SENTENZA N.432
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 450-bis del codice di procedura penale previgente, promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1990 dal Tribunale di Milano, nel procedimento penale a carico di Dal Torrione Giovanni Carlo, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 13 marzo 1990 il Tribunale di Milano sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 450-bis cod. proc. pen. 1930 con riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Lamenta il Tribunale, in relazione alla situazione processuale sottoposta al suo esame, che le persone prosciolte in istruttoria, con sentenza non più soggetta ad impugnazione, non possano essere liberamente sentite nei procedimenti penali dov'erano state imputate dello stesso reato o di un reato connesso. Nè tanto meno possono essere sentite come testi, stante l'espresso divieto contenuto nell'ultima parte dell'art. 348 stesso codice.
Secondo il Tribunale, il legislatore del nuovo codice avrebbe seguito ben diversa disciplina: e l'ordinanza cita in proposito gli artt. 197 e 210 cod. proc. pen. vigente.
E poichè la situazione del codice abrogato sarebbe per tal modo lesiva del diritto di difesa, in quanto preclude all'imputato di far sentire persona che potrebbe essere in grado di sciogliere i nodi della sua imputazione, si chiede alla Corte di eliminare la patente illegittimità.
L'ordinanza non lo dice, ma evidentemente deve trattarsi di processo nato sotto il codice abrogato che, alla data di entrata in vigore dei nuovo codice, si trovava nelle condizioni, di cui all'art. 241 disp. transitorie, per proseguire con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti.
Considerato in diritto
1. - Secondo il Tribunale di Milano, l'art. 450-bis cod. proc. pen. 1930, che richiama le disposizioni dell'art. 348-bis stesso codice, non consentirebbe la libera audizione delle persone prosciolte in istruttoria, con sentenza non più soggetta ad impugnazione, nei procedimenti penali nei quali erano state imputate dello stesso reato o di reato connesso. Ciò determina grave violazione dei diritti della difesa, consacrati nell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto impedisce all'imputato di far sentire persone che, proprio per la posizione che hanno avuto nei fatti di cui è processo, sono spesso le sole in grado di riferire su circostanze essenziali ai fini del decidere. Situazioni aggravate dal fatto che le stesse persone tanto meno possono essere sentite come testimoni, stante l'esplicito divieto contenuto nell'ultimo comma dell'art. 348 cod. proc. pen. 1930.
L'ordinanza, indicando la ben diversa disciplina seguita dal legislatore del nuovo codice di procedura, integrata dagli artt. 197 e 210 cod. proc. pen. vigente, chiede alla Corte di eliminare l'illegittimità, manifesta essendo la rilevanza della questione.
2. - Nessun dubbio effettivamente sul piano della rilevanza, visto che l'imputato chiede insistentemente la libera audizione del coimputato del reato connesso, prosciolto in istruttoria, asserendo che questi sarebbe in grado di riferire sulla sostanza dei fatti contestati ad esso imputato, in quanto a quell'epoca aveva ruolo di direttore delle vendite nella società a favore della quale l'imputato aveva rilasciato la dichiarazione d'intenti per cui è processo.
Ma la questione non è fondata.
Intanto non è vero che il legislatore del codice attuale abbia dettato disciplina diversa da quella risultante dagli artt. 348 e 348-bis cod. proc. pen. 1930, richiamato quest'ultimo dall'art. 450-bis impugnato.
In realtà, l'art. 197 cod. proc. pen. vigente esclude dalla testimonianza le persone imputate dello stesso reato o in un procedimento connesso, anche se prosciolte o condannate, salvo che il proscioglimento sia avvenuto con sentenza divenuta irrevocabile. É vero che, a differenza dell'art. 348 del codice abrogato, qui non si fa più cenno a proscioglimento <pronunciato in giudizio>, ma è sfuggito evidentemente al Tribunale rimettente che il successivo art. 648 del codice di procedura penale vigente chiarisce che sono irrevocabili <le sentenze pronunciate in giudizio>, contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione o, se l'impugnazione è ammessa, quando è inutilmente decorso il termine per proporla.
Anche per il nuovo codice, perciò, le persone prosciolte in istruttoria non sono ammesse a testimoniare nei processi dove sono state coimputate nello stesso o in procedimenti connessi (a norma dell'art. 12).
Quanto poi agli artt. 348-bis del codice di proc. pen. del 1930 e 210 del codice attuale, essi contengono la stessa disciplina. Le persone indicate, infatti, sono citate secondo le norme sulla citazione dei testimoni, ma le loro garanzie, in ambo gli articoli, sono quelle spettanti agli imputati, giacchè hanno diritto di essere assistite da un difensore (se del caso nominato d'ufficio) e non sono tenute a rispondere: chè, anzi, di ciò debbono essere avvertite.
É vero che l'art. 348-bis non lo precisa esplicitamente, ma si evince facilmente dal fatto che <si applicano le disposizioni concernenti l'interrogatorio dell'imputato>.
Unica effettiva differenza, perciò, è nella definizione data a questa particolare audizione; che l'art. 348-bis chiama <interrogatorio>, mentre l'art. 210 parla più correttamente di <esame> stante il significato tecnico che ambo i codici attribuiscono all'espressione <interrogatorio>.
3.-Il vero è che nè l'una nè l'altra disposizione esclude i prosciolti, e comunque prosciolti, da tale libera audizione.
Nell'uno e nell'altro ordinamento il divieto per i prosciolti in istruttoria riguarda soltanto la testimonianza, ma non l'audizione libera. E si intende facilmente il perchè. La sentenza istruttoria di proscioglimento è-com'è noto-una sentenza allo stato degli atti: qualora sopravvengano nuove prove (art. 402 cod. proc. pen. 1930) o nuove fonti di prova (art. 434 cod. proc. pen. vigente), l'istruttoria può essere riaperta (ipotesi del codice del '30) o la sentenza istruttoria di proscioglimento può essere revocata (artt. 434 e 436 cod. proc. pen. vigente). Il principio secondo cui nemo tenetur se detegere esclude, perciò, che il prosciolto in istruttoria possa essere sottoposto ad esame testimoniale, nel quale sarebbe tenuto a rispondere e avrebbe l'obbligo di dire la verità. La possibilità che un tale esame lo esponga al pericolo della <riapertura dell'istruzione> o della <revoca della sentenza istruttoria di proscioglimento> o, in alternativa, a un processo per falsa testimonianza, ha indotto il legislatore a stabilire un divieto che è principio garentistico di civiltà processuale.
Tutto questo, invece, non può verificarsi nel corso dell'audizione libera, sia essa quella del codice precedente o quella dell'attuale, perchè il prosciolto in istruttoria liberamente interrogato, à sensi dell'art. 438-bis cod. proc. pen. 1930, o esaminato à termini dell'art. 210 cod. proc. pen. vigente, non è tenuto a rispondere, e non ha comunque l'obbligo di dire la verità, salvo che sulla propria identità personale.
La Corte di cassazione lo ha affermato anche di recente, con decisioni dell'anno 1989, con le quali ha messo in luce che la limitazione posta per la testimonianza dal comma terzo dell'art. 348 <non è posta nè può ritenersi sottintesa nell'art. 348-bis cod. proc. pen. 1930>.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art . 450-bis cod. proc. pen. 1930, con riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Milano con ordinanza 13 marzo 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/09/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 03/10/90.