ORDINANZA N.111
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 211, 219 e 220 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 18 luglio 1989 dal Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di Giacomazzi Bruno, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Udito nella camera di consiglio del 31 gennaio 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Ritenuto che il Tribunale di Padova, con ordinanza 18 luglio 1989, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt.211, 219 e 220 del codice penale, con riferimento agli artt. 2, 3, 27 e 32 della Costituzione;
che la questione si proponeva nel corso di un procedimento penale a carico di imputato, ritenuto dal perito d'ufficio affetto da sindrome psicorganica di natura tossica, con alterazioni viscerali e neurologiche e deterioramento mentale, tali da aver prodotto uno stato di infermità che ha grandemente scemato la capacità d'intendere e di volere del giudicabile, rendendolo altresì, per ragioni psichiatriche, persona socialmente pericolosa;
che, tanto nella perizia quanto nel corso dei chiarimenti resi al dibattimento, il perito ha sottolineato che il sussidio assistenziale e la somministrazione delle terapie farmacologiche e psichiche idonee al trattamento -peraltro lungo e difficile-di questi soggetti non sono attuabili negli ambienti nei quali il seminfermo dovrebbe essere ex lege ricoverato, mentre esistono centri ospitalieri e servizi sociali, specializzati e moderni (quale ad esempio-ad avviso del perito-il Centro alcologico di Dolo presso l'Ospedale civile), che sono sicuramente in grado di apprestare le cure specifiche atte ad eliminare la pericolosità sociale;
che, dovendo il Tribunale, sulla base delle risultanze e del parere peritale, fare applicazione dell'art. 89 del codice penale, ordinando che il condannato, a pena espiata (artt. 211 e 220, primo comma, codice penale), sia ricoverato in casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore a sei mesi (art. 219, terzo comma, primo inciso, codice penale), esclusa l'ipotesi di sostituzione con la libertà vigilata (di cui al secondo inciso) che - ad avviso del Tribunale - non consentirebbe l'imposizione di prescrizioni di carattere terapeutico;
che, d'altra parte, il ricovero in casa di cura e custodia, mentre non consentirebbe, per le ragioni enunciate, la sottoposizione del seminfermo alle cure specifiche idonee alla terapia del male diagnosticato, non ha nella legge altre alternative terapeutiche, in guisa che verrebbero a determinarsi numerosi profili di illegittimità costituzionale quali: il contrasto con il principio di eguaglianza dovuto all'identica disciplina giuridica imposta per situazioni personali, spesso grandemente diverse, e talune anche con controindicazioni rispetto al ricovero (art. 3 della Costituzione); il contrasto con il fine rieducativo e con il diritto alla salute (artt. 27 e 32 della Costituzione), nonchè l'incompatibilità di tutto questo con i diritti inviolabili della persona (art. 2 della Costituzione);
che, peraltro, anche il periodo minimo, uguale per tutte le situazioni, si pone in contrasto con i parametri enunciati, in quanto non trova giustificazioni nè nelle esigenze terapeutiche, da determinarsi caso per caso, nè nella tutela della collettività che va riguardata in relazione alle varie specie della pericolosità;
che altrettanto dovrebbe ritenersi per ciò che si riferisce all'irrazionale disposto che prevede prima l'espiazione della pena e poscia la sottoposizione alla misura di sicurezza a carattere terapeutico.
Considerato che, per quanto si riferisce a quest'ultimo rilievo, pur essendo esso fondato in relazione ai principi, deve dirsi, tuttavia, che al giudice compete di decidere diversamente, avvalendosi della facoltà di cui al secondo comma dell'art. 220 del codice penale che prevede il potere di disporre che il ricovero venga eseguito prima che sia iniziata la pena detentiva, quando lo consiglino le particolari condizioni d'infermità psichica del condannato;
che, quanto al periodo minimo uguale per tutte le infermità, va osservato che esiste nel codice la disposizione in base alla quale, dopo la soppressione del secondo comma imposto dalla sentenza 23 aprile 1974 n. 110 di questa Corte, il magistrato di sorveglianza ben può revocare la misura di sicurezza, anche prima che il periodo minimo sia decorso, quando la persona sottoposta alla misura abbia cessato di essere pericolosa (art. 207 del codice penale), mentre, d'altra parte, per l'abolizione di ogni presunzione di pericolosità finalmente decisa dal legislatore, quando sia trascorso tempo ragionevole fra la disposizione e la effettiva esecuzione della misura, l'infermo o il seminfermo debbono essere sottoposti a nuovo esame psichiatrico, sicchè in definitiva esiste ora nel sistema la possibilità di adeguare la misura alle concrete esigenze della singola pericolosità;
che, invece, come correttamente rileva il Tribunale di Padova, deve riconoscersi che l'intera materia delle misure di sicurezza dovrà essere tutta rimeditata e coordinata con gli apporti più moderni della scienza psichiatrica e di quella criminologica, e che, in particolare, per quanto si riferisce ad infermi e seminfermi di mente che hanno delinquito, dovranno essere studiati idonei luoghi di cura con specifici presidi terapeutici;
che tutto questo, però, certamente seguirà alla riforma del codice penale sostantivo, di cui una Commissione ministeriale va predisponendo uno schema di legge delega;
che frattanto il Ministero di giustizia e la magistratura di sorveglianza potranno d'intesa sopperire in sede esecutiva al caso di specie, sistemando il condannato in casa di cura e di custodia prossima a centri ospitalieri attrezzati al particolare trattamento terapeutico di cui è abbisognevole, poscia trasferendolo periodicamente, sotto le misure che si riterranno più opportune, a ricevere-come il perito prevede-idonee terapie ambulatoriali, oppure autorizzando i medici del centro a praticarle all'interno della casa di cura e di custodia; che, di conseguenza, la questione sollevata dev'essere disattesa, sicchè: visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 211, 219 e 220 del codice penale, con riferimento agli artt. 2, 3, 27 e 32 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Padova con ordinanza 18 luglio 1989.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 02/03/90.