Sentenza n. 242 del 1990

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SENTENZA N.242

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), e dell'art. 4 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 589 (Riassetto dei servizi e revisione dei ruoli organici della Corte dei conti), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1989 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Sepe Onorato ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti gli atti di costituzione di Sepe Onorato ed altri e di Casaccia Mario nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni; uditi gli avv.ti Giulio Correale per Sepe Onorato ed altri e Filippo Satta per Casaccia Mario e l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio instaurato dal dott. Onorato Sepe ed altri presidenti di sezione della Corte dei conti contro la Presidenza del Consiglio dei ministri e nei confronti del dott. Emidio Di Giambattista per ottenere l'annullamento del provvedimento di nomina di quest'ultimo a Procuratore generale della detta Corte (d.P.R. 31 dicembre 1987), il T.A.R. del Lazio, con "decisione" dei 7 giugno 1989, pervenuta alla Corte costituzionale H 17 gennaio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e 4 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 589, nella parte in cui disciplinano la nomina dei procuratore generale della Corte dei conti.

Secondo il giudice remittente tale disciplina, in quanto riserva al Governo, con piena discrezionalità, la nomina del procuratore generale, contrasta con l'art. 100, terzo comma, Cost., che impone di assicurare l'indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, e dei loro componenti, e con l'art. 108, secondo comma, che vuole assicurata dalla legge l'indipendenza del pubblico ministero presso le giurisdizioni speciali. Il contrasto é accentuato dalla considerazione delle particolari attribuzioni del procuratore generale, chiamato a promuovere e sostenere, anche nei confronti dei membri dei Governo, i giudizi di responsabilità amministrativa e contabile

Sarebbe violato pure l'art. 3 Cost., attesa la disuguaglianza di trattamento risultante dal confronto con la disciplina delle altre magistrature speciali, le quali sono state in epoca recente dotate di forme di autogoverno con riconoscimento agli organi interni di poteri determinanti anche ai fini delle assegnazioni e dei mutamenti di funzioni.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti i ricorrenti riprendendo e sviluppando le argomentazioni del giudice remittente, e concludendo per l'accoglimento della questione.

Con atto separato, in cui si espongono rilievi analoghi, si é pure costituito il doti. Mario Casaccia, vice procuratore generale della Corte dei conti, intervenuto nel giudizio principale, al quale il provvedimento di rimessione, che dichiara inammissibile il suo intervento, é "io tuttavia notificato dallo stesso Tribunale.

3.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, domandando che la questione sia dichiarata infondata.

Dopo avere premesso di rimettersi alla Corte per "ogni valutazione circa l'ammissibilità della questione proposta in relazione a una certa atipicità del provvedimento di rimessione", nel merito l'Avvocatura richiama specialmente la sentenza n. 1 del 1967 di questa Corte., la quale, da un lato, ha affermato che "l'indipendenza dell'istituto deve ricercarsi nei modi con cui esso svolge le sue funzioni e non già in quelli con cui si provvede a regolare la nomina dei suoi membri", dall'altro ha negato che il potere di scelta del titolare di un ufficio sia ex se idoneo a condizionarne l'azione. Sotto il primo profilo si osserva anzitutto che "la scelta governativa deve avvenire nell'ambito di rigorose categorie all'interno della Corte dovendo cadere su qualificatissimi magistrati", in secondo luogo che l'attività della Corte dei conti si svolge libera da ogni intervento estraneo e senza possibilità di ingerenze esterne, contro le quali le attribuzioni del procuratore generale sono presidiate da una forte processualizzazione. Sotto l'altro profilo si richiama l'attenzione sulle garanzie di solvibilità previste dall'art. 8 dei tu. n. 1214 dei 1934, esteso al procuratore generale dall'art. 4 dei d.lgs. n. 589 del 1948.

L'Avvocatura ricorda altresì che l'invito formulato da questa Corte nella sentenza n. 230 del 1987 a una piena conformazione della disciplina delle nomine e delle promozioni presso la Corte dei conti alle direttiva costituzionali é stato già in parte accolto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, peraltro posteriore alla data del decreto impugnato.

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3 Cost., si obietta che le difformità tra le funzioni e i modi operativi delle diverse magistrature e dei loro organi escludono che le differenze di disciplina possano costituire violazioni del principio di eguaglianza, il quale presuppone una sostanziale omogeneità delle situazioni da comparare.

All'udienza pubblica l'Avvocatura ha eccepito l'inammissibilità della costituzione in giudizio del dott. Casaccia. La Corte, ritiratasi in camera di consiglio, ha respinto l'eccezione con ordinanza, inserita a verbale, di cui é stata data lettura alla ripresa dell'udienza.

Considerato in diritto

1.-Il T.A.R. del Lazio ritiene contrastante con la tutela costituzionale dell'indipendenza della Corte dei conti e dei suoi componenti (art. 100, terzo comma, Cost.), e in particolare del procuratore generale in qualità di pubblico ministero (art. 108, secondo comma), la disciplina degli artt. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e 4 del d. lgs. 5 maggio 1948, n. 589, la quale <riserva la nomina del procuratore generale proprio al Governo, nei cui confronti è proclamata la garanzia dell'indipendenza>.

Sarebbe violato anche l'art. 3 Cost. a causa dell'irragionevole disparità di trattamento rispetto alle altre magistrature speciali per le quali <sono state realizzate negli ultimi anni forme di autogoverno con riconoscimento, tra l'altro, agli organi interni di poteri determinanti anche ai fini delle assegnazioni e dei mutamenti di funzioni>.

