SENTENZA N. 72
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento economico della magistratura nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) e dell'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1989 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nel ricorso proposto da Bonelli Giovanni Battista contro il Ministero di Grazia e Giustizia ed altri, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 prima serie speciale dell'anno 1990;
Visto l'atto di costituzione di Beria di Argentine Adolfo, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;
Udito l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel giudizio promosso da Giovanni Battista Bonelli contro il Ministero di Grazia e Giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura, nonché nei confronti di Adolfo Beria di Argentine, per ottenere l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica di nomina del procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale - per violazione degli artt. 107, commi terzo e quarto, 112 e 108, primo comma, della Costituzione - dell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento economico della magistratura nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) e dell'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) nella parte in cui dette norme si riferiscono alla nomina di procuratore generale della Corte d'appello.
Nell'ordinanza di rinvio si rileva che le norme della Costituzione relative alla magistratura prevedono una riserva di legge volta ad assicurare al pubblico ministero operante presso la giurisdizione ordinaria e presso le giurisdizioni speciali garanzie di indipendenza tendenzialmente uguali a quelle dei giudici e che tale riserva concerne gli uffici del pubblico ministero "non soltanto nel momento del loro operare ma anche nel momento in cui vengono costituiti e quindi anche nel momento della nomina dei capi degli uffici". Il principio della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario sarebbe violato dall'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392 e dall'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n.12, in quanto tali norme non detterebbero alcuna effettiva disciplina sul conferimento degli uffici direttivi del pubblico ministero, limitandosi a regolare nell'identico modo il conferimento di uffici direttivi diversi fra loro, quali gli uffici (giurisdizionali) di presidente di Corte d'appello e gli uffici (non giurisdizionali) di procuratore generale presso la Corte d'appello.
Il giudice a quo afferma, in particolare, che la riserva relativa di legge comporta non soltanto che la disciplina della nomina agli uffici direttivi del pubblico ministero trovi la sua base nella legge, ma altresì che la legge indichi criteri idonei a delimitare la discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura, così da non lasciare all'arbitrio di tale organo la determinazione dei criteri stessi. Invece - sostiene sempre il Tribunale amministrativo regionale remittente - le leggi sull'ordinamento giudiziario hanno sempre omesso di indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura, con la conseguenza che i criteri applicati sarebbero espressione della discrezionalità amministrativa del Consiglio e non della discrezionalità legislativa del Parlamento.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il dott. Adolfo Beria di Argentine, controinteressato nel giudizio a quo, ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.
La difesa del dott. Beria di Argentine sostiene che la garanzia costituzionale di indipendenza del pubblico ministero non è in sostanza diversa da quella esistente per i giudici, ma - in ragione del fatto che l'attività dei pubblici ministeri non è giurisdizionale - è stata espressa in una norma ad hoc (l'art. 107, quarto comma, Cost.) posta a garanzia dell'ufficio piuttosto che dei singoli componenti: il che non implica l'esigenza di criteri diversificati per le nomine agli uffici giurisdizionali e per le nomine agli uffici del pubblico ministero.
3. - Nel suo atto di intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri riconosce che la riserva di legge caratterizza l'intero ordinamento giudiziario, ma esclude che tale principio renda necessarie regole così minute e puntuali da rendere automatiche le scelte relative agli atti che incidono sullo status dei magistrati, dove si richiedono apprezzamenti e valutazioni assolute o comparative.
Le disposizioni impugnate enunciano i criteri cui è tenuto ad uniformarsi il Consiglio superiore della magistratura nel conferimento di uffici, attraverso il richiamo ai concetti di "professionalità", di "merito", di "anzianità" e di "attitudini" all'incarico da assegnare.
Secondo la Presidenza del Consiglio, dunque, non può parlarsi né di arbitrio dell'organo di autogoverno né di violazione del principio della riserva di legge, tanto più che il Consiglio superiore della magistratura si è anche dato regole per la valutazione di ciascuno dei criteri suindicati.
Quanto all'altro profilo di illegittimità denunciato, relativo alla assenza di norme specifiche per il conferimento di incarichi direttivi nel settore requirente, la Presidenza del Consiglio osserva che non ricorrono ragioni per una peculiare normativa, oltre quella generale sugli incarichi direttivi, in quanto l'ordinamento giudiziario non prevede ruoli e carriere separate, ma anzi estende ai magistrati del pubblico ministero le medesime garanzie assicurate ad ogni altro appartenente all'ordine giudiziario.
D'altra parte, uno dei criteri valutabili nel conferimento degli incarichi è quello dell'attitudine all'incarico stesso e, pertanto, nell'ipotesi di ufficio direttivo requirente, il Consiglio superiore della magistratura dovrà valutare la specifica attitudine degli aspiranti, attraverso le esperienze professionali di ciascuno di essi.
Di qui la richiesta che la questione sia dichiarata infondata.
