Sentenza n. 350 del 1990

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SENTENZA N.350

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma 3o, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1989 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra l'I.N.P.S. e Martini Elisa, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e di Martini Elisa nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Luigi Maresca per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel giudizio sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Firenze che, confermando la decisione del Pretore, lo aveva condannato a corrispondere a Elisa Martini l'assegno ordinario di invalidità, decorrente dal 1° febbraio 1986, con la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e gli interessi legali, la Corte di Cassazione, con ordinanza del 17 novembre 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 429 cod. proc. civ. "nella parte in cui non consente la sua applicazione ai crediti per prestazioni previdenziali".

Secondo il giudice remittente nell'evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza n. 162 del 1977 di questa Corte é prevalsa l'interpretazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., come norma la quale, al momento dell'inadempimento, trasforma il credito retributivo da credito di valuta in credito di valore, o almeno applica al risarcimento dei danni una "tecnica di liquidazione affine a quella corrente per le obbligazioni di valore". Deve perciò ritenersi superata la ricognizione della ratio dell'art. 429, terzo comma, compiuta dalla citata sentenza n. 162: scopo della norma non é tanto la dissuasione dei datori di lavoro da ritardi ingiustificati nell'adempimento delle loro obbligazioni, quanto, oggettivamente, la difesa del potere di acquisto di chi deve utilizzare il reddito di cui é creditore per soddisfare gli ordinari bisogni della vita. Questa ratio non é peculiare ai crediti retributivi, ma "potenzialmente estesa anche alla situazione dei modesto creditore previdenziale"; conseguentemente la restrizione dell'ambito applicativo dell'art. 429 ai crediti retributivi "appare potenzialmente lesiva del principio di eguaglianza".

La violazione in atto dell'art. 3 Cost. é stata esclusa dalla Corte costituzionale, nuovamente investita della questione, con la sentenza n. 408 del 1988, sul riflesso che la norma generale dell'art. 1224 cod. civ., in ordine alla quale si é pure verificata nel contempo una incisiva evoluzione giurisprudenziale, "assicura al modesto creditore previdenziale una tutela in parte qua assimilabile a quella che il ius singolare dell'art. 429 cod. proc. civ. assicura al credito di lavoro". Senonchè le Sezioni unite, con la sentenza n. 5299 del 1989, respingendo l'orientamento prevalente nella giurisprudenza della Sezione lavoro, hanno statuito che la rivalutazione monetaria calcolata a norma dell'art. 1224, secondo comma, in quanto rappresenta l'intero danno effettivamente patito dal creditore, non é cumulabile con gli interessi moratori previsti dal primo comma. Così interpretato l'art. 1224 cod. civ. attribuisce al modesto creditore previdenziale una tutela analoga a quella dell'art. 429 cod. proc. civ. dal lato rivalutazione monetaria, ma non dal lato interessi legali sulla somma rivalutata. Tale disparità di trattamento rispetto ai crediti di lavoro é ritenuta contrastante col principio di eguaglianza.

L'argomentazione così sintetizzata é integrata da ulteriori considerazioni tendenti a far emergere anche un contrasto con gli arti. 36 e 38 Cost., in quanto non sarebbero assicurati al creditore della prestazione previdenziale mezzi adeguati alle esigenze di vita, commisurati al valore delle ultime retribuzioni percepite.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituito l'I.N.P.S. ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo entrambi che la questione sia dichiarata infondata.

In ordine alla Pretesa violazione dell'art. 3 Cost., la difesa dell'I.N.P.S. osserva che la ratio della norma denunciata non si esaurisce nella funzione di difesa del potere di acquisto del credito, ma include anche due funzioni specificamente inerenti ai crediti retributivi, quella di scoraggiare il ritardo dell'adempimento da parte del datore di lavoro e soprattutto quella di ristabilire in termini reali la corrispettività delle prestazioni, onde solo per i crediti di lavoro derivanti da rapporti contrattuali sinallagmatici, si può giustificare il cumulo della rivalutazione monetaria con gli interessi corrispettivi decorrenti dal giorno della maturazione del diritto. D'altro lato, occorre considerare che nel campo di applicazione dell'art. 1224 cod. civ. la non cumulabilità della rivalutazione monetaria con gli interessi legali é compensata dalla possibilità che il "maggior danno" sia riconosciuto in misura superiore al tasso di inflazione, per esempio nella misura del rendimento dei titoli di Stato.

