SENTENZA N.41
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva), promossi con ordinanze emesse il 9 maggio 1989 (nn. 2 ordd.) e il 25 maggio 1989 dal T.A.R. della Sicilia - Sezione di Catania, iscritti ai nn. 421, 422 e 423 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1a serie speciale, dell'anno 1989.
Visti l'atto di costituzione di D'Angelo Salvatore nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri;
uditi l'avvocato Nicolò Amato per D'Angelo Salvatore e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza emessa il 9 maggio 1989 (r.o. n. 421 del 1989), il T.A.R. della Sicilia - sezione di Catania - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva), "nella parte in cui non prevede che il termine per la chiamata alle armi ivi disposto é perentorio".
Nel giudizio a quo il ricorrente Pitino Salvatore - che aveva usufruito del ritardo nella prestazione del servizio di leva per motivi di studio sino al 31 dicembre 1987 - ha chiesto l'annullamento, previa sospensione, della cartolina precetto inviatagli dal Ministero della difesa - Distretto di Siracusa - (in base alla quale aveva l'obbligo di presentarsi il giorno 8 marzo 1989 presso il Battaglione Fanteria "Savona" di stanza a Savona), per violazione della citata disposizione della legge n. 191 del 1975, secondo cui "cessato il titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione o contingente chiamato alle armi se dell'Esercito o dell'Aeronautica".
Il T.A.R. remittente rileva preliminarmente che la prevalente giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali (T.A.R. Veneto 21 gennaio 1986, n. 5; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 20 gennaio 1986, n. 5; T.A.R. Sicilia, sezione di Palermo, 31 maggio 1988, n. 413), tra cui, in sede cautelare, lo stesso T.A.R. Sicilia - sezione di Catania, interpreta la norma in questione nel senso che essa impone all'Amministrazione un termine perentorio per l'esercizio del potere di disporre la chiamata alle armi.
Senonchè, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha, con decisione n. 110 del 19 aprile 1989, annullato la anzidetta sentenza del T.A.R. Sicilia - sezione di Palermo, sostenendo che il termine di cui al secondo comma del citato art. 21 ha carattere meramente sollecitatorio nei confronti dell'Amministrazione.
Tale decisione, prosegue il T.A.R. remittente, lungi dal costituire un precedente vincolante per il giudice di primo grado, assume, però, indubbio rilievo in relazione all'esigenza di assicurare la certezza del diritto; pertanto, in conclusione. esso afferma di "muovere dal presupposto che la interpretazione del dato normativa prescelta dal giudice d'appello sia corretta per ritenere la questione di costituzionalità rilevante al fine della decisione dei gravame".
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva quanto segue.
La normativa che disciplina la chiamata alle armi per il servizio di leva contiene una serie di disposizioni volte a limitare temporalmente il potere di imposizione di tale servizio. In particolare, l'art. 3 della legge 31 maggio 1975, n. 191 prevede che la chiamata alle armi ha luogo nell'anno in cui i giovani arruolati compiono il diciannovesimo anno di età, dando facoltà al Ministro di anticipare o ritardare di un anno la chiamata stessa quando speciali circostanze lo esigono; l'art. 100 dei d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 dispone che é data la facoltà di dispensare dal compiere la ferma di leva gli arruolati eccedenti il fabbisogno quantitativo e qualitativo per la formazione dei contingenti o scaglioni da incorporare.
Pertanto, di discrezionalità nel quid e nel quomodo non può parlarsi, essendo l'evenienza regolata da rigide norme sostanziali e procedimentali, mentre anche la discrezionalità nell'an é strettamente vincolata dall'esistenza o meno della copertura di bilancio. La ovvia ratio delle predette norme sta sia nell'esigenza di disciplinare temporalmente l'imposizione personale, che altrimenti sarebbe sottratta alla riserva di legge, sia in quella di non pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino.
