Sentenza n. 457 del 1990

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SENTENZA N.457

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, lett. a, della legge 10 giugno 1940, n. 653 (Trattamento degli impiegati privati richiamati alle armi), promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 1990 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Coliva Claudio e il Credito Romagnolo ed altro, iscritta al n. 256 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Francesco Greco.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio civile promosso dal dott. Claudio Coliva, dipendente del "Credito Romagnolo", per ottenere la condanna del proprio datore di lavoro al pagamento in suo favore di una somma pari alla retribuzione per tre giornate nelle quali era stato assente dal lavoro per essere sottoposto a visita di idoneità al servizio militare incondizionato ai fini del richiamo alle armi, l'adito Pretore di Bologna, coli ordinanza del 31 gennaio 1990 (R.0. n. 256 del 1990), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, lett. a), della legge 10 giugno 1940, n. 653, nella parte in cui non prevede il pagamento di una indennità all'impiegato privato che sia sottoposto a visita medica per il riconoscimento dell'idoneità al servizio militare incondizionato ai fini del richiamo alle armi, non estendendo a tale ipotesi il trattamento indennitario previsto in caso di richiamo alle armi.

Ad avviso del giudice a quo, siffatta equiparazione sarebbe esclusa anche da un precedente giurisprudenziale, sia pure non recente (Cass., n. 2961 del 1958), secondo il quale le disposizioni di legge che garantiscono il diritto alla retribuzione ai lavoratori richiamati alle armi hanno carattere eccezionale e non possono, perciò, trovare applicazione oltre i casi tassativamente previsti).

Nè a diversa soluzione sembra al remittente potersi pervenire alla stregua dell'art. 4 della legge n. 370 del 1955, che, richiamandosi agli artt. 2110 e 2111, secondo comma, dei codice civile, garantirebbe solo per il caso di richiamo alle armi lo stesso trattamento previsto per il lavoratore assente per malattia.

La mancata equiparazione, ai fini della erogazione dell'indennità, al richiamo alle armi contrasterebbe, secondo il Pretore di Bologna, con l'art. 3 della Costituzione, comportando una ingiustificato discriminazione, posto che l'art. 52, secondo comma, della Costituzione impone l'obbligo del servizio militare, e che le visite mediche di riconoscimento della idoneità costituiscono accertamenti prodromici ai fini del richiamo alle armi.

2.- L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

3.- Nel giudizio é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza dei Presidente del Consiglio dei ministri, la quale, premesso che più puntuale, rispetto al riferimento all'art. 3 della Costituzione, sembrerebbe quello dell'art. 52, secondo comma, della Costituzione, pur richiamato dal giudice a quo, ha osservato che il medesimo art. 52, secondo comma, quando assicura, in caso di prestazione di servizio militare, la "posizione di lavoro" del cittadino, non si riferisce soltanto alla conservazione del posto di lavoro, ma a tutte le posizioni che nascono dal rapporto di lavoro subordinato, ivi compreso il diritto dell'impiegato ad essere indennizzato per le giornate di lavoro perse in occasione della visita medica disposta dall'autorità militare.

La nozione di "richiamo alle armi" andrebbe, pertanto, allargata a tutte le attività imposte e necessariamente prodromiche ad esso. In questo senso, la questione sollevata sarebbe infondata.

Considerato in diritto

1.-Il Pretore dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, lett. a), della legge 10 giugno 1940, n. 653, nella parte in cui non estende alla ipotesi della visita medica di idoneità al servizio militare incondizionato, ai fini del richiamo alle armi, il trattamento indennitario previsto per lo stesso richiamo.

Posto che l'art. 52, secondo comma, della Costituzione prevede l'obbligo del servizio militare e che le visite mediche costituiscono accertamenti prodromici per il richiamo alle armi, la mancata equiparazione ai fini del trattamento economico delle due situazioni (visite mediche e richiamo alle armi) vizia la disposizione denunciata di evidente irrazionalità, onde la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

2. - La questione non è fondata per quanto si dirà.

L'art. 4 della legge 3 maggio 1955, n. 370 (Conservazione del posto ai lavoratori richiamati alle armi), statuisce che, per i rapporti di lavoro dei prestatori di opera, i quali, all'atto del richiamo alle armi per qualunque esigenza delle forze armate, sono alle dipendenze di un privato datore di lavoro, si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 2111 del codice civile in relazione al primo e terzo comma dell'art. 2110 dello stesso codice. Tali disposizioni stabiliscono che ai suddetti è dovuta la retribuzione o una indennità nella misura stabilita dalle leggi speciali. In base alla disposizione denunciata (art. 1 della legge 10 giugno 1940, n. 653), per i primi due mesi l'indennità mensile è di importo pari alla retribuzione e per il restante periodo, fino alla fine del richiamo alle armi, nel caso in cui il trattamento economico militare sia inferiore alla retribuzione inerente all'impiego, l'indennità mensile è pari alla differenza tra i due trattamenti.

Dette disposizioni costituiscono attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 52 della Costituzione secondo cui il servizio militare è obbligatorio e il suo adempimento, per quello che interessa, non deve pregiudicare la posizione di lavoro del cittadino.

La posizione di lavoro comprende non solo il posto di lavoro che è conservato, ma anche la retribuzione percepita.

E proprio in adeguamento al precetto costituzionale richiamato, logicamente, deve essere conservata la retribuzione non solo nel periodo di svolgimento del servizio militare, ma anche per i giorni delle visite mediche dirette ad accertare l'idoneità del prestatore di lavoro richiamato alle armi all'adempimento del servizio militare.

Le dette visite mediche costituiscono anche esse un'attività imposta prodromica al servizio militare e le assenze del lavoratore dall'impiego sono da ritenersi direttamente collegate al richiamo alle armi, costituendone una conseguenza, onde l'obbligo del datore di lavoro di erogare le provvidenze previste dall'ordinamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, lett. a), della legge 10 giugno 1940, n. 653 (Trattamento degli impiegati privati richiamati alle armi), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco GRECO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 16/10/90.