SENTENZA N.71
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 80, ultimo comma, e 212 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 12 aprile 1989 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Lucco Bossù Armando e l'I.N.A.I.L., iscritta al n. 416 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38/1a serie speciale dell'anno 1989.
Visti gli atti di costituzione di Lucco Bossù Armando e l'I.N.A.I.L. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;
uditi l'avv. Salvatore Calibbo per Lucco Bossù Armando e Antonino Catania per l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello Stato Luigi Sinicolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Pretore di Torino, nel giudizio promosso da Bossù Lucco nei confronti dell'I.N.A.I.L., per conseguire la rendita, previa valutazione complessiva delle invalidità conseguenti ad un infortunio subito lavorando nel settore dell'industria e ad altro infortunio subito nell'espletamento di attività agricola, con ordinanza emessa il 12 aprile 1989 (R.0. n. 416/1989), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, degli artt. 80, ultimo comma, e 212 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1125 Cresto unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Osserva il giudice a quo che l'art. 80, ultimo comma, e l'art. 212, che alla precedente disposizione rinvia, consentono di liquidare la rendita, nel caso di infortuni plurimi, solo se questi si siano verificati tutti nell'ambito dell'industria, o nell'ambito dell'agricoltura.
Ciò peraltro sembra contrastare con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, poichè le suindicate norme precludono la tutela assicurativa al lavoratore che abbia riportato più infortuni, comportanti complessivamente una percentuale di invalidità superiore al minimo indennizzabile, subiti in diversi settori di attività protette.
Appare inoltre leso, ad avviso del giudice a quo, l'art. 3, primo comma, della costituzione, non sembrando razionalmente giustificabile una diversità di trattamento fra assicurati che abbiano riportato, a seguito di più infortuni, una invalidità eccedente il minimo indennizzabile, a seconda della omogeneità, o meno, delle attività lavorative protette nel cui ambito gli infortuni si sono verificati.
2. - Si sono costituiti innanzi a questa Corte il Bossù, sollecitando l'accoglimento della questione, e l'I.N.A.I.L., chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
3.- É intervenuto il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha dedotto l'infondatezza della questione.
Osserva l'Avvocatura dello Stato che l'applicabilità dell'art. 80 del d.P.R. n. 1124 del 1965 al caso di più infortuni riportati in diversi ambiti dallo stesso soggetto non esclude che al procedimento di unificazione si debba pervenire attraverso il disposto dell'art. 79 dello stesso d.P.R., che consente di calcolare la rendita per l'inabilità permanente per il danno prodotto dall'ultimo sinistro, rapportandola non all'attitudine dell'assicurato al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto della concorrente preesistente invalidità.
Considerato in diritto
1.-É stata sollevata in via incidentale questione di legittimità costituzionale della normativa racchiusa nell'art. 80, ultimo comma, e nell'art. 212 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
La prima disposizione, che fa parte del titolo I, concernente l'assicurazione nell'industria-nel prevedere il caso che l'assicurato, già raggiunto da inabilità permanente in misura non indennizzabile (non superiore al dieci per cento), per effetto di infortuni precedenti verificatisi nello stesso settore lavorativo, sia colpito da un nuovo infortunio, anche esso recante inabilità permanente non indennizzabile-impone di valutare complessivamente l'inabilità risultante a suo carico e, qualora essa superi la soglia dell'indennizzabilità, di liquidare una rendita in base al grado dell'inabilità così accertata ed alla retribuzione percepita al momento del nuovo infortunio. La seconda disposizione, che fa parte del titolo II, concernente l'assicurazione nell'agricoltura, dichiara applicabili alle rendite per inabilità permanente derivante da infortuni e da malattie professionali e ai relativi procedimenti di liquidazione le disposizioni del titolo I, e quindi anche l'art. 80.
Sospetta il giudice a quo che tale normativa-in quanto, nell'introdurre il beneficio della valutazione complessiva dell'inabilità permanente e della liquidazione di un'unica rendita come sopra indicato, lo limita all'ipotesi di infortuni policroni verificatisi tutti nello stesso settore lavorativo, cioè tutti nel lavoro nell'industria, o tutti nel lavoro nell'agricoltura - sia in contrasto con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, in quanto precluderebbe la tutela assicurativa al lavoratore comunque raggiunto per effetto di infortuni, sia pure verificatisi non nello stesso settore, da inabilità permanente oltre la soglia indennizzabile (ora quella del 10 per cento sia nell'una che nell'altra assicurazione), e con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto sancirebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra il detto lavoratore e quello raggiunto da inabilità permanente nello stesso grado per effetto di infortuni verificatisi nello stesso settore lavorativo.
2. - La questione così posta non è fondata.
