Sentenza n. 494 del 1990

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SENTENZA N.494

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 25 maggio 1990, depositato in cancelleria il 6 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito l) nota Provveditorato regionale alle opere pubbliche - Sezione territoriale di Pavia - prot. n. 2729 in data 13 marzo 1990 (pervenuta alla Regione il 28 marzo 1990) avente ad oggetto <Dighe sul Rio Boatti in Comune di Borgo Priolo, prov. Pavia, oggetto di utilizzazione da parte dell'Azienda Agricola S. Andrea, via S. Martino, 3 - Monza - Ordinanza di demolizione da parte del Sindaco di Borgo Priolo-Parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato>; 2) nota dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano n. 3296 - CS n. 161/90 del 22 febbraio 1990, avente il medesimo oggetto, ed iscritto al n. 17 del registro conflitti 1990.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 ottobre 1990 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

udito l'avv. Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 25 maggio 1990, la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione contro lo Stato: a) in relazione alla nota del Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Milano, Sez. terr. Pavia - presumibilmente Sezione delle opere idrauliche - in data 13 marzo 1990, con la quale le si attribuiva la competenza a "regolarizzare" la situazione abnorme. sotto il profilo amministrativo ed in particolare sotto quello della tutela della incolumità pubblica, di due dighe poste a sbarramento del corso del Rio Boatti, in località Borgo Priolo, e delle relative derivazioni mediante una concessione, o meglio, in relazione al segnalato pericolo per l'incolumità pubblica, mediante l'ordine di demolizione dei manufatti; b) in relazione all'allegato, conforme parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano in data 22 febbraio 1990.

La Regione ricorrente premette che con nota in data 12 febbraio 1990 - non prodotta in atti - il detto Provveditorato (da ritenere organo statale), nel chiedere il parere ora impugnato alla Avvocatura distrettuale dello Stato, aveva precisato: che le dighe avevano un'altezza superiore a m. 10; che esse non risultavano autorizzate, malgrado che l'Azienda agricola S. Andrea, utente delle derivazioni, invocasse disposizioni del Ministero dell'agricoltura e foreste tendenti a favorire la formazione di laghetti collinari; che le dighe stesse non offrivano le garanzie volute dalla legge nè in ordine alla costruzione nè alla gestione, ed anzi, per le condizioni in cui si trovavano a causa dell'accumulo di detriti, erano esposte a pericolo di cedimento; che, pertanto si poneva la necessità di eliminare i due manufatti.

Ad avviso della Regione, trattandosi di pericolo per l'incolumità pubblica, la competenza a provvedere alla verifica del pericolo e all'adozione delle conseguenti misure, anche eliminative, spetta allo Stato, e non già ad essa Regione, come affermato con gli atti impugnati.

Al riguardo la ricorrente si richiama:

a) al d.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, recante disposizioni in materia di dighe di ritenuta, applicabile alle dighe alte più di 10 metri ed a quelle che comunque determinino un invaso superiore ai centomila metri cubi, ma anche, a giudizio della competente Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, a dighe minori: tale normativa attribuirebbe la competenza in materia agli uffici dei Genio civile (in allora non trasferiti dallo Stato alla Regione e - sembra sostenere la Regione - non trasferiti neppure con l'art. 12 del d.P.R. n. 8 del 1972, nè con il d.P.R. n. 616 del 1977, allegata Tabella A, almeno per quel che concerne le Sezioni preposte alle opere idrauliche). In particolare, la Regione si richiama all'art. 18 del detto d.P.R. n. 1363 del 1959, che demanda i provvedimenti di urgenza, conseguenti al dubbio sulla stabilità dello sbarramento, al Genio civile, salvo, come disposto al secondo comma, il ricorso al Ministero dei lavori pubblici sentita la competente sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici;

b) al d.P.R. n. 616 del 1977, che pur delegando, all'art. 90, alle Regioni anche le funzioni di polizia delle acque, riserva allo Stato, all'art. 91, comma primo, n. 2, la materia delle dighe di ritenuta (per le quali sarà provveduto in sede di riforma della disciplina delle acque);

c) alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) che, all'art. 10, comma quarto, assegna alle regioni le attribuzioni di cui al d.P.R. n. 1363 del 1959 relativamente ai soli sbarramenti che non superano i 10 metri di altezza e che determinano un invaso inferiore a 100.000 metri cubi (salvi, anche in tal caso, gli sbarramenti al servizio di grandi derivazioni di acqua di competenza statale);

d) all'art. 4 del d.P.R. n. 616 del 1977, che riserva allo Stato, anche nelle materie di competenza regionale, le funzioni concernenti la sicurezza pubblica;

e) all'implicito riferimento, operato dallo stesso Provveditore regionale nel sollecitare più volte in passato la demolizione di due manufatti, ai poteri di ordinanza del Sindaco ex art. 3 T.U. legge com. e prov., poteri attribuiti al Sindaco come Ufficiale del Governo;

f) al riferimento, fatto dalla stessa Avvocatura dello Stato con l'atto impugnato, all'art. 2 del rd. 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie).

