SENTENZA N.382
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma bis, 17, 25, quinto comma, del decreto-legge 29 dicembre 1989, n. 415, convertito con modifiche nella legge 28 febbraio 1990 n. 38, dal titolo < Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonchè disposizioni varie>, promossi con ricorsi delle Regioni Toscana e Lombardia, notificati il 27 e il 30 marzo 1990, depositati in cancelleria il 4 e il 9 aprile successivi ed iscritti ai nn. 26 e 33 del registro ricorsi 1990.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; uditi gli avvocati Alberto Predieri per la Regione Toscana, Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, terzo comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 38, per violazione dell'art. 119 della Costituzione.
Secondo la ricorrente, l'art. 17, nel disporre che il residuo importo (mille miliardi) del fondo ivi indicato sia ripartito in base a criteri che verranno fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sentita la Conferenza permanente Stato-regioni, violerebbe innanzitutto la riserva di legge posta dall'ar-t. 119 della Costituzione.
In secondo luogo, lo stesso articolo, nella parte in cui prevede che il residuo importo del fondo anzidetto sia ripartito in funzione perequativa, violerebbe ancora l'art. 119 della Costituzione, in riferimento al gettito diversificato delle entrate regionali stabilito dall'art. 23 dei medesimo decreto-legge. In altre parole, precisa la ricorrente, il meccanismo discrezionale previsto dalla disposizione impugnata comporterebbe uno svantaggio per quelle regioni, tra cui la Toscana, che hanno esercitato correttamente i poteri di riscossione tributaria previsti in relazione alla tassa automobilistica, dal momento che da esso conseguirebbe una sottrazione di parte delle somme che, per la loro inerenza al fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, dovrebbero essere ripartite secondo criteri perequativi, e non già in proporzione alle entrate riscosse.
2.- Con un distinto ricorso regolarmente notificato e depositato la Regione Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti di vari articoli del decreto-legge n. 415 del 1989.
In primo luogo, la ricorrente contesta la costituzionalità dell'art. 2, primo comma bis, che - nel prevedere mutui (i cui oneri di ammortamento sono a totale carico dello Stato) a favore dei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti per la realizzazione di opere pubbliche nei settori degli acquedotti, delle fognature, degli impianti di depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani - configurerebbe una lesione delle relative competenze regionali, garantite dall'art. 117 della Costituzione, nell'attuazione ad esso conferita dagli artt. 87 e 109 del d.P.R. n. 616 del 1977 e dall'art. 6 del d.P.R. n. 915 del 1982. Ad avviso della ricorrente, l'articolo impugnato, diversamente dalle ipotesi già sottoposte al giudizio di questa Corte, mancherebbe di prevedere che si debba tener conto della programmazione regionale nelle materie su cui incidono gli interventi di cui beneficiano i finanziamenti ivi predisposti.
La Regione Lombardia contesta, altresì, la legittimità costituzionale dell'art. 17 dei decreto-legge impugnato, dal momento che quest'ultimo farebbe venir meno, persino formalmente, quel legame con le "quote di tributi erariali" previsto dall'art. 119 della Costituzione (peraltro già venuto meno sostanzialmente a partire dal quinquennio di efficacia della legge n. 356 del 1976). Infatti, ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata, dopo aver fissato una quota del gettito dell'imposta di fabbricazione degli olii minerali (13,18%), stabilisce in modo autonomo l'ammontare del fondo. E di questo ammontare, mentre una parte (cinquemila miliardi) viene ripartita in base a criteri storici, un'altra parte (nille miliardi) é distribuita secondo criteri che verranno fissati, in relazione a scopi "perequativi", con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. In tal modo, la tassa automobilistica - che é l'unico dei tributi propri a dare entrate significative a favore delle regioni - darebbe luogo a entrate aleatorie nel loro ammontare e sarebbe collegata a un meccanismo di ripartizione "perequativo" che colpirebbe maggiormente quelle regioni, fra cui la Lombardia, nelle quali il gettito della tassa automobilistica é più elevato.
L'ultima questione sollevata dalla ricorrente concerne l'art. 25, quinto comma, nella parte in cui istituisce un albo dei fornitori presso il Ministero della sanità nell'ambito dell'"osservatorio sui prezzi e sulle tecnologie sanitarie come articolazione del sistema informativo sanitario". Secondo la Lombardia, l'istituzione del suddetto albo presso il Ministero comporterebbe la cessazione degli albi regionali, in contrasto con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 245 del 1984. Lo stesso articolo, poi, nel prevedere un atto di indirizzo e di coordinamento in materia senza la predeterminazione di alcun criterio per l'esercizio di tale funzione, violerebbe il principio di legalità e porterebbe all'assurdo risultato di imporre alle Unità sanitarie locali le regole valide per le forniture curate dal Provveditorato generale dello Stato, finendo cosi con l'attribuire al Governo il potere sostanziale di definire i capitolati per le forniture delle Unità sanitarie locali.