Il limite temporale della chiamata alle armi e il conseguente interesse legittimo a conseguire la dispensa ex art. 100 lett. b del d.P.R. n. 237 del 1964 rispondono quindi a finalità che trovano puntuale affermazione in norme costituzionali, come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di ritenere con la sentenza n. 164 del 1985, in ordine alla affermata natura non meramente ordinatoria del termine di cui all'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sull'obiezione di coscienza.
Se, dunque, si ritenesse che l'art. 21 della legge n. 191 del 1975 deroghi al principio normativo anzidetto, disponendo che la chiamata alle armi non va disposta entro un termine perentorio, risulterebbero violati:
a) gli artt. 3 e 52 della Costituzione, per disparità di trattamento rispetto agli arruolati che non usufruiscono del diritto al rinvio della chiamata alle armi, in quanto questi ultimi, in base alle norme prima richiamate, devono essere depennati in caso di eccedenza rispetto al fabbisogno dei contingenti nell'anno successivo al compimento del diciannovesimo anno d'età;
b) gli artt. 23 e 52 della Costituzione, perchè si imporrebbe una prestazione personale (servizio di leva) senza limiti temporali, e quindi senza indicazione del ]mute e delle modalità la cui disciplina é coperta da riserva di legge;
c) l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto si profilerebbe un esercizio delle potestà pubbliche non improntato alla esigenza costituzionale del buon andamento e della imparzialità.
2.- La medesima questione é stata sollevata dallo stesso T.A.R. della Sicilia - sezione di Catania con altre due ordinanze emesse il 9 e il 25 maggio 1989 (r.o. nn. 422 e 423 del 1989) nel corso dei procedimenti promossi da Costarelli Salvatore e D'Angelo Salvatore.
Le ordinanze, sia sulla rilevanza che sulla non manifesta infondatezza, contengono argomentazioni identiche a quelle già esposte sub 1.
3.- Si é costituito dinanzi a questa Corte D'Angelo Salvatore, il quale svolge considerazioni adesive all'ordinanza di rimessione.
La difesa del D'Angelo rileva, in sintesi, che nello Stato di diritto tutte le pretese dell'apparato autoritativo non solo devono trovare fondamento in una previa norma di legge (principio di legalità formale), ma anche una precisa delimitazione dell'ambito di esercizio del potere pubblico (principio di legalità sostanziale) senza di che per la sfera della libertà non resterebbe alcuna forma di garanzia. Se si ammette una discrezionalità dell'Amministrazione nella decorrenza della chiamata, si attribuisce ad essa un potere non delimitato più dalla legge (in violazione dell'art. 52, secondo comma, della Costituzione), che finisce per far coincidere tout court ferma e servizio militare, in quanto, dovendosi individuare un limite alla pretesa dell'Amministrazione per la ferma, se questo non é più quello del compimento dell'età utile alla vestizione, dovrebbe ritenersi possibile il primo incorporamento sino al compimento del 45° anno di età.
4.- É intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale conclude per l'infondatezza della questione.
Non é ravvisabile, ad avviso dell'Avvocatura, alcun contrasto della norma censurata con l'art. 3 della Costituzione, in quanto vengono raffrontate situazioni non omogenee, quali sono quella degli arruolati che non usufruiscono del ritardo per motivi di studio rispetto a quella degli arruolati che invece hanno usufruito di tale ritardo.
Ritenere perentorio il termine di cui all'art. 21 sarebbe del tutto irragionevole sia perchè in tal modo la chiamata alle armi finirebbe in pratica con l'essere decisa dall'interessato, con conseguente eccessiva rigidità dell'azione amministrativa, sia perchè significherebbe porre per l'amministrazione una disciplina assai più restrittiva rispetto a quella che regola la chiamata alle armi in generale (che ha luogo nell'anno in cui i giovani compiono il 19° anno di età, con facoltà per il Ministro di anticiparla o ritardarla di un anno) e, in definitiva, favorire coloro che fruiscono del rinvio rispetto agli altri.
