Sentenza n. 17 del 1991

 

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SENTENZA N.17

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

dott. Aldo CORASANITI                                                “

dott. Francesco GRECO                                                   “   

prof. Gabriele PESCATORE                                            “

avv. Ugo SPAGNOLI                                                      “

prof. Francesco Paolo CASAVOLA                                “

prof. Antonio BALDASSARRE                                      “

prof. Luigi MENGONI                                                     “

prof. Enzo CHELI                                                            “

dott. Renato GRANATA                                                 “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 66, 67, 73, primo comma, e 74, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aereonautica), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1990 e 27 febbraio 1990 dal T.A.R. per la Lombardia sul ricorso proposto da Lucci Paolo contro il Ministero della Difesa iscritta, al n. 569 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale dell'anno 1990;

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza 27 febbraio 1990, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sez. 3° - sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 66, 67, 73 primo comma, 74, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aereonautica), in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Riferiva l'ordinanza che il Ministro della Difesa, con decreto 27 ottobre 1983, n. 4232, collocava in congedo illimitato un Sergente dell'Aereonautica, in ferma volontaria, a causa di "cessazione della ferma per motivi disciplinari". Era accaduto che il Sergente, nel contesto di un banale litigio, aveva offeso e minacciato un sottufficiale di grado più elevato, in presenza di altri militari. Il processo penale avviato dall'Autorità giudiziaria militare era stato dichiarato improcedibile per mancanza della richiesta del Comandante del Corpo.

Era stata disposta allora una formale inchiesta di carattere disciplinare, che si era conclusa con il ricordato provvedimento ministeriale: avverso il quale l'interessato aveva interposto ricorso al T.A.R. per vari motivi, che il Tribunale aveva respinto, salvo a far propria e sollevare la questione di legittimità costituzionale di cui s'è detto.

1.2. - L'ordinanza, da una parte, assume a "tertium comparationis" la legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare) che, agli artt. 13, 14 e 15, prevede le "sanzioni disciplinari di corpo"; e, dall'altra, all'interno stesso della legge 31 luglio 1954, n. 599, impugnata, pone a raffronto l'ipotesi in esame (art. 63, lett. c), in relazione al primo inciso del primo comma dell'art. 66) con quella per cui è prevista la perdita del grado (art. 63, lett. d), in relazione al secondo inciso dell'art. 66).

Quanto alla prima comparazione, rileva il Tribunale rimettente che, mentre per la sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore l'art. 15 della legge n. 382 del 1978 prevede il parere di una Commissione collegiale, e l'obbligatoria assistenza di un difensore, invece per un provvedimento espulsivo, che fa cessare in tronco il rapporto di servizio del sottufficiale, come quello inflitto nella specie, sono escluse le dette garenzie: ed il provvedimento è assunto discrezionalmente dal Ministro a seguito della proposta formulata dall'Autorità militare sulla base delle conclusioni di un'inchiesta condotta da un ufficiale inquirente.

Secondo il Tribunale, la consegna di rigore, che si risolve nell'ambito della disciplina senza alcuna conseguenza in ordine alla prosecuzione del rapporto, va considerata meno grave della cessazione della ferma volontaria (o della rafferma) per motivi disciplinari, che comporta la risoluzione del rapporto di servizio: e, tuttavia, solo in ordine alla prima, la legge n. 382 del 1978 prevede per il militare la duplice garenzia del procedimento disciplinare innanzi ad apposita Commissione (organo collegiale distinto ed autonomo dall'autorità militare) e l'assistenza obbligatoria di un difensore.

Pari discriminatorio trattamento differenziato si verifica, peraltro - osserva l'ordinanza - all'interno della stessa legge n. 599 del 1954, per la quale militari della stessa categoria (sottufficiali in ferma volontaria o in rafferma), passibili per le stesse mancanze di identica sanzione espulsiva (cessazione della ferma), siano sottoposti a procedura disciplinare più garantistica (Commissione di disciplina e facoltà di assistenza tecnica) soltanto nel caso che al provvedimento espulsivo si accompagni anche la perdita del grado. Mentre - secondo il Tribunale remittente - il momento più grave delle rispettive sanzioni è quello comune della risoluzione del rapporto di servizio.

Tutto questo appare illogico ed irrazionale al giudice a quo e, come tale, incompatibile con il principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione.

Del resto - si osserva - la cognizione della Commissione di disciplina costituisce il naturale sviluppo dell'inchiesta formale (preordinata alla mera acquisizione di elementi istruttori) anche nel settore dell'impiego civile, dove è prevista con carattere di generalità per gli illeciti più gravi.