3.- Con distinti atti si é costituito in ambedue i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere il rigetto di tutte le questioni sollevate.
Premesso che, sulla base dei dati desumibili dalla relazione al disegno di legge di conversione dell'impugnato decreto-legge, l'ammontare complessivo del fondo comune per l'anno 1990 é determinabile in 6689 miliardi e che il gettito presumibile della tassa automobilistica assommi a 900 miliardi (cioé un ammontare sostanzialmente coincidente con i mille miliardi scorporati dal fondo e ripartiti secondo criteri perequativi da applicarsi "a consuntivo"), l'Avvocatura dello stato osserva che non sussiste, nell'art. 17, alcuna violazione della riserva di legge, sia perchè i criteri di ripartizione sarebbero vincolati alla predetta finalità perequativa, sia perchè il parere obbligatorio della Conferenza permanente Stato-regioni costituirebbe garanzia sufficiente affinchè quei criteri rispondano alle reali esigenze delle singole regioni. Anche in relazione all'altra censura mossa dalle ricorrenti all'art. 17, l'Avvocatura dello Stato sottolinea che le disposizioni impugnate, le quali si iscrivono in una manovra finanziaria di contenimento del deficit dei conti pubblici, risponderebbero al principio di "coordinamento" stabilito dall'art. 119 della Costituzione, principio nel quale dovrebbe ricomprendersi l'esigenza di una correzione, per un limitato periodo, della distribuzione delle risorse finanziarie tra le varie regioni, richiesta dalle condizioni generali della finanza pubblica. Del resto, conclude sul punto l'Avvocatura dello Stato, non andrebbe trascurato il fatto che la perequazione prevista, non più in riferimento al previsto introito della tassa automobilistica, ma con riguardo all'effettivo gettito della stessa.
Riguardo alla questione di costituzionalità sollevata dalla Regione Lombardia nei confronti dell'art. 2, primo comma bis l'Avvocatura dello Stato sostiene che la ricorrente non terrebbe conto del fatto che gli interventi previsti rientrerebbero nella categoria di quelli comportanti spese obbligatorie per i comuni e tali da non poter essere condizionati dall'attività di programmazione della regione (v. artt. 91, lett c, n. 14, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383; art. 19 della legge n. 319 del 1976). Inoltre, l'art. 87 del d.P.R. n. 616 del 1977 riguarderebbe soltanto gli acquedotti d'interesse regionale, e l'art. 101, secondo comma, lett. b, dello stesso decreto, limiterebbe le funzioni programmatorie regionali ai soli rifiuti solidi urbani di tipo industriale. In ogni caso, conclude l'Avvocatura dello Stato, le ricorrenti non potrebbero giovarsi dei precedenti giurisprudenziali di questa Corte, in quanto la norma impugnata non comporterebbe che l'erogazione di mezzi finanziari si traduca in esonero degli enti locali dall'osservanza delle procedure amministrative che richiedano, in ipotesi, interventi regionali sulla progettazione e sulla realizzazione delle opere in questione.
Infine, quanto alle censure mosse dalla Regione Lombardia all'art. 25, quinto comma, l'Avvocatura dello Stato sottolinea, per un verso, che l'istituzione dell'albo dei fornitori rientra nell'ambito dell'osservatorio sui prezzi, espressione necessaria del potere di indirizzo e coordinamento in materia e , comunque, che la sua istituzione presso il Ministero della sanità non dovrebbe comportare la soppressione degli albi regionali; per altro verso, l'Avvocatura afferma che la disposizione impugnata non innoverebbe affatto rispetto a quanto disposto dagli artt. 5 e 50, primo comma, n. 1, della legge n. 833 del 1978, limitandosi a ribadire l'esigenza di porre a base della gestione amministrativo-contabile delle Unità sanitarie locali i principi generali della contabilità pubblica al fine dell'osservanza dei criteri di rigore e di efficienza della spesa pubblica.
4.- In prossimità dell'udienza hanno presentato memorie le Regioni Toscana e Lombardia, le quali, oltre a ribadire in forma più ampia argomenti già svolti nei ricorsi, formulano alcune repliche alle osservazioni dell'Avvocatura dello Stato.