In conclusione, non appare irragionevole che il legislatore non consideri perentorio il termine in questione; altro é il profilo che, così interpretando la norma in esame, non si pone alcun termine per la chiamata: la questione, infatti, é stata sollevata con specifico riferimento alla perentorietà del termine di cui all'art. 21. In ogni caso, conclude l'Avvocatura, resterebbe precluso alla Corte costituzionale di sostituirsi al legislatore indicando un termine che contemperi le esigenze dell'Amministrazione con quelle del chiamato alle armi.
Le considerazioni svolte valgono, infine, a ritenere non sussistente neppure la violazione degli altri parametri invocati.
Considerato in diritto
1. -Le tre ordinanze del T.A.R. della Sicilia-sezione di Catania -, emesse le prime due il 9 maggio e la terza il 25 maggio 1989, sollevano in termini identici la medesima questione di legittimità costituzionale. I giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
2.-I giudici remittenti dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva) < nella parte in cui non prevede che il termine per la chiamata alle armi ivi disposto è perentorio>.
Il termine anzidetto, vale a dire < il primo scaglione o contingente chiamato alle armi> dopo la cessazione del titolo al ritardo, è disposto per coloro che fruivano del ritardo della prestazione del servizio militare; secondo i giudici a quibus, la mancata previsione della perentorietà di detto termine nei confronti dell'Amministrazione che deve effettuare la chiamata sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione: con l'art. 3, per disparità di trattamento rispetto agli arruolati i quali non usufruiscono del ritardo, giacchè per questi, ai sensi dell'art. 3, primo comma, della legge n. 191 del 1975, la chiamata alle anni deve avvenire nell'anno del compimento del diciannovesimo anno di età con possibilità di anticipo o ritardo di un anno; con gli artt. 23 e 52, perchè viene imposta una prestazione personale (servizio di leva) senza limitazione temporale, e quindi senza indicazione del limite e delle modalità, in materia coperta da riserva di legge; con l'art. 97, primo comma, in quanto si profila un esercizio delle potestà pubbliche non improntato alla esigenza del buon andamento e della imparzialità.
3.-Prima di passare all'esame dei profili così prospettati, è opportuno rilevare-giacchè a prima vista potrebbe sembrare che sussista nelle ordinanze di rimessione una certa perplessità sull'interpretazione della norma denunciata-che i giudici a quibus ricordano di aver condiviso in più occasioni una prevalente giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali, che interpreta l'art. 21 della citata legge 191 del 1975 nel senso che il termine ivi indicato debba essere considerato perentorio per l'Amministrazione. Tuttavia, poichè il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha ritenuto invece tale termine meramente sollecitatorio, i predetti giudici a quibus ritengono di assumere la interpretazione del loro organo d'appello, ed in base alla stessa sollevano la suesposta questione di costituzionalità.
Del resto, anche il Consiglio di Stato, IV sezione, con la decisione n. 890 del 9 dicembre 1989, giudicando su appello del Ministero della difesa nei confronti della decisione n. 5/86 del T.A.R. Veneto, ha adottato la medesima interpretazione, definendo .meramente ordinatori> per l'Amministrazione militare i termini di cui alla norma in esame.
Quanto, poi, alla rilevanza della questione nei giudizi a quibus, essa, correttamente motivata, è comunque di tutta evidenza. In conclusione, non possono sussistere dubbi di sorta circa l'ammissibilità della questione stessa.
4. - In ordine logico il profilo di incostituzionalità da esaminare per primo è quello relativo agli artt. 23 e 52 della Costituzione.
La questione è fondata.
Alla stregua della interpretazione adottata dai giudici remittenti, interpretazione che si uniforma - come si è visto - alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, i termini previsti nell'art. 21, secondo comma, della legge n. 191 del 1975 valgono soltanto a statuire un obbligo per l'arruolato che ha usufruito del ritardo del servizio militare, quando il titolo del ritardo sia cessato; tale lettura è del resto suffragata dal tenore letterale della disposizione e dal contesto in cui essa è inserita.
