ORDINANZA N.483
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma secondo, del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, di regime fiscale delle manifestazioni sportive e cinematografiche e di riordinamento della distribuzione commerciale), nel testo sostituito dalla legge di conversione 29 novembre 1982, n. 887, promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Diana Roberto contro il Comune di Sacile ed altra, iscritta al n. 369 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25/1a serie speciale dell'anno 1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 1990 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.
Ritenuto che nel ricorso promosso da Diana Roberto nei confronti del Comune di Sacile, avverso il diniego di rilascio di autorizzazione ad attivare un esercizio commerciale, il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza emessa il 30 novembre 1989, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, dell'art. 8, secondo comma, del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697, nel testo sostituito dalla legge di conversione 29 novembre 1982, n. 887, il quale dispone la sospensione del rilascio di autorizzazioni all'apertura di nuovi esercizi commerciali per i comuni di oltre 5000 abitanti sprovvisti del piano di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426, ed alla cui stregua è stato adottato il provvedimento di diniego oggetto di impugnativa;
che, ad avviso del giudice a quo, la questione appare non manifestamente infondata, in quanto la disposizione censurata: a) si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poichè crea una ingiustificata disparità di trattamento fra i cittadini dei comuni con oltre 5000 abitanti che si sono dotati del piano di commercio e quelli dei rimanenti comuni con meno di 5000 abitanti che ciò non hanno fatto; b) fa ricadere sul cittadino incolpevole le conseguenze dell'inerzia delle amministrazioni comunali nel l'adottare il piano di commercio, così confliggendo con il principio della personalità della responsabilità, che l'art. 27 della Costituzione stabilisce espressamente per la responsabilità penale, e che l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 estende alla responsabilità amministrativa; c) contrasta con il principio di buon andamento dell'amministrazione, fissato dall'art. 97 della Costituzione, in quanto fa ricadere su altri le conseguenze della sua inosservanza;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza della questione.
Considerato, quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, che la previsione di una disciplina differenziata, in relazione all'avvenuta adozione o no del piano per lo sviluppo e l'adeguamento della rete commerciale non è ingiustificata, nè se riferita alla diversa consistenza demografica dei Comuni (con più o meno di 5000 abitanti), attesa, per questa parte, la ragionevolezza di una distinzione fondata su realtà socio economiche diverse, nè se riferita alla mancata adozione del piano da parte di Comuni con eguale consistenza demografica (con 5000 o più abitanti), attesa, per questa seconda parte, la ragionevolezza di una distinzione fra situazioni nelle quali una pianificazione è garanzia di ordine e di non arbitrarietà nel rilascio delle autorizzazioni, e situazioni nelle quali mancherebbe la detta garanzia;
che non pertinente è il richiamo all'art. 27, primo comma, della Costituzione, poichè il giudizio a quo concerneva esclusivamente la legittimità o meno del diniego di autorizzazione, sicchè una responsabilità del ricorrente -da collegare ad una eventuale attivazione dell'esercizio nonostante la carenza di autorizzazione-è da ritenere meramente ipotetica; senza dire che, comunque, tale eventuale illecita attivazione sarebbe pur sempre riferibile ad una condotta personale del soggetto sfornito di autorizzazione;
che nessun contrasto è infine ravvisabile con l'art. 97 della Costituzione, poichè, al contrario, la disposizione impugnata appare finalizzata proprio ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione, condizionando il rilascio di nuove autorizzazioni alla preventiva adozione di un piano, predisposto, come già osservato, al fine di assicurare ordine e di evitare arbitri nel rilascio stesso; che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, dell'art. 8, secondo comma, del decreto-legge 1° ottobre 1982, n. 697, convertito, con modificazioni, nella legge 29 novembre 1982, n. 887, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/10/90.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Aldo CORASANITI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 22/10/90.