4. - Nell'imminenza dell'udienza di discussione ha presentato memoria la difesa del dott. Beria di Argentine insistendo sulle deduzioni già formulate.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento economico della magistratura nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) e dell'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui si riferiscono alla nomina di procuratore generale della Corte d'appello, per violazione degli artt. 107, commi terzo e quarto, 112 e 108, primo comma, della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale remittente le norme denunciate verrebbero a contrastare:
a) con il principio della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, in quanto non detterebbero alcuna effettiva disciplina suscettibile di individuare criteri idonei a delimitare la discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura nel conferimento degli uffici direttivi del pubblico ministero (con riferimento particolare alla nomina di procuratore generale presso le Corti d'appello);
b) con la particolare posizione di indipendenza riconosciuta dalla Costituzione al pubblico ministero, avendo stabilito identici criteri di scelta per il conferimento di tutti gli uffici direttivi, senza porre alcuna distinzione tra uffici direttivi giurisdizionali e uffici direttivi del pubblico ministero.
2. - La questione non è fondata.
L'art. 108, primo comma, della Costituzione stabilisce - a garanzia dell'indipendenza della magistratura - una riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario. Ed alle norme sull'ordinamento giudiziario rinvia l'art. 107, quarto comma, Cost. per l'individuazione delle garanzie riconosciute al pubblico ministero, che, nel nostro ordinamento, è "magistrato appartenente all'ordine giudiziario, collocato come tale in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni potere" (v. sent. n. 190/1970).
La riserva di legge che è stata posta dalla Costituzione a fondamento della disciplina sull'ordinamento giudiziario al fine di garantire lo status di indipendenza della magistratura sia giudicante che requirente concerne non solo l'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche il momento dell'investitura in tali funzioni, ivi compresa la nomina dei magistrati negli uffici direttivi. Con specifico riguardo al conferimento di tali uffici, dalla riserva di legge discende la necessità che sia la fonte primaria a stabilire i criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le conseguenti modalità della nomina. La riserva non implica, invece, che tali criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei requisiti dei diversi candidati. Pertanto, nella materia in esame, la riserva di legge sancita dalla Costituzione può dirsi rispettata ove il legislatore abbia provveduto ad enunciare criteri sufficientemente precisi, in grado di orientare la discrezionalità dell'organo decidente verso la scelta della persona più idonea.
Ora, l'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, prevede che, per il conferimento degli uffici direttivi in esso elencati (tra cui rientra quello di procuratore generale presso la Corte d'appello), si deve tener conto dei criteri dell'"anzianità" e del "merito". A sua volta l'art. 193 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nel dettare disposizioni sull'assegnazione delle sedi per promozione, opera un esplicito riferimento alle "attitudini" del magistrato in relazione al posto da assegnarsi. Ed alle attitudini all'esercizio di funzioni direttive fa anche riferimento il nucleo precettivo tuttora valido dell'art. 188 del citato r.d. n. 12 del 1941, come sostituito dall'art. 41 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511. I criteri così delineati si presentano - rispetto agli uffici da coprire - definiti e razionali, idonei cioè a condurre, attraverso una loro valutazione sia analitica che globale, alla corretta individuazione del più idoneo degli aspiranti.
Va, pertanto, escluso che le norme impugnate siano tali da incorrere nella violazione degli obblighi derivanti dalla riserva di legge disposta dalla Costituzione in tema di ordinamento giudiziario, sotto il profilo della insufficiente delimitazione della discrezionalità del Consiglio superiore della magistratura.
2. - Anche la censura di incostituzionalità riferita alla mancata previsione di una disciplina differenziata per la nomina del procuratore generale della Corte di appello rispetto a quella prevista per il presidente della stessa Corte non risulta fondata.
E invero il fatto che i criteri per la nomina degli uffici direttivi requirenti siano identici a quelli previsti per il conferimento di uffici direttivi giurisdizionali è frutto di una scelta del legislatore che non contrasta con la Costituzione, ove si consideri che l'art.107, ultimo comma, Cost., non impone, per questo aspetto, un trattamento differenziato tra magistratura giudicante e magistratura requirente. Del resto, risulta anche evidente come l'identità dei criteri generali fissati dal legislatore non venga necessariamente a tradursi nella uniformità delle valutazioni concrete, dal momento che lo spazio riservato al giudizio del Consiglio superiore della magistratura consente pur sempre di effettuare valutazioni differenziate per le due categorie di funzioni, tenendo conto delle attitudini e della idoneità dei candidati all'assolvimento dei compiti di direzione connessi, rispettivamente, agli uffici giurisdizionali e agli uffici requirenti.
Di qui l'infondatezza delle censure di legittimità costituzionale prospettate, sotto il profilo in esame, in riferimento agli artt. 107, commi terzo e quarto, e 108, della Costituzione.
Del tutto inconferente rispetto alla normativa impugnata appare, infine, il riferimento al principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale sancito dall'art. 112 Cost., che attiene all'esercizio delle funzioni del pubblico ministero e non all'organizzazione ed alla direzione degli uffici del settore requirente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento economico della magistratura nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato), e dell'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui si riferiscono alla nomina all'ufficio di procuratore generale della Corte d'appello, sollevata, in riferimento agli artt. 107, commi terzo e quarto, 112 e 108, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.