Ciò posto, viene però a mancare nella disposizione in esame una previsione tassativa che circoscriva i limiti temporali entro i quali l'Amministrazione debba disporre la chiamata alle armi. Vero è che il potere dell'Amministrazione deve pur sempre essere esercitato nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di non manifesta illogicità, nonchè secondo le regole della buona amministrazione, di guisa che colui che, dopo la cessazione del titolo al ritardo, venisse chiamato alle armi in tempi procrastinati in misura eccessiva potrebbe sempre ricorrere al giudice amministrativo onde ottenere l'annullamento dell'atto illegittimo dell'autorità; ma tale garanzia non può essere ritenuta idonea a soddisfare il dettato dell'art. 52, secondo comma, della Costituzione, rafforzato per giunta dal principio sancito nell'art. 23.
4.1. - Non vi è dubbio che il servizio militare, pur collegato al < sacro dovere della difesa della Patria> solennemente affermato nel primo comma dell'art. 52 (rispetto al quale ha tuttavia un'autonomia concettuale e istituzionale: v. sent. n. 164 del 1985), costituisce una prestazione personale, anzi la prestazione personale per eccellenza e la più gravosa che possa ammettersi in una società civile e democratica ed in uno Stato di diritto. La riserva di legge, in ordine alla sua previsione e regolamentazione, scaturisce quindi già dall'art. 23 della Costituzione che ha valore di principio fondamentale. Aggiungasi, ad escludere qualsivoglia incertezza, che il Costituente ha voluto -con il secondo comma dell'art. 52 - espressamente circoscrivere l'obbligatorietà del servizio militare < nei limiti e modi stabiliti dalla legge>, confermando così, ed in un certo senso estendendo, la riserva; ad ulteriore garanzia del cittadino, si è poi precisato che l'adempimento dell'obbligo militare non pregiudica la posizione di lavoro nè l'esercizio dei diritti politici. t la legge quindi che, insieme con la durata e le altre caratteristiche del servizio militare, deve stabilire il momento in cui l'obbligato verrà chiamato alle armi: il cittadino ha bisogno di conoscere con certezza il periodo di vita in cui, sottratto alle sue normali occupazioni, o agli studi o comunque alla libera disponibilità del suo tempo e della sua persona, dovrà assolvere all'obbligo impostogli dalla Costituzione.
Trattasi di un diritto che non può essere degradato ad interesse occasionalmente protetto in rapporto al dovere dell'Amministrazione di esercitare correttamente-secondo canoni di ragionevolezza, di imparzialità, di rispondenza ai fini da perseguire - un potere che, sia pure come estrema ipotesi, incontrerebbe soltanto il limite finale del compimento del quarantacinquesimo anno di età. Che debba essere la legge a determinare in modo tassativo lo spazio di tempo entro il quale il cittadino può essere chiamato ad assolvere il servizio di leva, è ulteriormente confermato dalla necessità di ridurre il più possibile gli effetti negativi che tale obbligo determina nella ricerca del lavoro, nella prosecuzione di studi postuniversitari, nell'avvio di attività professionali od autonome, nei rapporti familiari. Del resto l'art. 3 della legge n. 191 del 1975, che disciplina la chiamata delle classi di leva, rispetta puntualmente il precetto costituzionale, in quanto circoscrive tassativamente lo spazio di tempo entro il quale il Ministro per la difesa può ordinare la chiamata, fissandolo nell'anno in cui il giovane arruolato compie il diciannovesimo anno di età, con la possibilità < quando speciali circostanze lo esigano> di anticiparla o ritardarla di un anno.
L'art. 21, secondo comma, della citata legge deve pertanto essere ritenuto costituzionalmente illegittimo, in quanto, disciplinando la chiamata alle armi di coloro che hanno usufruito del ritardo dopo che ne sia cessato il titolo, omette di prevedere un termine tassativo entro il quale debba essere disposta la chiamata stessa, con conseguente indeterminatezza temporale dell'obbligo di prestare il servizio militare.