In particolare, riguardo all'art. 17, la Regione Toscana sostiene che non potrebbe equivalere alla riserva di legge la previsione del parere della Conferenza Stato-regioni, tanto più che si tratta di parere obbligatorio, ma non vincolante. La stessa Regione osserva che, mentre la composizione del fondo si é sempre basata sul gettito annuale dei tributi erariali (art. 8, primo comma, della legge n. 281 del 1970) e su una quota del complesso delle entrate tributarie dello Stato che non prendeva in considerazione le entrate proprie delle regioni (art. 1 della legge n. 356 del 1976) e mentre l'incremento degli importi del fondo era stato sempre ripartito annualmente in proporzione alle quote attribuite a ciascuna regione al medesimo titolo per l'anno prima, viceversa con la disposizione impugnata le entrate proprie verrebbero sommate a quelle dello Stato e diventerebbero oggetto di una perequazione che violerebbe i principi basilari dell'autonomia regionale.
La Regione Lombardia, in relazione alle censure attinenti all'art. 2, primo comma bis, obietta all'Avvocatura che con la disposizione impugnata lo Stato ha preteso di esercitare funzioni di programmazione attraverso il finanziamento delle opere indicate, le quali sono già state trasferite alle regioni dagli artt. 87 e 101 del d.P.R. n. 616 dei 1977. Sicchè sarebbe del tutto irrilevante stabilire se la competenza per l'esecuzione delle relative opere sia dei comuni (per i quali, comunque, l'art. 7 del decreto-legge n. 702 del 1978, convertito nella legge n. 3 del 1979, ha abolito la distinzione tra spese obbligatorie e facoltative). Nè si potrebbe invocare, per la ricorrente, il principio di coordinamento ex art. 119 della Costituzione, trattandosi piuttosto di una sovrapposizione dello Stato in materie trasferite alle regioni.
Sull'art. 17 la Regione Lombardia, nel ribadire che il meccanismo escogitato penalizza le regioni che hanno utilizzato lo strumento della tassa automobilistica, aggiunge che la discriminazione si estenderebbe alle relative popolazioni, le quali, pagando l'accresciuta tassa automobilistica, vedrebbero andare tale incremento a favore dello Stato e indirettamente delle altre regioni.
Infine, riguardo all'art. 25, quinto comma, la ricorrente sottolinea che 1'albo dei fornitori istituito presso il Ministero non potrebbe essere che unico, con il rischio di trasformare quelli regionali in sue mere articolazioni. Sicchè sarebbe impropriamente richiamata dall'Avvocatura dello Stato la funzione di indirizzo e coordinamento, come lo sarebbe anche per la restante parte delle disposizioni impugnate, giacchè una cosa é l'obbligo di rispetto nella legislazione regionale dei principi della contabilità pubblica e altra cosa é l'emanazione di criteri di azione direttamente operanti per le Unità sanitarie locali e rivolti ad estendere a queste ultime le norme vigenti per gli acquisti del Provveditorato dello Stato.
Considerato in diritto
1.-La Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, terzo comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, per violazione dell'art. 119 della Costituzione. Con un successivo ricorso la Regione Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 2, comma primo bis, 17 e 25, quinto comma, del medesimo decreto-legge, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
Poichè i due ricorsi hanno ad oggetto disposizioni di legge analoghe o connesse, contenute in un medesimo atto legislativo, i relativi giudizi vanno riuniti per esser decisi con un'unica sentenza.
2. - Le Regioni Toscana e Lombardia hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 119 della Costituzione, nei confronti dell'art. 17, terzo comma, del decreto- legge n. 415 del 1989, nella parte in cui prevede che il residuo importo del fondo comune ivi indicato sia < ripartito ed erogato con i criteri che all'uopo verranno fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri>.
La disposizione impugnata demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri-sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano -la fissazione dei criteri per la ripartizione del < residuo importo> (mille miliardi) del fondo comune regionale (determinato ai sensi dell'art 17, comma secondo, del medesimo decreto-legge), che viene ripartito quale < fondo perequativo che tenga anche conto del diversificato gettito delle maggiori entrate di cui all'art. 23, comma primo>, costituite da un aumento dell'importo della tassa automobilistica regionale pari al 45 per cento della tassa erariale vigente al 1° gennaio 1990. Ad avviso delle ricorrenti, tale disposizione violerebbe l'art. 119 della Costituzione, sia perchè contrasterebbe con il principio della riserva di legge stabilito nel primo comma di tale articolo, sia perchè, prefiggendosi un fine perequativo nella distribuzione fra le regioni dell'importo relativo ai proventi derivanti dalla tassa automobilistica, penalizzerebbe quelle regioni nelle quali il maggior introito del tributo de quo abbia già prodotto un effetto di compensazione fra tributo proprio accresciuto ed entità della partecipazione al fondo comune.
