SENTENZA N.11
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), come sostituito dall'art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 1986 dalla Commissione tributaria di 2° grado di Milano sul ricorso proposto da Ribolzi Cesare contro il 1° Ufficio distrettuale II.DD. di Milano, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di costituzione di Ribolzi Cesare nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
uditi l'avvocato Enrico Romanelli per Ribolzi Cesare e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la deducibilità dal reddito percepito nel 1978 delle spese di assistenza erogate a favore di un congiunto in stato di bisogno, la Commissione tributaria di secondo grado di Milano, con ordinanza in data 3 ottobre 1986, pervenuta a questa Corte il 2 maggio 1989 (r.o. n. 248 del 1989), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in relazione agli artt. 2 e 38 della Costituzione.
Rileva il giudice a quo che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, il contribuente, avendo titolo alla successione legittima nei confronti della propria zia, ora tenuto, ai sensi dell'art. 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, a rimborsare le spese di ricovero di quest'ultima e, quindi, obbligato a provvedervi direttamente a prescindere dalla procedura di rivalsa esperibile dall'ente ospedaliero.
Essendo però deducibili soltanto gli oneri tassativamente indicati dalla norma impugnata (che, peraltro, come sostituita dall'art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114, non contempla le spese di ricovero di congiunti che non abbiano diritto agli alimenti), la Commissione remittente osserva che la corresponsione di assegni a favore di parenti in terzo grado che versino in stato di bisogno e necessitino di ricovero definitivo in istituto specializzato per difetto di autosufficienza fisica costituirebbe, pur sempre adempimento di un dovere inderogabile di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonchè di un preciso obbligo giuridico che l'art. 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, pone a carico dei soggetti aventi titolo alla successione mortis causa dell'assistito.
L'esclusione di tali assegni dal novero degli oneri deducibili si porrebbe pertanto in contrasto con gli artt. 2 e 38 della Costituzione, in quanto ostacolerebbe l'adempimento dei doveri di solidarietà e degli obblighi di assistenza sociale, incombenti, nella specie, ad un soggetto privato.
2.- Si é costituita la parte privata rilevando come, in base ad un'interpretazione estensiva già adottata in precedenti occasioni dal giudice tributario, sia possibile comprendere l'onere in questione fra quelli contemplati dalla disposizione censurata, inquadrandolo nelle ipotesi di spese per prestazioni di assistenza specifica lett. d) o assimilandolo, per identità di ratio, agli assegni alimentari (lett. h).
Per quanto attiene, più strettamente, al merito della questione, il contribuente ha invece ribadito le argomentazioni svolte dal giudice a quo, precisando che "con l'assunzione convenzionale dell'impegno della retta, l'interessato non avrebbe fatto altro che adempiere in anticipo a ciò che, alla morte del parente sarebbe diventato un obbligo a tutti gli effetti".
3.- La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, ha contestato che in base all'art. 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, sussista un obbligo, a carico dei successibili ex lege del ricoverato, al pagamento delle spese di spedalità: secondo il tenore della norma, infatti, l'obbligo di rivalsa é direttamente sancito nei confronti dei ricoverati che non si trovano in condizioni di povertà e. soltanto in caso di morte di quest'ultimi, si trasmette iure successionis in capo agli credi legittimi o testamentari. Non tanto l'astratta possibilità di una delazione di eredità, ma il concreto acquisto di quest'ultima costituirebbe dunque il presupposto dell'assoggettamento all'obbligo di corrispondere quanto già dovuto dal de cuius.
L'interveniente osserva poi che, in ogni caso, la determinazione degli oneri deducibili rientra nell'esclusiva competenza dei legislatore e che il richiamo all'art. 2 della Costituzione é del tutto inconferente in quanto, come 'à affermato da questa Corte, la norma in esso contenuta non ha alcuna attinenza con la materia tributaria. mentre, anche in considerazione del carattere libero dell'assistenza privata, l'art. 38 della Costituzione non potrebbe comportare la deducibilità delle spese sostenute per finalità assistenziali. La questione risulterebbe dunque inammissibile o comunque infondata.
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria di Milano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (come sostituito dall'art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114), nella parte in cui <non prevede la deducibilità dal reddito complessivo del contribuente dell'onere delle spese di spedalità dovute a norma dell'art. 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580 da parente del ricoverato avente diritto a succedere per legge a quest'ultimo, mortis causa>.
In tale mancata previsione sarebbe da ravvisarsi, secondo l'ordinanza di rimessione, un contrasto con gli artt. 2 e 38 della Costituzione anche quando, come nel caso oggetto del giudizio a quo, il contribuente abbia corrisposto spontaneamente per una parente di terzo grado le rette di ricovero in una casa di cura.
2. - La questione non è fondata.
Il richiamo all'art. 1 della legge 3 dicembre 1931, n. 1580, è inconferente ai fini della risoluzione della questione di legittimità costituzionale riferita alla mancata previsione della deducibilità di spese di ricovero spontaneamente sostenute per un parente entro il terzo grado. Tale disposizione, difatti, contempla la possibilità, per le amministrazioni ospedaliere, di rivalersi delle spese di spedalità, relative ai <ricoverati che non si trovino in condizioni di povertà>, direttamente o, alla loro morte, nei confronti degli <eredi legittimi e testamentari>.
Diversa è invece la situazione di coloro che, come nel caso del giudizio a quo, si siano spontaneamente accollati le spese del ricovero di un soggetto ancora in vita cui siano legati da vincolo di parentela di terzo grado. Essi non sono ancora <eredi legittimi e testamentari> in quanto tale status si acquista con la morte del de cuius e non si trovano, pertanto, nella possibilità di essere escussi, come previsto dalla norma per ultimo citata, essendo del tutto priva di significato la loro posizione di successibili ex lege, cui fa riferimento l'ordinanza di rinvio. Questa loro posizione costituisce perciò una mera aspettativa collegata alla possibilità futura ed eventuale, e quindi neppure necessaria, di divenire eredi.
Nè si può ritenere che la situazione in esame possa essere inquadrata nel terzo comma dell'art. 1 della legge n. 1580 del 1931, ed infatti i parenti in terzo grado non sono inclusi fra le categorie di soggetti tenuti all'obbligo degli alimenti.
Se, quindi, l'onere sopportato da un soggetto che, senza esservi obbligato, ma, per spirito di mera liberalità, sopperisca alle spese di ricovero di un proprio parente entro il terzo grado non è assimilabile a quello dei soggetti tenuti agli alimenti, non troverebbe fondamento una pronuncia additiva che ai fini della deducibilità equiparasse all'obbligo legale la corresponsione spontanea.
Nella mancata previsione della deducibilità di quest'ultima, peraltro, non può ravvisarsi alcun contrasto con gli artt. 2 e 38 della Costituzione, perchè, nella ipotesi di comportamenti ispirati ad un generico dovere di solidarietà osservato per scopi di assistenza, non può vantarsi alcuna pretesa di deducibilità ai fini tributari degli oneri sostenuti, in quanto essi si qualificano quali mere liberalità ispirate a motivi morali o sociali: come tali spetta solo al legislatore, nella sua discrezionalità, di ammetterli o meno a deduzione ai fimi della determinazione dell'imponibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), come sostituito dall'art. 5 della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata dalla Commissione tributaria di Milano, in riferimento agli artt. 2 e 38 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/01/90.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 23 Gennaio 1990.