4.2. Tuttavia, dalla riconosciuta incostituzionalità della norma in esame non può scaturire la conseguenza prospettata dai giudici a quibus. Questi richiedono sostanzialmente che il termine ivi previsto come cogente per coloro che hanno beneficiato del ritardo del servizio militare, una volta cessato il titolo di tale ritardo, sia esso stesso da considerare perentorio per l'Amministrazione che deve disporre la chiamata.
Ma si è visto che l'art. 3 della legge n. 191 del 1975 in ordine alla chiamata delle classi di leva prescrive che questa sia effettuata nell'anno in cui i giovani arruolati compiono il diciannovesimo anno di età, vale a dire in uno spazio di tempo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre dell'anno anzidetto. Accanto a questa prescrizione di carattere generale, lo stesso art. 3 conferisce al Ministro della difesa due facoltà: una straordinaria ed eccezionale, (< quando speciali circostanze lo esigano>), di anticipare o ritardare di un anno la chiamata; un'altra, ordinaria, di chiamare alle armi le classi per contingenti o scaglioni. Di quest'ultima facoltà il Ministero si avvale normalmente per ragioni sia di bilancio, sia di organizzazione del servizio.
Sarebbe dunque una soluzione irragionevolmente difforme dalla disciplina prevista dalla legge in via generale, quella di circoscrivere lo spazio di tempo entro il quale il Ministro può disporre la chiamata di coloro che hanno beneficiato del ritardo nei termini estremamente ristretti previsti per l'obbligato dall'art. 21, secondo comma.
Il termine ultimo per l'Amministrazione va pertanto ricavato dalla disposizione generale dell'art. 3 della legge, va delimitato cioé nello spazio di un anno che, così come ordinariamente avviene, consente la chiamata per contingenti o scaglioni.
É ovvio che, laddove l'art. 3 identifica l'anno della chiamata delle classi in quello in cui i giovani arruolati compiono il diciannovesimo anno di età, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 21 l'anno non può che essere quello che decorre a partire dalla data di cessazione del titolo al ritardo. Non va invece estesa alla ipotesi suddetta la facoltà del Ministro di ritardare la chiamata di un anno oltre il termine prefissato, poichè trattasi, come si è visto, di una facoltà eccezionale subordinata all'esistenza di circostanze speciali ipotizzabili in relazione alla chiamata generale delle classi, ma non di coloro che hanno usufruito del ritardo.
4.3.-A tale soluzione la Corte perviene anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione indicato nelle ordinanze di rimessione.
Infatti, premesso che, in relazione all'obbligo del servizio militare ed alle garanzie relative che derivano dalla riserva di legge sancita dall'art. 52 della Costituzione, la posizione di coloro che beneficiano del ritardo è del tutto assimilabile a quella della generalità degli arruolati, costituirebbe disparità di trattamento, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, una regolamentazione dei termini temporali utili per la chiamata alle armi diversa per coloro che hanno usufruito del ritardo nei confronti di coloro che rispondono alla chiamata della loro classe di appartenenza. Tale contrasto sussisterebbe, ove la norma ma impugnata non venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto gli arruolati che hanno beneficiato del ritardo sarebbero sottoposti all'obbligo del servizio senza la garanzia della tassativa previsione dei limiti di tempo entro i quali può esser disposta la chiamata; ma sarebbe parimenti un ingiustificato trattamento di favore quello di prevedere per i medesimi un limite più ristretto rispetto a quello generale stabilito per la chiamata delle classi.
5. - Resta assorbito il profilo di censura relativo all'art. 97 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva), nella parte in cui non prevede che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo del servizio militare sia disposta non oltre il termine di un anno dalla data di cessazione del titolo al ritardo medesimo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31/01/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Mauro FERRI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 02 Febbraio 1990.