SENTENZA N.243
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, quinto comma, 4, secondo comma e 5 della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri), promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1989 dal Pretore di Agrigento nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Fasulo Francesco ed altri e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale dell'anno 1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di un Giudizio promosso da alcuni titolari di pensioni di invalidità o inabilità a carico della Cassa nazionale di previdenza in favore dei geometri, i quali lamentano che le rispettive prestazioni sono state liquidate in base al criterio cosiddetto del sottominimo, il Pretore di Agrigento, con ordinanza del 3 novembre 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, quinto comma, 4, secondo comma, e 5 della legge 20 ottobre 1982, n. 773, a norma dei quali la misura della pensione minima non può in alcun caso superare la media dei reddito professionale degli ultimi dieci anni dichiarati dall'iscritto ai fini dell'I.R.PE.F, rivalutato nella misura del 100%.
Secondo il giudice a quo tale criterio contrasta col principio solidaristico, che deve temperare la correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale, e appare particolarmente ingiusto nel caso di lavoratori invalidi o inabili, la cui capacità di reddito é stata negativamente incisa dall'evoluzione del quadro morboso anteriormente alla maturazione del diritto alla pensione. Contrasta altresì col principio di eguaglianza, per l'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei lavoratori soggetti all'assicurazione generale obbligatoria, disparità che l'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, ha provveduto a rimuovere con effetto soltanto dal 1° gennaio 1989.
2.- Nel giudizio davanti alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura osserva che il criterio censurato é "finalizzato, da un lato, a una corretta alimentazione della rispettiva posizione previdenziale da parte dei singoli iscritti, dall'altro ad evitare un aggravio dell'intera categoria a favore di soggetti solo marginalmente impegnati nell'attività professionale e percettori quindi di redditi minimi". Inoltre la limitata durata nel tempo della disciplina in esame ne confermerebbe la legittimità alla stregua del principio di gradualità delle scelte legislative in materia previdenziale.
Considerato in diritto
1. - L'art. 2, quinto comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773, sulla previdenza a favore dei geometri -abrogato, con effetto dal 1° gennaio 1989, dall'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, che ha parificato i trattamenti minimi pensionistici dei liberi professionisti a quelli corrisposti dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti - dispone che la misura della pensione minima di vecchiaia non può in alcun caso superare la media dei redditi professionali dichiarati negli ultimi dieci anni ai fini dell'I.R.P.E.F., rivalutati del 100%. In quanto applicabile anche alle pensioni di inabilità e di invalidità in virtù del rinvio all'art. 2 previsto nell'art. 4, secondo comma, e del rinvio a quest'ultimo previsto nell'art. 5, terzo comma, il quinto comma dell'art. 2, insieme con le norme di rinvio ora citate, sono ritenuti dal Pretore di Agrigento contrastanti con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione e anche col principio di eguaglianza di cui all'art. 3.
2.-Occorre preliminarmente precisare i limiti di rilevanza della questione.
Poichè nel giudizio principale si controverte circa i criteri di liquidazione di pensioni di inabilità e di invalidità, sono pregiudiziali soltanto le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, secondo comma, nella parte in cui, per il calcolo della pensione di inabilità, rinvia al quinto comma dell'art. 2, e dell'art. 5, terzo comma, il quale dispone che la pensione di invalidità è pari al 70 per cento di quella risultante dall'applicazione dell'art. 4, secondo comma, con ciò rinviando esso pure all'art. 2, quinto comma.
L'impugnazione diretta del quinto comma dell'art. 2 è invece inammissibile, trattandosi di norma concernente la pensione di vecchiaia.
3. - La prima questione è fondata.
Come più volte ha osservato questa Corte (cfr. sentenze n. 1008 del 1988 e n. 99 del 1990), il principio di corrispettività tra contribuzione e prestazione previdenziale, su cui si fonda la previdenza delle varie categorie di liberi professionisti secondo il modello della legge del 1980 sulla riforma della previdenza forense, è soggetto al correttivo del principio di solidarietà nella misura necessaria per assicurare a tutti i membri della categoria una prestazione minima adeguata alle loro esigenze di vita. Nella legge n. 773 del 1982 questo limite trova attuazione nell'art. 2, quarto comma, il quale prevede l'integrazione della pensione a un minimo pari al sestuplo del contributo soggettivo minimo a carico dell'iscritto nell'anno anteriore a quello di maturazione del diritto. Ai fini del relativo finanziamento la legge prevede: a) l'obbligo di un contributo minimo indipendente dall'ammontare del reddito professionale; b) un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte di reddito eccedente i 40 milioni, nonchè un contributo anche a carico dei professionisti non iscritti alla Cassa (art. 10); c) un contributo integrativo sotto forma di maggiorazione percentuale dei corrispettivi (art. 11).
In contraddizione col quarto comma e con la finalità dei menzionati flussi finanziari della Cassa, il quinto comma dell'art. 2 ripristina rigorosamente il principio di proporzionalità della pensione ai redditi professionali in base ai quali sono calcolati i contributi accreditati nei conti individuali degli iscritti, escludendo ogni intervento di solidarietà.
L'incoerenza della norma, in contrasto col principio di razionalità di cui all'art. 3 Cost., e insieme la contrarietà al principio del minimo vitale garantito dall'art. 38, si accentuano nell'applicazione al calcolo della pensione di inabilità e di invalidità, considerata l'incidenza negativa della patologia da cui è affetto l'iscritto sulla sua capacità di guadagno.
L'argomento addotto dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui il criterio dell'art. 2, quinto comma, si giustifica in quanto mira ad evitare alla categoria professionale un aggravio a favore di soggetti solo marginalmente impegnati nella professione, quale che sia la sua consistenza in ordine alla pensione di vecchiaia, non è trasferibile alle pensioni d; inabilità e di invalidità.
Nell'ambito della previdenza forense se ne era resa conto già la legge 2 maggio 1983, n. 175, che per queste due specie di pensioni aveva eliminato dall'art. 4, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, il rinvio al criterio del sottominimo previsto per la pensione di vecchiaia dall'art. 2, quinto comma.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, secondo comma e 5, terzo comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri), nella parte in cui, per il calcolo delle pensioni di inabilità e di invalidità, rinviano all'art. 2, quinto comma;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, quinto comma, della legge citata, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Agrigento con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Luigi MENGONI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 15/05/90.