2. - La questione, sollevata con un provvedimento inserito in una <decisione>, è inammissibile per difetto di pregiudizialità.

Secondo quanto risulta dall'esposizione in fatto e in diritto del giudice a quo, il decreto di nomina, della cui legittimità si controverte nel giudizio principale, è stato impugnato per tre motivi: a) violazione di legge per mancata conformazione alla designazione vincolante espressa dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, la quale escludeva ogni potere discrezionale del Governo.

Il carattere vincolante della designazione è sostenuto dai ricorrenti in base a una prassi, che si asserisce sempre seguita in passato, <divenuta, ormai, vera e propria consuetudine>; b) eccesso di potere sotto specie di difetto assoluto di motivazione sul punto della preferenza accordata a un nominativo diverso da quello indicato dalla Corte. Il carattere quanto meno obbligatorio del parere della Corte, e il conseguente obbligo di motivazione in caso di decisione difforme, sono affermati argomentando dai principi generali e, in particolare, dall'art. 13 della legge n. 1345 del 1961; c) in via subordinata, carenza o, rispettivamente, eccesso di potere in conseguenza dell'illegittimità costituzionale delle norme che disciplinano la nomina del procuratore generale, in quanto attribuiscono il relativo potere al Governo anzichè al Consiglio di presidenza della Corte dei conti, o almeno in quanto attribuiscono al Governo un potere assolutamente discrezionale escludendo ogni forma di partecipazione della Corte al procedimento di nomina.

3. - In conformità di questo ordine logico il Tribunale ha preso in esame anzitutto il motivo sub a) e lo ha dichiarato infondato sul riflesso che l'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934, il quale attribuisce al Governo il potere di nomina, non può ritenersi modificato dalla prassi <che si asserisce sempre seguita nel passato (acquisizione della proposta del Consiglio di presidenza con riconoscimento ad essa di forza vincolante)>, perchè altrimenti si finirebbe col dare efficacia a una consuetudine contra legem.

Con la pronuncia negativa in merito al primo motivo il giudice a quo ha implicitamente deciso anche in ordine a un profilo del terzo, escludendo che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 possa essere ritenuta non manifestamente infondata nei termini della prima della due prospettazioni alternativamente enunciate sub c), ma lasciando aperta la possibilità dell'incidente di costituzionalità nei termini dell'altra.

4.-Riconosciuto che il potere di nomina spetta al Governo, e quindi che non spetta alla Corte dei conti un potere di designazione vincolante, si poneva al Tribunale il problema interpretativo sotteso al secondo motivo di ricorso: se, come sostengono i ricorrenti <sviluppando una argomentazione alternativa>, il potere del Governo sia limitato dal requisito di previa acquisizione del parere (obbligatorio) della Corte dei conti, donde l'illegittimità di un provvedimento difforme che non fosse adeguatamente motivato, oppure si tratti di un potere insindacabile, al cui esercizio è estraneo ogni intervento di carattere procedimentale di organi della Corte.

Avendo scelto la seconda interpretazione-la quale, in stretta aderenza alla lettera della legge, riconosce al Governo una <lata discrezionalità> -, il Tribunale avrebbe dovuto sospendere il giudizio in merito al motivo sub b) e sollevare senz'altro la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934 (e dell'art. 4 del d.lgs. n. 589 del 1948) nella parte in cui non prevede il parere obbligatorio della Corte.

Invero, una volta respinto il motivo di ricorso sub a), il motivo sub c) si restringe alla censura di eccesso di potere per difetto di motivazione, riformulata, anzichè sulla base dell'interpretazione <adeguatrice> dell'art. 7 proposta sub b), in ragione dell'illegittimità costituzionale della norma, se interpretata nel senso dell'attribuzione al Governo di un potere di nomina assolutamente discrezionale.

Il giudice a quo si è invece pronunciato anche in merito al secondo motivo dichiarandolo, al pari del primo, infondato, e solo dopo avere <definito in senso negativo> entrambe le censure sub a) e sub b), ha disposto <la sospensione del giudizio con riserva di ogni ulteriore pronunzia all'esito dell'incidente di costituzionalità>. In tal modo, avendo affermato <la lata discrezionalità di cui dispone il Governo nella nomina del procuratore generale>, il Tribunale si è precluso la possibilità di rimetterla in discussione sollevando la questione di costituzionalità della legge che tale potere conferisce. La pregiudizialità della questione risulta tardiva perchè la legge è già stata applicata, e non si vede quale ulteriore decisione sul merito della causa potrebbe essere pronunciata dal Tribunale in esito alla definizione dell'incidente di costituzionalità.

5. -Nè varrebbe obiettare che la censura sub b) è stata dichiarata infondata <allo stato>, senza pregiudizio della questione di legittimità costituzionale delle norme regolatrici della nomina e con riserva di pronunzia definitiva dopo che la questione sarà risolta. Un giudizio <allo stato> sul merito del ricorso è un giudizio ipotetico (<se si applicasse la disciplina vigente, il ricorso non sarebbe fondato>) finalizzato esclusiva mente alla valutazione di rilevanza della questione di costituzionalità di tale disciplina , e quindi non può essere pronunziato con una decisione di infondatezza della censura.

Espresso in questa forma, esso perde il carattere di ipoteticità e diventa un giudizio immediatamente e definitivamente applicativo della legge, con conseguente irrilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale per difetto di pregiudizialità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) e dell'art. 4 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 589 (Riassetto dei servizi e revisione dei ruoli organici della Corte dei conti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo del Lazio col provvedimento indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 15/05/90.