Si chiede, perciò, alla Corte una declaratoria d'illegittimità degli articoli denunciati, nella parte in cui non prevedono il giudizio disciplinare innanzi alla Commissione di disciplina e l'assistenza obbligatoria di un difensore anche per il sottufficiale passibile della sanzione di stato di cui all'art. 40 lett. c), richiamata dall'art. 63, lett. b) (cessazione della ferma per motivi disciplinari).

2. - È intervenuto nel giudizio innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi infondata la questione.

Secondo l'Avvocatura "non si rinvengono nelle disposizioni denunciate elementi di irrazionalità o di ingiustificata disparità di trattamento, trattandosi di disciplina differenziata rispetto a situazioni giuridiche e fattuali diverse". Il legislatore, perciò, avrebbe esercitato, in ordine a quelle diverse situazioni, il suo insindacabile potere discrezionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia lamenta che la sanzione disciplinare di stato della "cessazione della ferma per motivi disciplinari", contemplato per i sottufficiali dei tre corpi dall'art. 63 lett. b) della legge 31 luglio 1954, n. 599, non preveda, negli articoli impugnati, un procedimento disciplinare garantistico affidato alla cognizione di una Commissione di disciplina, innanzi a cui l'inquisito debba essere obbligatoriamente assistito da un difensore.

Garanzie che, invece, sono concesse, nell'ambito della stessa legge, quando alla "cessazione della ferma", debba accompagnarsi la perdita del grado: oppure, nel caso delle sanzioni disciplinari di corpo, contemplate dalla legge 11 luglio 1978, n. 382, quando debba essere inflitta la "consegna di rigore".

Rileva il giudice rimettente che, nel primo caso, la gravità nelle due distinte sanzioni è rappresentata dalla comune "cessazione della ferma" che risolve il rapporto di servizio e cagiona al sottufficiale il collocamento in congedo. Sicché non appare razionale l'attribuzione di garanzie nel procedimento disciplinare soltanto quando alla risoluzione del rapporto s'accompagni la perdita del grado.

Quanto poi alla "consegna di rigore", si tratterebbe di sanzione di corpo che si risolve tutta nell'ambito disciplinare senza alcuna conseguenza sul rapporto di servizio, sicché non può comunque non essere considerata meno grave rispetto al provvedimento espulsivo, anche se le due sanzioni sono di specie diversa, ma pur sempre attinenti alla disciplina.

Deriverebbe da tali rilievi l'illogicità e l'irrazionalità delle norme denunciate in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

L'Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, trattandosi di situazioni diverse su cui il legislatore ha esercitato le sue scelte discrezionali.

2. - In realtà, che le situazioni poste a raffronto dal Tribunale rimettente presentino delle diversità rispetto alla situazione oggetto dell'ordinanza di rimessione, non può essere messa in dubbio. L'una, la consegna di rigore, appartiene addirittura ad una specie diversa di sanzioni disciplinari (le sanzioni di corpo) ed è contemplata da distinta legge (la n. 382 del 1978); l'altra, la perdita del grado per rimozione, prevista alla lett. d) dell'art. 63 della legge n. 599 del 1954, appartiene bensì alla stessa specie di sanzioni di stato, ma ha caratteri ed effetti diversi.

Sennonché, trattandosi pur sempre di sanzioni che attengono alla disciplina, non è la sussistenza di una mera diversità sul piano formale che può giustificare un trattamento differenziato, dovendosi considerare altresì le conseguenze che le rispettive sanzioni determinano sul piano sostanziale dello "status" del sottufficiale.

Orbene, per la sanzione di corpo rappresentata dalla "consegna di rigore" è giusto che sia prevista la maggiore delle garanzie, quale il procedimento disciplinare innanzi ad una Commissione di disciplina e l'obbligatoria assistenza di un difensore. Si tratta, infatti, di una sanzione che limita la libertà personale del sottufficiale fino ad un massimo di quindici giorni, anche se di norma li trascorrerà nel suo alloggio.

Detto questo, però, deve riconoscersi che è pure nel giusto il Tribunale a quo quando considera che, tuttavia, ogni conseguenza di questa sanzione si risolve nell'ambito della disciplina, con privazione d'uscita per qualche giorno, senza alcuna incidenza sul rapporto di servizio, che resta intatto, né sui diritti della quiescenza.

Mentre sicuramente più grave di una punizione disciplinare di corpo, qualunque essa sia, è la perdita definitiva dell'impiego a causa della cessazione della ferma, disposta dal Ministro discrezionalmente sulla base di un'inchiesta condotta da un ufficiale inquirente, designato dal Comando da cui il militare dipende.

