontana affinità con la testimonianza a futura memoria disciplinata dall'art. 357), ma anche al progetto preliminare del 1978 (il quale, peraltro, sia pur con riguardo al solo procedimento pretorile, attribuiva al pretore il compito di acquisire le prove che, per la loro complessità o urgenza, non fossero rinviabili al dibattimento: v. art. 413) - consente di anticipare eccezionalmente alla fase delle indagini preliminari, fase destinata all'acquisizione delle fonti di prova in vista dell'esercizio dell'azione penale (v. art. 326), "i meccanismi dibattimentali di acquisizione probatoria quando sia necessario assumere subito una prova, pena la sua dispersione" (v. Relazione al progetto preliminare del 1988, pag. 218).

L'operare dell'istituto in uno stadio preprocessuale, se ha richiesto l'adattamento delle modalità di assunzione della prova alle esigenze proprie della fase delle indagini preliminari (l'udienza di assunzione della prova non è pubblica; la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa hanno la possibilità di assistervi solo su autorizzazione del giudice, salvo che si tratti di testimonianza o di esame dell'"indagato"), non ha impedito al legislatore di costruire un meccanismo complesso ed articolato, che - rendendo possibile la diretta utilizzazione degli atti ivi compiuti attraverso la loro allegazione al fascicolo per il dibattimento (v. art. 431, lettera b), nonché artt. 511 e 526) - garantisse, per un verso, il diritto alla prova e rispettasse, per altro verso, il principio della parità delle parti.

5. - Le ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che - nell'ipotesi in cui l'incidente probatorio proposto dal pubblico ministero si sostanzia nella richiesta di assumere una prova testimoniale preceduta, a sua volta, da "sommarie informazioni" della polizia giudiziaria ovvero da "informazioni" del pubblico ministero - la norma denunciata non consentirebbe alla persona sottoposta alle indagini di venire a conoscenza di tali dichiarazioni.

L'interpretazione, pur condivisa dall'Avvocatura Generale dello Stato, secondo la quale la "discovery anticipata", auspicata dal Tribunale remittente, "contrasterebbe non solo e non tanto con i principi ed i criteri direttivi della legge delega (cfr. direttiva 57), ma con la stessa logica del nuovo sistema", non appare, però, conforme all'assetto globale dell'istituto, quale emerge dal complesso delle norme che lo disciplinano.

L'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale stabilisce nel suo primo periodo, il solo ad essere posto effettivamente in discussione, che "Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento", con ciò operando un diretto rinvio alle norme concernenti la formazione della prova nella sede dibattimentale, salvo espresse previsioni di segno contrario ovvero condizioni di incompatibilità connaturate alla fase in cui ha luogo questa particolare forma di assunzione della prova.

Più specificamente, il richiamo alle "forme stabilite per il dibattimento" implica, con riferimento alla prova testimoniale, che, quando si tratti di prova richiesta dal pubblico ministero, la persona sottoposta alle indagini sia messa in grado di controesaminare il teste, eventualmente anche contestandogli, ai sensi dell'art. 500, le dichiarazioni in precedenza rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero e già depositate nella cancelleria del giudice (v. art. 395).

Peraltro, l'assunzione della prova in una fase per sua natura segreta (con in più, quando si tratti di esaminare un testimone, il pericolo di inquinamento della prova oppure il rischio della scomparsa della stessa fonte proprio in relazione a quanto dichiarato dal testimone alla polizia giudiziaria od al pubblico ministero), se, da un lato, esige che, considerato il valore di prova della testimonianza assunta a norma degli artt. 392 e seguenti, venga salvaguardato, con il diritto alla prova della persona sottoposta alle indagini, anche il principio di parità delle parti, deve, d'altro lato, consentire al pubblico ministero l'acquisizione della prova non rinviabile al dibattimento, di modo che tale acquisizione non rimanga compromessa dal fatto che la persona sottoposta alle indagini possa prendere conoscenza, sin dalla notificazione della richiesta, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone.

6. - Un punto di equilibrio fra così contrapposte esigenze può ricavarsi dal testo dello stesso art. 401, quinto comma, leggendolo nel senso, già altra volta esplicitato da questa Corte (v. sentenza n. 559 del 1990), che - addivenendosi con l'incidente probatorio "all'assunzione anticipata di mezzi di prova destinati ad acquistare la forza probatoria propria delle prove espletate in dibattimento" - l'"interpretazione letterale" del disposto del quinto comma dell'art. 401 (ove si prescrive, in via generale, che "le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento") "rende chiaro che le modalità di espletamento" della prova "nell'incidente probatorio sono quelle stesse che valgono per la fase dibattimentale". Se, a proposito delle deposizioni testimoniali, la possibilità per la persona sottoposta alle indagini di avere la disponibilità delle dichiarazioni in precedenza rese alla polizia giudiziaria od al pubblico ministero non viene "menzionata nell'art. 401", ciò accade perché essa risulta "ricompresa in tale regola" (cfr., per una questione analoga, ancora la sentenza n. 559 del 1990). D'altro canto, se né l'art. 395 né l'art. 396 includono le dette dichiarazioni tra gli atti da notificare alla persona sottoposta alle indagini (di esse è previsto il solo deposito nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, unitamente alla richiesta), ciò accade perché, per ovvie esigenze di salvaguardia del testimone in funzione dell'esercizio dell'azione penale, non possono essere messe a disposizione della persona sottoposta alle indagini (quanto meno nelle ipotesi di assunzione anticipata della prova per le ragioni indicate nell'art. 392, primo comma, lettera b), prima dell'udienza di assunzione della prova: soltanto da quel momento, infatti, i rischi di inquinamento e di dispersione della prova o della sua fonte vengono ad attenuarsi.

Così interpretato, l'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale non incorre nella violazione dell'art. 24 della Costituzione prospettata in entrambe le occasioni dal Tribunale remittente.

7. - Una delle due ordinanze di rimessione ha, altresì, sollevato, sempre in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 395 del codice di procedura penale (in relazione all'art. 401, quarto comma, dello stesso codice), "nella parte in cui non dispone che la richiesta di incidente probatorio sia autonomamente notificata ai difensori degli indagati".

Poiché questa Corte, con sentenza n. 436 del 1990, successiva alla pronuncia dell'ordinanza di rimessione, ha già dichiarato non fondata la questione - sul presupposto che, "coordinato con gli artt. 61 e 69, il richiamo dell'art. 395 all'art. 393 viene ad assumere una più precisa fisionomia, che, tenendo nel debito conto la funzione assegnata alla notifica della richiesta di incidente probatorio, permette di considerare ricompreso fra i destinatari di tale notificazione anche il difensore della persona sottoposta alle indagini" - la questione stessa va dichiarata manifestamente infondata, non risultando addotti argomenti nuovi o diversi rispetto a quelli allora esaminati.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata, nei sensi in cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 401, quinto comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Termini Imerese con ordinanze del 19 aprile 1990 e del 21 aprile 1990;

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 395 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 401, quarto comma, dello stesso codice, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Termini Imerese con ordinanza del 21 aprile 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.