In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione l'I.N.P.S. ha integrato le conclusioni dedotte nell'atto di costituzione in giudizio, chiedendo in via principale che la questione sia dichiarata inammissibile in quanto l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. "é una norma eccezionale che non tollera, per definizione, estensioni operate in nome dell'art. 3 Cost., cosi come non ammette applicazioni analogiche".

3.- L'Avvocatura dello Stato osserva che nel caso del modesto creditore previdenziale, che é il referente delle argomentazioni svolte dal giudice a quo, la pretesa di cumulo della rivalutazione monetaria con gli interessi legali é contraddittoria perchè non si può ipotizzare in pari tempo, da un lato, che il creditore avrebbe consumato le somme dovutegli per provvedere agli ordinari bisogni della vita, dall'altro che le avrebbe risparmiate lucrando gli interessi.

In generale, il mantenimento dei crediti previdenziali sotto il regime delle obbligazioni di valuta si giustifica razionalmente considerando che la prestazione previdenziale, a differenza di quella retributiva, non inerisce a un rapporto sinallagmatico ed é la risultante, nella sua concreta entità, di un punto di equilibrio tra diverse esigenze, il cui raggiungimento dipende, sulla base di modelli econometrici, da considerazioni di struttura del sistema assicurativo sociale e da valutazioni attinenti alle modalità di alimentazione del bilancio dell'ente pubblico erogatore e alla necessità di evitare scompensi finanziari nella gestione.

Considerato in diritto

1.-La Corte di cassazione mette in dubbio la legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, cod. civ., in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, <nella parte in cui non consente la sua applicazione ai crediti per prestazioni previdenziali>.

2. - La questione è inammissibile.

L'art. 429 è collocato nel capo I del titolo IV del libro II, titolo interamente sostituito dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533.

Poichè nel capo I sono disciplinate le <controversie individuali di lavoro>, mentre delle <controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria> si occupa il capo II, il terzo comma dell'art. 429, nel dettare la regola della rivalutazione automatica, non può avere riguardo che ai crediti derivanti dai rapporti (lato sensu) di lavoro elencati nell'art. 409. Nella disposizione impugnata l'espressione <crediti di lavoro> non può assumere in alcun modo il valore precettivo ritenuto dal giudice a quo, nel senso di non consentire l'applicazione della medesima regola anche ai crediti previdenziali: essa ha soltanto una funzione definitoria del campo di applicazione che alla norma compete in ragione della sua ben determinata posizione sistematica.

Nei termini in cui è formulata, la questione prospetta una sentenza additiva che determinerebbe una grave anomalia nel sistema normativo, impostato sulla distinzione tra le due categorie di controversie testè rammentate. Nell'ambito operativo di una norma concernente i diritti di credito derivanti da rapporti contrattuali con prestazioni corrispettive sarebbero inclusi i crediti derivanti dai rapporti previdenziali, la cui struttura è radicalmente diversa e la cui disciplina prevede condizioni differenti di esigibilità e di liquidazione dei diritti che ne derivano.

L'inapplicabilità ai crediti previdenziali di un criterio di rivalutazione automatica analogo a quello previsto per i crediti di lavoro dipende da un'altra norma, collocata all'inizio del capo secondo di questo titolo del codice di rito, cioè dall'art. 442, considerato che la Corte di cassazione interpreta il rinvio ivi operato alle disposizioni di cui al capo primo limitandone la portata alle norme di natura processuale e così escludendo il terzo comma dell'art. 429, che è norma di diritto sostanziale.

Si può rilevare, inoltre, una incoerenza tra il dispositivo dell'ordinanza di rimessione e la motivazione. Il primo propone una estensione indiscriminata dell'articolo più volte citato a tutti i crediti previdenziali, mentre la complessa argomentazione svolta dal giudice a quo, per corroborare il sospetto di illegittimità costituzionale della mancata inclusione nella disciplina delle controversie previdenziali di una regola analoga a quella prevista per i crediti di lavoro, ha come termine costante di riferimento la figura del <modesto creditore previdenziale> che destina le somme oggetto del credito al consumo per il soddisfacimento degli ordinari bisogni della vita, ossia la sola ipotesi in cui, secondo la sentenza di questa Corte n. 408 del 1988, potrebbe emergere una irrazionale disparità di trattamento ove si dimostrasse che l'applicazione della regola generale dell'art. 1 224 cod. civ. non attribuisce al creditore una tutela assimilabile a quella dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, terzo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20/07/90.