La questione è fondata.
La disposizione impugnata, nell'autorizzare la distribuzione fra le regioni del < residuo importo> del fondo comune determinato ai sensi delle disposizioni precedenti del medesimo art. 17, dice espressamente che esso sarà < ripartito ed erogato con i criteri che all'uopo verranno fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano>. Nel rinviare a un atto governativo la determinazione di qualsivoglia criterio di ripartizione del fondo residuo senza porre in proposito il benchè minimo limite alla discrezionalità dell'Esecutivo, l'art. 17, terzo comma, viola il principio della riserva di legge stabilito dall'art. 119, primo comma, della Costituzione (v. sent. n. 307 del 1983).
Nè si può ipotizzare, contrariamente a quanto mostra di supporre l'Avvocatura generale dello Stato, che il riferimento operato dalla stessa disposizione impugnata a una generica finalità perequativa della distribuzione del residuo importo del fondo possa essere configurato come un criteri o , s e p u re minimo, di ripartizione, poichè in realtà è in sito nel concetto stesso di perequazione, come in quello strettamente legato di eguaglianza, che esso possa svolgersi e attuarsi soltanto in base a parametri fungenti da tertia comparationis Tanto più ciò vale in una situazione che si presenta in pratica estremamente diversificata, nel senso che, per un verso, si è di fronte a un gettito necessariamente differenziato da regione a regione in dipendenza del numero dei veicoli immatricolati nel territorio di ciascuna di esse e, per altro verso, sussistono regioni che hanno provveduto a imporre la tassa automobilistica nel massimo consentito dalla normativa statale e altre che non vi hanno provveduto Sicchè, in mancanza di precisi criteri stabiliti dal legislatore, il rinvio a finalità perequative non è minimamente idoneo a delimitare o indirizzare il libero apprezzamento dell'autorità governativa in una materia che la Costituzione sottopone a riserva di legge Nè, tantomeno, può essere invocata allo stesso scopo, come vorrebbe ancora l'Avvocatura dello Stato, la previsione del parere obbligatorio (ma non vincolante) della Conferenza permanente fra Stato e Regioni (e Province autonome), poichè, pur se tale parere fosse vincolante, esso sarebbe idoneo a delimitare la scelta del Governo, ma non già a surrogarsi a quei limiti o a quei criteri che il principio costituzionale della riserva di legge esige che siano determinati, se pure nel loro contenuto minimo, dal legislatore.
Resta assorbito ogni altro profilo di legittimità costituzionale sollevato dalle ricorrenti.
3. -La Regione Lombardia ritiene che l'art. 119 della Costituzione, il quale garantisce l'autonomia finanziaria regionale, sia violato dall'art. 17 del decreto-legge n. 415 del 1989, in quanto quest'ultimo non ancorerebbe neppure formalmente al gettito dei tributi erariali l'ammontare complessivo del fondo, che sarebbe invece fissato in modo autonomo e in un'entità (seimila miliardi) superiore a quella della predetta quota di gettito erariale.
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto supposto dalla ricorrente, l'articolo impugnato non svincola la composizione del Fondo comune regionale dalle quote di tributi erariali, ma ne mantiene saldo, nella sostanza, l'ancoraggio. Infatti, mentre il primo comma dell'art. 17 si limita a ridurre la quota dell'imposta di fabbricazione sugli oli minerali e sui loro derivati e prodotti analoghi dal 15% al 13,8%, il secondo comma dello stesso articolo ribadisce che il fondo deve esser determinato ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, il quale, a sua volta, commisura il medesimo fondo al gettito annuale di alcuni tributi. Questo collegamento alle quote di gettito erariale non viene, certo, alterato nella sua sostanza nè dalle integrazioni previste dall'art. 17, secondo comma, al fine di assicurare una consistenza del fondo pari a seimila miliardi di lire per l'anno 1990, nè dalle somme conglobate ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge 1° febbraio 1989, n. 40, al fine di garantire alle regioni una maggior autonomia di spesa.
4. -Ad avviso della Regione Lombardia il decreto-legge n. 415 del 1989 conterrebbe una lesione delle competenze garantite alle regioni dall'art. 117 della Costituzione nel suo art. 2, comma primo bis, il quale prevede la concessione ai Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti di mutui ventennali erogati dalla Cassa depositi e prestiti e destinati alla costruzione, all'ampliamento e alla ristrutturazione di acquedotti, fognature, impianti di depurazione delle acque e di smaltimento di rifiuti solidi urbani.
La questione non è fondata.