Altrettanto dicasi per l'altra sanzione disciplinare di stato (pure assistita dalle maggiori garanzie), vale a dire "la perdita del grado per rimozione", prevista alla lett. d) dello stesso art. 63, che richiama il primo comma, n. 6, dell'art. 60.

A proposito di questa sanzione, tuttavia, non è che essa sia applicabile - come mostra di ritenere l'ordinanza di rimessione "per un illecito suscettibile di comportare, in aggiunta alla sanzione espulsiva, la perdita del grado". In realtà, come chiaramente risulta dall'art. 40, primo comma, lett. i) (sempre della legge n. 599 del 1954), la sanzione espulsiva è conseguenza della perdita del grado. D'altra parte, le corrispettive ulteriori conseguenze delle due sanzioni sono poi le stesse, giacché per entrambi è prevista la perdita del premio di congedamento (art. 42 della legge), salvo che, per anzianità di servizio, il sottufficiale non abbia conseguito diritto a pensione.

Semmai è da ricordare che stranamente il sottufficiale cessato dalla ferma volontaria per motivi disciplinari (lettera " b)" dell'art. 40) non può fare domanda di impiego civile ai sensi dell'art. 57, perché vi osta il disposto del primo comma dell'art. 58, mentre lo potrebbe colui che è cessato dalla ferma a causa di perdita del grado per rimozione, giacché il detto comma dell'art. 58 non lo contempla.

A parte siffatta anomalia, comunque, è certo che l'illecito disciplinare che comporta la perdita del grado non può non rivestire maggiore gravità rispetto ai "motivi disciplinari" che portano alla semplice cessazione della ferma, dato che "gli altri motivi disciplinari" che possono determinare la perdita del grado ai sensi del n. 6 dell'art. 60 sono posti dalla legge in alternativa alla "violazione del giuramento", e perciò rivestono equivalente gravità.

3. - E, tuttavia, l'irrazionalità messa in luce dal giudice rimettente sussiste perché la sola apprezzabile differenza negli effetti delle due distinte sanzioni è data dal disposto di cui all'art. 41 della ripetuta legge n. 599 del 1954, secondo il quale il sottufficiale che cessa dal servizio prima del termine della ferma volontaria per una delle cause previste dall'art. 40 (eccettuata la perdita del grado) viene collocato nella categoria dei sottufficiali di complemento: mentre ciò non può ovviamente avvenire se il sottufficiale è stato ridotto alla condizione di soldato. Sicché, in sostanza, pur con i rilievi che sopra sono stati espressi, è nel vero l'ordinanza di rimessione quando sottolinea che il deferimento alla Commissione di disciplina e l'assistenza del difensore sono concessi unicamente in vista della perdita del grado.

Ora, si può comprendere che - specie nel 1954 - l'ordinamento militare considerasse preminentemente dannosa la perdita del grado. Sta di fatto, però, che nella realtà la differenza si riduce all'aspetto morale di conseguire o non la collocazione nella categoria dei sottufficiali di complemento, senza alcun beneficio economico: aspetto morale peraltro recuperabile a domanda, e previo parere favorevole del Tribunale Supremo militare (oggi della Speciale Sezione della Corte di Cassazione), quando l' ex sottufficiale abbia conservato ottima condotta morale e civile per almeno cinque anni dalla data della rimozione. In tal caso, infatti, egli può essere reintegrato nel grado (art. 62, n. 3, legge n. 599 del 1954).

Ciò che resta, pertanto, di veramente grave e definitivo per entrambi i casi è la comune risoluzione del rapporto di servizio e il collocamento in congedo. Ma singolarmente soltanto colui che ha commesso l'illecito più grave godrà della garanzia di un procedimento innanzi alla Commissione di disciplina dove potrà essere assistito da un difensore; chi, invece, ha commesso infrazioni meno gravi sarà affidato senza difesa all'inchiesta formale dell'ufficiale inquirente, sulle cui risultanze poi l'Autorità che l'ha disposta formulerà le sue proposte al Ministro o assumerà le decisioni di sua competenza. E, tuttavia, quest'ultimo potrà subire la stessa sostanziale grave sanzione della cessazione della ferma volontaria e conseguente collocamento in congedo ad opera di discrezionale provvedimento del Ministro che, a sua volta, non potrà che riferirsi - com'è avvenuto nella specie - alle risultanze dell'inchiesta formale.

Certo, il Ministro può anche, volendo, investire la Commissione, ma è un potere assolutamente discrezionale, di fronte al quale il sottoposto ad inchiesta non ha alcuna garanzia.