2.- La Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentata dall'Avvocatura generale dello Stato, nel costituirsi, peraltro tardivamente, ha eccepito l'inammissibilità dei conflitto perchè proposto contro atti non invasivi (della competenza regionale) e comunque costituenti mere manifestazioni di opinione.

In prossimità dell'udienza ha tuttavia depositato ampio carteggio contenente gli atti impugnati, nonchè comunicazioni intervenute fra il Provveditorato regionale, la Regione, e la stessa azienda agricola utente delle derivazioni, ed in particolare:

1) la nota del Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Milano, Sez. Pavia-Cremona, al Ministero dei lavori pubblici del 12 giugno 1990, ove si legge che "questa Sezione (presumibilmente quella preposta alle opere idrauliche) riconosce la propria esclusiva competenza sulla sorveglianza delle opere in argomento e precisa che la nota n. 2729 del 13 marzo 1990 diretta all'Amministrazione regionale non era tesa "a sollevare (sic: si vuole intendere a determinare) conflitto di attribuzione, bensì a segnalare la costruzione (delle opere), ritenuta abusiva, alla Regione", al fine dell'eventuale esercizio da parte di questa delle sue competenze in materia ambientale e/o urbanistica;

2) la nota del detto Provveditorato all'Avvocatura generale dello Stato del 26 luglio 1990, con la quale si dà atto che, secondo i dati trasmessi dallo stesso utente, almeno uno dei manufatti ha un'altezza superiore a 10 metri, sicchè lo sbarramento rientra nelle competenze statali.

3.- All'udienza pubblica del 9 ottobre 1990 la Regione ricorrente, fatta propria la documentazione prodotta dall'Avvocatura e richiestane l'acquisizione agli atti, ha concluso perchè sia dichiarata cessata la materia del contendere.

Considerato in diritto

L'atto che ha dato luogo al conflitto sollevato dalla Regione Lombardia va individuato nella nota 13 marzo 1990 del Provveditorato regionale alle opere pubbliche (presumibilmente la sezione per le opere idrauliche, rimasta organo statale pur dopo il trasferimento degli uffici operato con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8-si veda l'art. 12-e con il d.P.R. n. 616 del 1977, Tabella A, n. 3) con la quale tale autorità ha negato la propria competenza in ordine alla vigilanza sulle dighe poste a sbarra mento del Rio Boatti per quanto concerne la valutazione della loro stabilità e dell'eventuale connessa ricorrenza di un pericolo per l'incolumità pubblica, ed ha affermato la competenza regionale al riguardo.

In tale atto infatti la Regione ha propriamente mostrato di ravvisare il momento centrale e rilevante di un comportamento statale volto a ledere la sua autonomia per le conseguenze negative quanto a responsabilità e a spese, che l'affermazione della sua competenza in ordine alle opere e sotto i profili anzidetti avrebbe potuto importare a suo carico. La lettera dell'Avvocatura distrettuale dello Stato 22 febbraio 1990 al Provveditorato regionale, da questo trasmessa alla Regione insieme alla nota 13 marzo suindicata, racchiude un mero parere, posto dal Provveditorato a sostegno della determinazione adottata, ed è stata anch'essa congiuntamente impugnata in quanto rappresenta un elemento funzionale alla determinazione in parola.

Orbene, con successiva nota 26 luglio 1990 la stessa Sezione del Provveditorato alle opere pubbliche ha riconosciuto come propria in via esclusiva la competenza già negata con la nota 13 marzo 1990, facendo espresso riferimento ad essa e chiarendone il significato nel senso di una segnalazione alla Regione circa l'abusività delle opere in argomento anche sotto il profilo ambientale e urbanistico, ai fini dell'eventuale esercizio, da parte della Regione stessa, delle proprie competenze in tali materie.

L'Avvocatura generale dello Stato, a sua volta, nel produrre la detta nota del Provveditorato 13 marzo 1990, ha esibito anche la nota del Provveditorato del 26 luglio 1990.

Il diniego della competenza propria e la correlativa affermazione di quella regionale, come sopra espressi dallo Stato, devono dunque intendersi revocati mediante l'univoco riconoscimento, da parte dello Stato stesso, della propria esclusiva competenza per quanto concerne la valutazione della stabilità delle opere e dei provvedimenti necessari a tutela della incolumità pubblica, con il conseguente venir meno della materia del contendere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso indicato in epigrafe.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Aldo CORASANITI, REDATTORE

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/10/90.

Depositata in cancelleria il 22/10/90.