Al fine di decidere correttamente la questione sottoposta al giudizio di questa Corte con l'impugnazione ora considerata, occorre tener presente la distinzione tra finanziamenti e programmi (o attività). La norma impugnata, partendo dal realistico presupposto della carenza di mezzi finanziari a disposizione dei comuni più piccoli, si preoccupa di erogare a questi ultimi mutui con oneri di ammortamento totale a carico dello Stato allo scopo di compiere opere pubbliche di prima necessità relative agli acquedotti, alle fognature, agli impianti di depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. La stessa norma, tuttavia, non incide minimamente sui programmi e sulle attività cui si riferiscono i finanziamenti previsti: quelle attività, infatti, seguono le relative norme di competenza, di modo che, ove rientrino fra gli oggetti sottoposti ai poteri di programmazione delle regioni, devono essere determinate in armonia con questi ultimi.
5.-La Regione Lombardia contesta la legittimità costituzionale dell'art. 25, quinto comma, del decreto-legge n. 415 del 1989, nella parte in cui prevede, nell'ambito dell'osservatorio sui prezzi e sulle tecnologie sanitarie, l'istituzione dell'albo dei fornitori del Servizio sanitario nazionale e ne affida la tenuta al Ministero della sanità. Tale disposizione, a giudizio della ricorrente, violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in quanto lederebbe le competenze che le regioni posseggono in materia sanitaria.
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione.
L'istituzione del menzionato albo nazionale dei fornitori non implica affatto la soppressione di quelli regionali, nè configura una interferenza con la tenuta degli stessi da parte delle regioni medesime (salvi gli interventi del Ministro in ordine alle < tipologie>, alle < classi di appartenenza> e ai < requisiti per l'iscrizione>), sui quali questa Corte si è già espressa nella sentenza n. 245 del 1984. Secondo la norma impugnata, infatti, l'albo dei fornitori è istituito < nell'ambito dell'osservatorio sui prezzi e sulle tecnologie sanitarie per la effettuazione di rilevazioni, studi e controlli nel settore dell'acquisto dei beni e servizi, con particolare riguardo ai beni di largo consumo e alle apparecchiature e agli strumenti di alta tecnologia>. Come lascia chiaramente intendere la citazione appena riportata, l'istituzione dell'albo nazionale dei fornitori non riguarda i beni e i servizi cui si riferiscono gli albi regionali, ma concerne soltanto quelli sui quali si estende la competenza degli organi e degli enti dipendenti dallo Stato. Essa, in altre parole, rientra nell'ambito di una sfera separata rispetto a quella sulla quale incide la competenza delle regioni.
6. - Un'ultima censura è stata sollevata dalla Regione Lombardia nei confronti del medesimo art. 25, quinto comma, nella parte in cui prevede che il Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, emanerà un atto di indirizzo e coordinamento diretto a stabilire i < criteri in materia di acquisti e di approvvigionamento di beni e servizi, da ispirare ai principi di garanzia delle normative vigenti presso il Provveditorato generale dello Stato per le forniture alle amministrazioni pubbliche statali>. Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe l'art. 117 della Costituzione, in quanto lederebbe il principio di legalità < sostanziale> proprio della funzione di indirizzo e coordinamento, nonchè le competenze regionali in materia di contabilità delle Unità sanitarie locali (art. 50 della legge n. 833 del 1978).
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione.
Per i motivi espressi nel punto immediatamente precedente, i beni e i servizi sanitari cui si riferisce l'art. 25, quinto comma, del decreto-legge impugnato sono quelli rientranti fra gli oggetti delle competenze attribuite agli organi e agli enti statali.
Sicchè, quando la norma impugnata parla di un atto di indirizzo e di coordinamento del Ministro della sanità non può alludere alla omologa funzione che il Governo esercita nei confronti delle autonomie regionali, ma riguarda necessariamente i poteri di direttiva che il Ministro della sanità possiede verso gli organi e gli enti statali. Di qui deriva l'inconferenza delle censure proposte dalla Regione Lombardia nei confronti della disposizione appena considerata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, terzo comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonchè disposizioni varie), convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 38, nella parte in cui prevede che il residuo importo del fondo comune ivi indicato sarà < ripartito ed erogato con i criteri che all'uopo verranno fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri>;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, nelle disposizioni restanti rispetto a quella precedentemente indicata, del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata dalla Regione Lombardia, in riferimento all'art. 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo bis, del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata dalla Regione Lombardia, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe; dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, quinto comma, terzo periodo, del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiarano infondata , nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25, quinto comma, quarto periodo, del decreto-legge n. 415 del 1989, convertito nella legge n. 38 del 1990, sollevata dalla Regione Lombardia, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Antonio BALDASSARRE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 31/07/90.