La normativa impugnata risponde, secondo giurisprudenza e dottrina prevalenti, alla esigenza di una valutazione delle inabilità permanenti omogenee (quelle appunto derivanti da infortuni verificatisi in tempi successivi nello stesso settore lavorativo) complessiva (e quindi riferita all'intera capacità lavorativa) e della conseguente liquidazione di un'unica rendita commisurata alla detta valutazione complessiva (e alla retribuzione più elevata). In particolare il terzo comma dell'art. 80 mira a soddisfare con la maggiore ampiezza tale esigenza, in quanto concerne il caso di successione nel tempo di più infortuni nessuno dei quali ex se recante inabilità indennizzabile (i primi due commi riguardano rispettivamente il caso di infortunio recante inabilità indennizzabile che si aggiunge ad un altro che avesse, o ad altri che avessero, recato inabilità indennizzabile, e il caso di infortunio non recante ex se inabilità indennizzabile, che si aggiunge ad altro che avesse, o ad altri che avessero, recato inabilità indennizzabile).
Con riferimento alla assicurazione (contro gli infortuni e le malattie professionali) nell'industria e, rispettivamente, a quella (contro gli infortuni e le malattie professionali) nell'agricoltura (della quale si tratta nel caso concreto), come dalla legge separatamente considerate, l'esigenza suindicata è dunque pienamente soddisfatta.
L'ordinanza di rimessione rappresenta, lamentandone il mancato soddisfacimento, un'esigenza ulteriore, come è quella della valutazione complessiva delle inabilità e della liquidazione di un'unica rendita nel caso di inabilità permanenti disomogenee, cioè derivanti da infortuni verificatisi in tempi successivi in entrambi i settori lavorativi cui si riferiscono le due assicurazioni.
Ma il mancato pieno soddisfacimento di tale ulteriore esigenza (al pari della stessa nozione di omogeneità o no delle plurime inabilità connesse ai più infortuni verificatisi in tempi diversi) discende dalla considerazione separata, ai fini dell'assicurazione in argomento, dell'attività lavorativa svolta nei due settori, cioè dalla organizzazione separata delle relative assicurazioni, ciascuna delle quali rappresenta un sistema con proprie previsioni di presupposti del rapporto assicurativo, di doveri contributivi, di criteri di valutazione della efficacia invalidante delle menomazioni fisiche (Tabella allegato 1 e Tabella allegato 2). E una siffatta organizzazione separata non appare in contrasto con i parametri invocati-non con l'art. 38, secondo comma, nè con l'art. 3, primo comma, della Costituzione-quando essa, come nel caso, si fondi sull'obbiettiva (e non arbitraria) distinzione fra due settori lavorativi e non lasci, nell'ambito di ciascuno di essi, alcun vuoto di tutela.
Vero è che l'art. 79 del d.P.R. n. 1124 del 1965 dispone che si tenga conto, al fine di valutare l'inabilità permanente derivante da un infortunio in un settore lavorativo (industria o agricoltura), anche di quella derivante da uno o più infortuni pregressi nell'altro settore (agricoltura o industria) - o addirittura da uno o più infortuni < estranei al lavoro> - alla condizione, peraltro, che le inabilità riguardino il medesimo organo o complesso organico fisico dell'assicurato (ovvero due organi o complessi organici tali da influenzarsi fra loro sotto l'aspetto invalidante). Condizione, questa, desumibile dalla nozione di < aggravamento> del grado di riduzione dell'attitudine al lavoro ivi enunciata, che non è richiesta, invece, per la ipotesi di infortuni verificatisi in tempi successivi nello stesso settore lavorativo ai sensi dell'art. 80.
Ma tale disciplina persegue non già la finalità di imporre una valutazione complessiva delle inabilità e conseguentemente la liquidazione di un'unica rendita, bensì soltanto quella di adeguare realisticamente la valutazione (a sè stante) dell'inabilità derivante dall'ultimo infortunio (naturalmente riferita a una attitudine lavorativa già ridotta per effetto della preesistente inabilità disomogenea o delle preesistenti inabilità disomogenee) in senso relativamente più favorevole all'assicurato (cfr. ultima parte art. 79), nella prevalente considerazione dell'unitarietà dell'insieme organico-funzionale interessato. Essa, dunque, per il suo ambito di applicazione (in quanto l'adeguamento riguarda anche l'ipotesi di inabilità pregresse derivanti da fatti < estranei al lavoro>), e per la sua limitata finalità come appena indicata, non rappresenta un punto di convergenza necessario fra i due sistemi assicurativi, nè tanto meno esprime un principio della legislazione in tema di valutazione complessiva delle inabilità e di unificazione delle rendite, che imponga sul piano della coerenza, e quindi della ragionevolezza, di rettificare additivamente nel senso auspicato la normativa impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 38, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, degli artt. 80, ultimo comma, e 212 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata dal Pretore di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/02/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Aldo CORASANITI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 22/02/90.