Per tutte le ragioni fin qui espresse la doglianza deve essere per gran parte accolta, dovendosi ritenere che la situazione attuale, così come prevista nell'art. 66 della legge impugnata, è sicuramente lesiva del principio di eguaglianza, anche nel suo essenziale aspetto di razionalità. Del resto, nel settore dell'impiego civile, quando l'inchiesta disciplinare abbia messo in evidenza elementi che possono comportare la risoluzione del rapporto d'impiego, è previsto il giudizio di una Commissione di disciplina che garantisca un giusto processo e l'assistenza di un difensore.

Né sono ravvisabili ragioni particolari all'ordinamento militare per ritenere che si debba prescindere dall'osservanza di un principio che assicura sostanzialmente, per il suo innegabile collegamento, anche l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, sul che non può negativamente incidere l'apparente precarietà del rapporto di servizio, basata su ferma volontaria e rafferma. Innanzitutto perché quel rapporto, così come costituito, fonda nel volontario il buon diritto al suo mantenimento fino al naturale termine di scadenza sicché, per dimetterlo prima, l'amministrazione deve garantirgli il giusto procedimento e la difesa. Tanto più poi che, a garantire il particolare spirito dell'amministrazione militare, sono pur sempre militari i componenti della Commissione di disciplina, e militare è lo stesso difensore.

Ma, in secondo luogo, anche perché solo apparentemente il rapporto è precario: in realtà il volontario, mantenendo buona condotta, può raggiungere, attraverso successive rafferme, anni di servizio tali da assicurargli il trattamento pensionistico, non diversamente dai sottufficiali in servizio permanente.

4. - È necessario, tuttavia, sottoporre ad attento esame gli articoli impugnati per decidere se l'accoglimento della sollevata questione li riguardi effettivamente tutti.

Si è già accennato che la parziale illegittimità va senz'altro dichiarata in ordine all'art. 66 della legge che, nel secondo inciso del primo comma, limita il diretto deferimento a Commissione di disciplina, da parte dell'Autorità militare che ha disposto l'inchiesta, al solo caso in cui si ritenga il sottufficiale passibile di perdita del grado: e va da sé che, una volta inserita nel detto inciso anche l'ipotesi della "cessazione della ferma volontaria o della rafferma per motivi disciplinari", resterà eliminata automaticamente dal primo inciso la lettera "b" dell'art. 63 ivi richiamato, che è appunto la sanzione trasferita alla disciplina del secondo inciso.

Non si vede, invece, in che consista l'asserita illegittimità dell'art. 67, che stabilisce una regola generale garantistica, cui deve ispirarsi anche il Ministro nell'esercizio della facoltà prevista nel primo inciso del primo comma dell'art. 66, di cui si è testé parlato. Un'inesistente illegittimità, dunque, cui comunque non avrebbe più alcun interesse chi ottiene la correzione dell'art. 66 nei sensi sopra precisati.

Altrettanto deve dirsi per l'art. 73 che, una volta ottenute per la sanzione in esame le garanzie di un procedimento innanzi alla Commissione di disciplina, diventa automaticamente applicabile anche al caso di specie: la questione, perciò, resta assorbita nella declaranda illegittimità in parte qua dell'art. 66.

Quanto alla questione relativa all'assistenza obbligatoria del difensore, deve dirsi innanzitutto che essa non potrebbe, comunque, essere riferibile all'art. 74, ma semmai all'art. 73 dove si parla appunto della facoltà del sottufficiale di farsi assistere innanzi alla Commissione da un difensore da lui scelto o, in mancanza, designato dal Presidente della Commissione di disciplina. Sennonché la questione non può essere accolta, sia perché l'assistenza obbligatoria di un difensore, prevista per la sanzione disciplinare di corpo della "consegna di rigore" dall'art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382, attiene al principio di libertà personale, garantito dall'art. 13 della Costituzione, che la consegna di rigore coinvolge: sia perché, fuori di questa ipotesi, anche l'ordinamento degli impiegati civili dello Stato, che l'ordinanza di rimessione pure richiama, prevede per l'impiegato soltanto la facoltà, ma non l'obbligo, di farsi assistere da un difensore innanzi alla Commissione di disciplina (art. 73 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3).

Limitatamente, perciò, agli artt. 67 e 74 della legge impugnata la questione è infondata.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 66, primo comma, secondo inciso, della legge 31 luglio 1954 n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aereonautica), nella parte in cui non prevede il diretto deferimento a Commissione di disciplina, da parte dell'Autorità militare che ha disposto l'inchiesta formale, anche quando, in base alle risultanze dell'inchiesta, ritenga che al sottufficiale sia da infliggere la sanzione indicata alla lettera b) dell'art. 63 legge citata, anziché farne proposta al Ministro;

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 67 e 74, primo comma, stessa legge, sollevata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con ordinanza 27 febbraio 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Luigi MENGONI - Enzo CHELI – GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 18 gennaio 1991.